Rassegna della giurisprudenza penale Ottobre 2017

Reati contro la famiglia

Violazione degli obblighi di assistenza familiare – Figlio minore – Stato di indigenza. (Cp, articolo 570, comma 2, numero 2)
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non è necessaria la verifica dell’eventuale stato di indigenza in cui si trovi il minore destinatario dell’obbligo di contribuzione, atteso che lo stato di bisogno è insito in tale condizione.
Sezione VI, sentenza 23 giugno-24 agosto 2017 n. 39411 – Pres. Conti; Rel. Petruzzellis; Pm (conf.) Loy; Ric. G.

Violazione degli obblighi di assistenza – Incapacità economica del soggetto obbligato – Stato di disoccupazione. (Cp, articolo 570, comma 2)
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di disoccupazione non scrimina dall’obbligo di contribuzione, a meno che non si provi l’assoluta impossibilità di fare fronte alle obbligazioni attraverso la dimostrazione di una fruttuosa attivazione in tal senso. Sezione VI, sentenza 23 giugno-24 agosto 2017 n. 39411 – Pres. Conti; Rel. Petruzzellis; Pm (conf.) Loy; Ric. G.

Reati Ambientali

Attività illecite – Soggetti responsabili – Delega di funzioni. (Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)
In materia ambientale, come peraltro in materia di sicurezza sul lavoro, allorquando si tratti di aziende di non modeste dimensioni, il legale rappresentante può, a fronte della molteplicità dei compiti istituzionali o della complessità dell’organizzazione aziendale, affidare in base a precise disposizioni preventivamente adottate secondo le disposizioni statutarie, la direzione di singoli rami o impianti a persone, dotate di capacità tecnica e autonomia decisionale: in tal caso, la responsabilità penale ricade su questi ultimi soggetti, quando si accerti che il titolare stesso non abbia interferito nella loro attività. Peraltro, per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; d) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; e) l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo.
Sezione III, sentenza 1°-23 giugno 2017 n. 31364 – Pres. Amoresano; Rel. Galterio; Pm (conf.) Cuomo; Ric. Paterniti Isabella

Reati contro la pubblica amministrazione

Corruzione – Corruzione per l’esercizio della funzione – Elementi strutturali. (Cp, articolo 318)
Il reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’articolo 318 del Cp è configurabile anche per il solo fatto dell’accordo tra pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) e corruttore in relazione allo svolgimento della pubblica funzione (o del pubblico servizio), in cambio della promessa o della dazione di indebite utilità, indipendentemente dall’effettivo compimento degli atti costituenti estrinsecazione della pubblica funzione (o del pubblico servizio). Infatti, il novum normativo introdotto con la legge n. 190 del 2012 ha sostituito alla precedente causale del compiendo o compiuto atto dell’ufficio, oggetto di “retribuzione”, il più generico collegamento, della dazione o promessa di utilità, ricevuta o accettata, all’esercizio (non temporalmente collocato e, quindi, suscettibile di coprire entrambe le situazioni già previste nei due commi del precedente testo dell’articolo) delle funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, così configurando, per i fenomeni corruttivi non riconducibili all’area dell’articolo 319 del Cp, una fattispecie di onnicomprensiva “monetizzazione” del munus pubblico, sganciata in sé da una logica di formale sinallagma tra atto e retribuzione. Per l’effetto, il reato è ravvisabile anche solo in presenza di un mero accordo avente a oggetto l’indebita negoziazione della funzione pubblica (o del pubblico servizio), e a prescindere dall’esecuzione di specifici atti o attività.
Sezione VI, sentenza 8 giugno-24 luglio 2017 n. 36769 – Pres. Rotundo; Rel. Corbo; Pm (conf.) Di Leo; Ric. proc. Rep. Trib. Milano in proc. Volontè

