Privare il coniuge di mezzi economici integra il reato di maltrattamenti in famiglia?

La Corte di Cassazione con la sentenza 19 gennaio 2016, n. 18937 ha contribuito a definire ulteriormente l’ambito di applicazione dell’art. 572 c.p. – maltrattamenti in famiglia, integrando la copiosa giurisprudenza relativa a tale reato, allargando ulteriormente la tutela penale sino a ricomprendere anche la c.d. violenza economica.

La fattispecie dell’art. 572 c.p.

Prima di affrontare le sentenze in commento, è opportuno precisare la natura e i limiti del reato previsto dalla disposizione all’articolo 572 c.p., rubricato maltrattamenti contro familiari e conviventi.

In relazione alla fattispecie in esame, la dottrina e la giurisprudenza concordano nel ritenere che l’elemento oggettivo dei “maltrattamenti” indicato dalla disposizione consista in una serie di più atti successivi, realizzati con la consapevolezza di ledere all’integrità fisica e morale del soggetto passivo. I comportamenti che integrerebbero tale condotta non si limitano ad essere quelli connotati dalla semplice violenza fisica, quali percosse o lesioni, bensì anche tutti quei comportamenti vessatori nei confronti dell’integrità psichica e morale di colui che subisce la condotta delittuosa, quali minacce, ingiurie, privazioni ed umiliazioni. Essendo un reato di natura necessariamente abituale, le varie condotte devono inserirsi in una cornice unitaria tale da configurare un nesso di abitualità, idoneo ad imporre un regime di vita mortificante, opprimente ed insostenibile per la vittima.

La tutela dell’art. 572 c.p. si estende non solo ai membri delle famiglie legittime fondate sul matrimonio, ma anche, a seguito della novella della l. n. 172/2012, che ha recepito la giurisprudenza già sviluppatasi in precedenza, ai conviventi more uxorio, dunque anche alle famiglie “di fatto” e a tutti quei consorzi di persone in cui sussistano dei legami di reciproca assistenza e protezione, compresi i luoghi di lavoro (da ultimo sentenza 2 dicembre 2016, n.51591)

1. La sentenza 18937/2016: il fatto addebitato e lo svolgimento del processo.

Con sentenza del 12 novembre 2014, la Corte d’Appello di Milano aveva parzialmente confermato la sentenza del giudice di prime cure, di condanna dell’imputato per i reati di cui agli artt. 572 e 609-bis c.p. (violenza sessuale), applicando la diminuente di pena per l’attenuante all’art. 609-bis ultimo comma. Tra le condotte ascritte al reo, assieme a violenze di carattere fisico e sessuale, veniva contestata anche la privazione di disponibilità economiche nei confronti della coniuge.

Avverso la decisione resa dalla Corte territoriale l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione contestando, per quanto rileva in questa sede, l’erronea applicazione dell’art.572 c.p..

Il ricorrente ha eccepito l’insussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia in ordine al quale, tra i vari addebiti, ricorreva anche quello di aver privato la coniuge della disponibilità economica, deducendo che la persona offesa percepiva comunque una retribuzione lavorativa rimasta sempre nelle sue disponibilità e che, comunque, aveva una delega sul conto corrente dell’imputato, oltre a fruire di vacanze estive prolungate, viaggi all’estero e vita sociale intensa.

Il principio di diritto.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso osservando nella fattispecie concreta sottoposta al suo scrutinio che “la privazione di disponibilità economiche costituisce solo una delle numerose modalità di maltrattamento poste in essere dall’imputato” e che, come aveva correttamente ricostruito la Corte di Appello, era stato comunque acclarato che il marito abbia tolto alla moglie la procura sul conto corrente e sul bancomat, lasciando a questa solo una carta per la spesa al supermercato, con un limitato plafond, respingendo quindi le censure della difesa circa il buon livello economico della famiglia, perché processualmente dimostrato “che il marito aveva privato sostanzialmente la moglie della disponibilità del denaro depositato sul conto bancario; come ben evidenziato dalla corte d’appello”.

La Cassazione ha dunque riconosciuto l’astratta idoneità della c.d. violenza economica ad integrare il reato di maltrattamenti in famiglia precisando che la condotta di vessazione economica tenuta dall’imputato si inseriva all’interno di una cornice di abituali violenze fisiche e sessuali, con la specificazione che la privazione dell’accesso alle risorse economiche della coppia era solo una delle tante forme di maltrattamento perpetrate dall’imputato nei confronti della moglie.