Corruzione – Corruzione per l’esercizio della funzione – Sindacato del contenuto dell’atto. (Cp, articolo 318)
Il reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’articolo 318 del Cp è ravvisabile anche solo in presenza di un mero accordo avente a oggetto l’indebita negoziazione della funzione pubblica (o del pubblico servizio), e a prescindere dall’esecuzione di specifici atti o attività, ma in ogni caso, quand’anche la contestazione avesse come termine di riferimento l’esecuzione di specifici atti o di specifiche attività, questo non implica alcuna valutazione di tali atti o attività in termini di “contrarietà” ai doveri di ufficio e, quindi, non presuppone alcun sindacato sul contenuto degli stessi. Ciò perché la fattispecie di cui all’articolo 318 del Cp si distingue da quella di corruzione di cui all’articolo 319 del Cp, perché è quest’ultima che sanziona la corruzione per atto “contrario” ai doveri di ufficio: solo quest’ultima figura delittuosa, quindi, richiede un sindacato riguardante il contenuto dell’atto, mentre l’ipotesi prevista dall’articolo 318 del Cp non prevede tale sindacato, essendo costruita sul presupposto che la dazione o promessa di dazione indebita rivolta al pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) abbia a oggetto l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.
Sezione VI, sentenza 8 giugno-24 luglio 2017 n. 36769 – Pres. Rotundo; Rel. Corbo; Pm (conf.) Di Leo; Ric. proc. Rep. Trib. Milano in proc. Volontè.

Corruzione – Corruzione propria – Atto discrezionale del pubblico ufficiale compiuto dietro pagamento di un indebito compenso. (Cp, articolo 319)
Integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali rinunciando a una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, ex post, con l’interesse pubblico, e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni, in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l’elemento decisivo è costituito dalla “vendita” della discrezionalità accordata dalla legge.
Sezione VI, sentenza 18 luglio-8 agosto 2017 n. 39020 – Pres. Rotundo; Rel. Tronci; Pm (diff.) Rossi; Ric. Alfano e altro

Corruzione – Corruzione propria – Atto di ufficio – Parere non vincolante. (Cp, articolo 319)
Il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio può essere integrato anche mediante il rilascio di un parere non vincolante, allorché esso assuma rilevanza decisiva nella concatenazione degli atti che compongono la complessiva procedura amministrativa e, quindi, incida sul contenuto dell’atto finale. Sezione VI, sentenza 18 luglio-8 agosto 2017 n. 39020 – Pres. Rotundo; Rel. Tronci; Pm (diff.) Rossi; Ric. Alfano e altro Corruzione – Corruzione propria – Dimostrazione – Rilevanza. (Cp, articolo 319) Il paradigma normativo dell’articolo 319 del Cp è esplicito nel significare che la dazione indebita, dal corruttore al corrotto, deve essere finalizzata all’impegno di porre in essere, ovvero alla già effettuata realizzazione, di un atto/comportamento contrario ai doveri d’ufficio da parte del soggetto munito di qualifica pubblicistica. Ne discende che la prova della dazione indebita di un’utilità in favore del pubblico ufficiale ben può costituire, logicamente, un indizio in tal senso, di per sé solo, tuttavia, insufficiente a dare contezza che essa sia preordinata al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio: donde la necessità di un più robusto costrutto probatorio che, in assenza di una prova diretta, si conformi al dettato dell’articolo 192, comma 2, del Cpp, in ambito indiziario.
Sezione VI, sentenza 18 luglio-8 agosto 2017 n. 39020 – Pres. Rotundo; Rel. Tronci; Pm (diff.) Rossi; Ric. Alfano e altro.

Responsabilità dei sanitari

Responsabilità medica – Responsabilità professionale – Ius superveniens. (Cp, articoli 43 e 590- sexies ; legge 8 novembre 2012 n. 189, articolo 3; legge 8 marzo 2017 n. 24, articolo 6)
In tema di responsabilità penale del medico, il fatto colposo commesso prima dell’entrata in vigore del nuovo articolo 590-sexies del Cp, introdotto dalla legge n. 24 del 2017, in ordine al quale risulti accertata l’inosservanza delle linee guida e, comunque, delle buone prassi clinico assistenziali e risulti altresì qualificata la condotta colposa come caratterizzata da “negligenza” piuttosto che da “imperizia”, esclude in ogni caso l’applicabilità dell’innovata disciplina sanzionatoria.
Sezione IV, sentenza 6 giugno-11 luglio 2017 n. 33770 – Pres. Blaiotta; Rel. Pavich; Pm (conf.) Romano; Ric. Spagnoli