2. La sentenza 43960/2015: il fatto addebitato e lo svolgimento del processo

È necessario segnalare che la S.C. si è già espressa in materia di violenza economica con la sentenza n. 43960/2015, stabilendo il principio che non integra il reato in esame il solo comportamento del coniuge che impedisce all’altro di essere economicamente indipendente.

2.1. il fatto addebitato e lo svolgimento del processo

Con sentenza del 17 aprile 2015, il Gup del Tribunale di Pistoia aveva dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell’imputato accusato dalla moglie di fatti qualificati come maltrattamenti in famiglia e lesioni. Tra le condotte contestate all’uomo, era addebitata anche la violenza economica, in quanto l’imputato avrebbe impedito alla persona offesa dal reato di essere economicamente indipendente.
Nel ricorso per cassazione, la parte civile ha chiesto l’annullamento della sentenza per violazione di legge in relazione all’art. 572 c.p. e vizio di motivazione.

2.2. il principio di diritto

La Corte ha rigettato il ricorso ribadendo innanzitutto quanto già emerge da consolidata giurisprudenza in relazione alla competenza del Gup, per cui il giudice dell’udienza preliminare è legittimato ad emettere sentenza liberatoria se la tesi dell’accusa appare insostenibile ed insuperabile in dibattimento.

Andando, poi, nello specifico dei motivi di ricorso inerenti la valutazione della condotta contestata all’imputato, i giudici di legittimità si sono pronunciati nel senso di non poter sussumere nella fattispecie dell’art. 572 c.p. la condotta dell’imputato reo aver impedito alla coniuge di essere economicamente indipendente.

Precisa in tal senso la Corte: “Come già notato, detta fattispecie incriminatrice richiede che siano provati comportamenti vessatori suscettibili di provocare un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica della persona offesa, mentre le scelte economiche ed organizzative in seno alla famiglia, per quanto non pienamente condivise da entrambi i coniugi, non possono di per sé integrare gli estremi dei maltrattamenti, salvo non sia provato che esse costituiscano frutto di comprovati atti di violenza fisica o di prevaricazione psicologica.

Il quadro giurisprudenziale ed i consigli del legale.

Le due pronunce prese in considerazione contribuiscono a delimitare i limiti (in positivo ed in negativo) dell’ambito applicativo del concetto di violenza economica. Sebbene, infatti, le condotte di privazione di risorse economiche, quali possono essere l’impedimento di conoscere il reddito familiare o di contribuire alla sua formazione, di avere una carta di credito o un bancomat, di usare il proprio denaro o il costante controllo su quanto si spende, possano concorrere ad integrare la fattispecie dei maltrattamenti, come si evince dalle sentenze appena esaminate, occorre comunque, che tali condotte siano, oltre che abituali, capaci di indurre nella vittima uno stato di prostrazione morale e psicologica.

Per far valere una responsabilità in ordine al grave delitto di maltrattamenti in famiglia occorrerà, quindi, predisporre l’atto di denuncia da presentare direttamente alla Procura della Repubblica territorialmente competente ovvero alla Polizia di Stato o al Comando di Carabinieri di zona, descrivendo dettagliatamente i fatti storici accaduti in modo tale che dalla loro concatenazione temporale e dalla gravità dei singoli eventi il PM che sarà delegato alle indagini possa configurare a carico del loro autore (soggetto attivo del reato) una condotta abituale di prevaricazione consumata con atti di violenza materiale e/o psicologica che abbia leso l’integrità fisica e morale della vittima, condizionandone la vita individuale e di relazione.

E poiché per giurisprudenza costante la condotta abituale può manifestarsi con fatti commissivi (azioni illecite) od omissivi (dolosa inerzia), secondo i principi stabiliti dagli arresti giurisprudenziali richiamati, la cosciente e volontaria privazione di mezzi economici perpetrata in danno del coniuge economicamente debole, generalmente privo di reddito autonomo, può essere allegata quale elemento costitutivo dei maltrattamenti in famiglia unitamente ad altri fatti illeciti suscettibili di prova nell’ambito del giudizio penale per giungere all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato ed all’accoglimento della conseguente richiesta di risarcimento danni nell’ipotesi di avvenuta costituzione di parte civile.

In tema di maltrattamenti in famiglia occorre infine ricordare che l’art. 76 del T.U. spese di giustizia (D.P.R. 115/2002, come novellato dalla Legge n. 38/ 2009) prevede la possibilità di ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato della persona offesa del reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) anche in deroga ai limiti di reddito (soglia di € 11.528,41 annui) consentendo, quindi, la assistenza e difesa tecnica anche ai soggetti passivi della c.d. violenza economica.