Reati contro la persona

Atti persecutori – Differenza con i reati di molestie e minacce. (Cp, articoli 612, 612-bis e 660)
Il delitto di atti persecutori è reato abituale che differisce dai reati di molestie e di minacce, che pure ne possono rappresentare un elemento costitutivo, per la produzione di un evento di “danno” consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva. Da ciò deriva, da un lato, che le condotte integranti gli atti persecutori ben possono anche ciascuna di esse integrare un’ipotesi autonoma di reato, concorrendo solo nel loro insieme a integrare il reato abituale di atti persecutori, e, dall’altro, che la circostanza che, sotto il profilo investigativo, alcune delle condotte ascritte all’imputato siano state già perseguite autonomamente non è idonea a inficiare la ravvisata configurabilità dello stalking, perché tale reato abituale è, appunto, strutturalmente diverso dalle singole condotte che lo compongono proprio anche in considerazione della produzione di uno degli eventi di danno indicati dall’articolo 612-bis del Cp.
Il reato di atti persecutori può concorrere con quello di lesioni, avendo oggetto giuridico diverso.
Sezione V, sentenza 3 febbraio-31 agosto 2017 n. 39758 – Pres. Lapalorcia; Rel. Pezzullo; Pm (conf.) Pinelli; Ric. X.

Atti persecutori – Procedibilità a querela – Connessione con reato procedibile d’ufficio – Nozione. (Cp, articolo 612-bis, comma 4; Cpp, articolo 12)
Il delitto di atti persecutori è procedibile d’ufficio se ricorre l’ipotesi di connessione prevista nell’ultimo comma dell’articolo 612-bis del Cp, la quale si verifica non solo quando vi è connessione in senso processuale (articolo 12 del Cpp), ma anche quando vi è connessione in senso materiale, cioè ogni qualvolta l’indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro, oppure l’uno per occultare l’altro oppure ancora in uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell’articolo 371 del Cpp e purché le indagini in ordine al reato perseguibile d’ufficio siano state effettivamente avviate.
Sezione V, sentenza 3 febbraio-31 agosto 2017 n. 39758 – Pres. Lapalorcia; Rel. Pezzullo; Pm (conf.) Pinelli; Ric. X.

Lesioni personali – Lesioni personali stradali gravi e gravissime – Procedibilità d’ufficio. (Cp, articolo 590 bis)
Il reato di lesioni personali stradali gravi e gravissime di cui all’articolo 590-bis del Cp è procedibile d’ufficio, trattandosi di una figura autonoma di reato e non di una circostanza aggravante ad effetto speciale del reato di cui all’articolo 590 del Cp.
Sezione IV, sentenza 16 maggio-15 settembre 2017 n. 42346 – Pres. Bianchi; Rel. Ranaldi; Pm (conf.) non indicato; Ric. X.

Lesioni personali colpose – Omessa custodia di animale – Obblighi cautelari a carico del proprietario. (Cp, articoli 40 e seguenti, 672 e 590)
In tema di lesioni colpose conseguenti a difetto di custodia di animali, il proprietario detentore di un cane è titolare di una posizione di garanzia che gli impone l’obbligo di controllare e di custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi anche all’interno dell’abitazione, mentre il proprietario che affidi la custodia dell’animale ad altra persona è parimenti responsabile nel caso in cui lo stesso sia in concreto ancora in grado di esercitare il potere di controllo ovvero, nel caso di affidamento “temporaneo”, abbia delegato la custodia a persone non in grado, secondo un giudizio ex ante e in concreto, di adempiere adeguatamente al relativo onere. Diversa è invece l’ipotesi in cui l’affidamento a terzi dell’animale non sia transitorio e temporaneo, giacché, se si tratti di delega stabile e di assenza costante del proprietario, l’indagine da compiere, per fondare la responsabilità del proprietario, è se, invece, questi abbia comunque mantenuto effettivi poteri di vigilanza sull’animale affidato in custodia a terzi (da queste premesse, in una vicenda in cui era stato accertato l’affidamento dell’animale da parte del proprietario alla madre, è stata annullata con rinvio la condanna del proprietario stesso, con invito al giudice di accertare se si fosse trattato di affidamento transitorio – con conseguente corresponsabilità del proprietario – ovvero avente carattere di definitiva stabilità – come assunto dalla difesa – in assenza di alcun potere di effettivo controllo del proprietario delegante in ordine alla concreta gestione degli animali).
Sezione IV, sentenza 7 giugno-15 settembre 2017 n. 42307 – Pres. Bianchi; Rel. Miccichè; Pm (parz. conf.) Tampieri

Reati contro la libertà individuale

Atti persecutori – Natura – Reato abituale. (Cp, articolo 612-bis)
Il reato di atti persecutori è un reato abituale di evento, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza, cioè, per la produzione di un evento di “danno”, consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, per la cui sussistenza, dunque, è sufficiente il verificarsi di uno degli eventi previsti, in via alternativa, dall’articolo 612-bis del Cp. Trattandosi di reato abituale, è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza, cosicché l’essenza dell’incriminazione si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, che li cementa, “identificando” un comportamento criminale diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo.
Sezione V, sentenza 3 aprile-19 luglio 2017 n. 35588 – Pres. Sabeone; Rel. Miccoli; Pm (parz. diff.) Fimiani; Ric. parte civile C. in proc. P. e altro

Atti persecutori – Reiterazione delle condotte. (Cp, articolo 612-bis)
Integrano il reato di atti persecutori, che costituisce reato abituale, anche due sole condotte tra quelle descritte dall’articolo 612-bis del Cp, anche laddove reiterate in un arco di tempo molto ristretto, purché si tratti di atti autonomi. Invece, un solo episodio, per quanto grave e da solo anche capace, in linea teorica, di determinare il grave e persistente stato di ansia e di paura o altro degli eventi naturalistici del reato, non è sufficiente a determinare la lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice de qua, potendolo essere, semmai, alla stregua di precetti diversi.
Sezione V, sentenza 3 aprile-19 luglio 2017 n. 35588 – Pres. Sabeone; Rel. Miccoli; Pm (parz. diff.) Fimiani; Ric. parte civile C. in proc. P. e altro

Atti persecutori – Procedibilità. (Cp, articolo 612-bis, comma 4; Cp, articolo 124)
Il carattere del delitto di atti persecutori, quale reato abituale a reiterazione necessaria delle condotte, rileva anche ai fini della procedibilità, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui il presupposto della reiterazione venga integrato da condotte poste in essere oltre i sei mesi previsti dalla norma rispetto alla prima o alle precedenti condotte, la querela estende la sua efficacia anche a tali pregresse condotte, indipendentemente dal decorso del termine di sei mesi per la sua proposizione, previsto dal quarto comma dell’articolo 612-bis del Cp. Sezione V, sentenza 3 aprile-19 luglio 2017 n. 35588 – Pres. Sabeone; Rel. Miccoli; Pm (parz. diff.) Fimiani; Ric. parte civile C. in proc. P. e altro

Concorso di reati – Cause di non punibilità – Particolare tenuità del fatto. (Cp, articolo 131 bis, comma 3)
La commissione di due distinti reati, ma nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, non osta all’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis del Cp, perché la volontà criminosa è sostanzialmente unica e quando regge una singola azione o anche più azioni, ma poste in essere nel medesimo contesto spazio temporale, non appare di per sé incompatibile con il concetto di estemporaneità dell’azione illecita rispetto alla positiva personalità del reo posta alla base della disciplina della suddetta causa di non punibilità (nella specie, in cui l’imputato, nel medesimo contesto spazio temporale aveva commesso i reati di violazione di domicilio e di minaccia, la Corte ha rigettato il ricorso del procuratore generale avverso la sentenza che aveva applicato la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto).
Sezione V, sentenza 31 maggio-19 luglio 2017 n. 35590 – Pres. Palla; Rel. Gorjan; Pm (diff.) Non indicato; Ric. Proc. gen. App. Venezia in proc. Battizocco.

Reati tributari

Abuso del diritto – Ambito di operatività in sede penale – Fattispecie. (Legge 27 luglio 2000 n. 212; decreto legislativo 5 agosto 2015 n. 128, articolo 1; decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, articolo 4)
In tema di violazioni finanziarie, l’istituto dell’abuso del diritto di cui all’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000 n. 212, per effetto della modifica introdotta dal decreto legislativo 5 agosto 2015 n. 128, esclude la rilevanza penale delle condotte a esso riconducibili e ha ormai applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi. Ne consegue, pertanto, che non è più configurabile il reato di dichiarazione infedele, in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali, in quanto l’articolo 10-bis citato, esclude che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti (nella specie, la Corte, pur annullando senza rinvio per intervenuta prescrizione la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000, ha ritenuto motivatamente esclusa la configurabilità dell’abuso del diritto, avendo il giudice spiegato come si fosse in presenza di comportamenti “simulatori” preordinati alla immutatio veri del contenuto della dichiarazione dei redditi, per la comprovata esistenza di una falsità ideologica interessante il contenuto della dichiarazione e avente come obiettivo principale l’occultamento totale o parziale della base imponibile).
Sezione III, sentenza 21 aprile-31 luglio 2017 n. 38016 – Pres. Amoresano; Rel. Di Nicola; Pm (diff.) Cuomo; Ric. Ferrari.

Omesso versamento di ritenute – Modifica normativa – Effetti in sede esecutiva. (Decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, articoli 10-bis; decreto legislativo 2 settembre 2015 n. 158; Cp, articolo 2, comma 2; Cpp, articolo 673, comma 1)
La nuova fattispecie di reato di cui all’articolo 10-bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, come modificata dal decreto legislativo 24 settembre 2015 n. 158, che ha elevato a euro 150.000,00 l’importo delle ritenute certificate non versate, ha determinato l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva a oggetto somme pari o inferiori a detto importo: vertendosi in ipotesi di abrogazione parziale trovano applicazione gli articoli 2, comma 2, del Cp e 673, comma 1, del Cpp (da queste premesse, la Corte, in una vicenda in cui vi era stato decreto penale irrevocabile per un illecito successivamente divenuto penalmente irrilevante, perché sotto la nuova soglia di punibilità, accogliendo il ricorso del condannato ha annullato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva rigettato la richiesta di revoca e ha conseguentemente disposto la revoca del decreto penale perché il fatto non è previsto dalla legge come reato).
Sezione III, sentenza 5 maggio-13 luglio 2017 n. 34362 – Pres. Savani; Rel. Aceto; Pm (conf.) Spinaci; Ric. Sbrolla

Previdenza e assistenza – Omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni – Rilevanza penale delle sole violazioni il cui importo sia superiore a 10.000 euro annui – Consumazione. (Dl 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, artico¬lo 2, comma 1-bis; Dlgs 15 gennaio 2016 n. 8, articolo 3, comma 6).
Con l’articolo 3, comma 6, del Dlgs 15 gennaio 2016 n. 8, il legislatore, stabilendo che l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali di cui all’ articolo 2, comma 1-bis, del Dl 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, integra reato ove l’importo sia superiore a quello di 10.000 euro annui, ha configurato tale superamento, strettamente collegato al periodo temporale dell’anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività penale, che viene a segnare, tra l’altro, il momento consumativo del reato: conseguentemente, l’illecito penale deve ritenersi perfezionato nel momento e nel mese in cui l’importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell’anno considerato, superi l’importo di 10.000 euro. Con la conseguenza che le ulteriori successive omissioni, che seguano nei mesi successivi dello stesso anno, non danno luogo, in caso di secondo superamento della soglia, a un ulteriore reato, ma contribuiscono ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico per effetto del già verificatosi superamento dell’importo di legge (nella specie, la Corte, accogliendo il ricorso del procuratore generale, ha annullato la decisione del giudice che aveva assolto l’imputato dal reato contestatogli sulla base dell’erroneo assunto che dovesse considerarsi depenalizzato il reato per il solo fatto che le omissioni mensili fossero sotto soglia pur quando nell’arco dell’anno questa fosse stata superata).
Sezione III, sentenza 7 luglio-28 agosto 2017 n. 39464; Pres. Amoresano; Rel. Gai; Pm (diff.) Angelillis; Ric. Proc. gen. App. Palermo in proc. Campanotta.

Previdenza e assistenza – Contributi previdenziali e assicurativi – Omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni – Elemento soggettivo. (Dl 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, articolo 2, comma 1-bis; Cp, articolo 45)
Il reato di cui all’articolo 2, comma 1-bis, del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, che punisce l’omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, è reato punito a titolo di dolo generico, integrato dalla coscienza e volontà dell’omissione o della tardività del versamento delle ritenute, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evasione contributiva: sicché non rileva, sotto il profilo soggettivo, la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini le risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti. Del resto, le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non sono in alcun modo riconducibili al concetto di forza maggiore che postulando la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto e imprevedibile, esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo a un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente.
Sezione III, sentenza 18 luglio-10 agosto 2017 n. 39072 – Pres. Amoresano; Rel. Aceto; Pm (conf.) Cuomo; Ric. Falsini

Stupefacenti

Coltivazione – Rilevanza penale a prescindere dalla destinazione della sostanza. (Dpr 9 ottobre 1990 n. 309, articolo 73)
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 73 del Dpr 9 ottobre 1990 n. 309 sollevata in riferimento agli articoli 3, 13, 25, comma 2, e 27, comma 1, della Costituzione, sul rilevo del fatto che la condotta di coltivazione costituisce di per sé reato, a prescindere dalla finalità cui è preordinata, giacché, laddove fosse provata la finalità di uso esclusivamente personale della condotta di coltivazione, non vi potrebbe essere alcun pericolo di diffusione della sostanza e dunque alcuna offesa al bene protetto. Infatti, la questione è già stata respinta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 360 del 1995; ordinanza n. 109 del 2016), la quale ha osservato come, nel caso della coltivazione, manchi il nesso di immediatezza con l’uso personale e ciò giustifichi un atteggiamento di maggiore rigore, rientrando nella discrezionalità del legislatore anche la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all’approvvigionamento di sostanze stupefacenti. A ciò dovendosi aggiungere il rilievo che, nel caso della coltivazione, non è apprezzabile ex ante, con sufficiente grado di certezza, la quantità di prodotto ricavabile dal ciclo della coltivazione, sicché anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate e la corretta valutazione della destinazione della sostanza stessa a uso personale risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili e ciò ridonda in maggiore pericolosità della condotta. Infine, vale l’ulteriore rilievo che l’attività produttiva è destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili e quindi ha una maggiore potenzialità diffusiva delle sostanze stupefacenti estraibili .
Sezione IV, sentenza 18 maggio-21 settembre 2017 n. 43465 – Pres. Blaiotta; Rel. Di Salvo; Pm (diff.) Balsamo; Ric. X.

Circolazione stradale

Comportamento del conducente in caso di incidente con danno alla persona – Inottemperanza all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza. (Decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, articolo 189, commi 1 e 7).
Il reato di cui al combinato disposto dell’articolo 189, commi 1 e 7, del codice strada, che punisce la violazione dell’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alle persone ferite da parte dell’utente della strada, in caso di incidente con danno alle persone «comunque ricollegabile al suo comportamento», trova il suo fondamento nell’obbligo giuridico di attivarsi previsto dal comma 1 del citato articolo, che attribuisce al conducente che si trovi nell’anzidetta situazione una “posizione di garanzia” per proteggere altri utenti coinvolti nel medesimo incidente dal pericolo derivante da un ritardato soccorso. La posizione di garanzia trova la sua ratio nel dato di esperienza per cui i protagonisti del sinistro sono in condizione di percepirne, nell’immediatezza, le conseguenze dannose o pericolose, e, dunque, di evitare, indipendentemente dalla propria responsabilità, che dal ritardato soccorso delle persone ferite possa derivarne un danno alla vita e all’integrità fisica. Per l’effetto, nella previsione incriminatrice manca qualsiasi rapporto che condizioni l’esistenza dell’obbligo di attivarsi alla qualificazione come reato della condotta dell’utente, giacché la sola condizione per l’esigibilità dell’assistenza e la punibilità della sua omissione è posta nella generalissima relazione di collegamento (a qualsiasi titolo) tra incidente e comportamento di guida dell’utente della strada.
Sezione IV, sentenza 15 giugno-11 luglio 2017 n. 33772 – Pres. Ciampi; Rel. Serrao; Pm (conf.) Romano;

Omicidio colposo da circolazione stradale – “Prevedibilità” ed “evitabilità” dell’evento. (Cp, articoli 43 e 589)
In tema di reati colposi, l’elemento soggettivo del reato richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine (cosiddetto “comportamento alternativo lecito”), non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato: infatti, non sarebbe razionale pretendere, fondando poi su di esso un giudizio di rimproverabilità, un comportamento che sarebbe comunque inidoneo a evitare il risultato antigiuridico (cfr. sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn). In un tale ambito ricostruttivo, la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso eziologico tra la condotta e l’evento non sono sufficienti per fondare l’affermazione di responsabilità, giacché occorre anche chiedersi, necessariamente, se l’evento derivatone rappresenti o no la “concretizzazione” del rischio che la regola stessa mirava a prevenire e se tale evento fosse evitabile (fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo conseguente a sinistro stradale, pronunciata a carico di un imputato che aveva investito con la sua autovettura la conducente di un motociclo, intenta a effettuare una manovra di svolta a sinistra, in una situazione in cui l’imputato era risultato nell’impossibilità di evitare l’investimento, perché la vittima, mentre passava da tergo l’autovettura, aveva autonomamente perso l’equilibrio cadendo proprio al passaggio del mezzo).
Sezione IV, sentenza 30 maggio-13 luglio 2017 n. 34375 – Pres. Blaiotta; Rel. Costantini; Pm (diff.) Stabile; Ric. Fumarulo.

Comportamento del conducente in caso di incidente con danno alla persona – Inottemperanza all’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza. (Decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, articolo 189, commi 1 e 7)
Il reato di cui al combinato disposto dell’articolo 189, commi 1 e 7, del codice strada, che punisce la violazione dell’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza alle persone ferite da parte dell’utente della strada, in caso di incidente con danno alle persone «comunque ricollegabile al suo comportamento», trova il suo fondamento nell’obbligo giuridico di attivarsi previsto dal comma 1 del citato articolo, che attribuisce al conducente che si trovi nell’anzidetta situazione una “posizione di garanzia” per proteggere altri utenti coinvolti nel medesimo incidente dal pericolo derivante da un ritardato soccorso. La posizione di garanzia trova la sua ratio nel dato di esperienza per cui i protagonisti del sinistro sono in condizione di percepirne, nell’immediatezza, le conseguenze dannose o pericolose, e, dunque, di evitare, indipendentemente dalla propria responsabilità, che dal ritardato soccorso delle persone ferite possa derivarne un danno alla vita e all’integrità fisica. Per l’effetto, nella previsione incriminatrice manca qualsiasi rapporto che condizioni l’esistenza dell’obbligo di attivarsi alla qualificazione come reato della condotta dell’utente, giacché la sola condizione per l’esigibilità dell’assistenza e la punibilità della sua omissione è posta nella generalissima relazione di collegamento (a qualsiasi titolo) tra incidente e comportamento di guida dell’utente della strada.
Sezione IV, sentenza 15 giugno-11 luglio 2017 n. 33772 – Pres. Ciampi; Rel. Serrao; Pm (conf.) Romano;

Prevenzione ed infortuni sul lavoro.

Prevenzione infortuni – Enti pubblici – Qualifica di datore di lavoro – Responsabilità per omessa esecuzione degli interventi necessari a garantire la sicurezza. (Decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81, articolo 2)
In tema di prevenzione degli infortuni, il dirigente del settore manutenzione del patrimonio edilizio comunale, pur potendo assumere la qualità di datore di lavoro ex articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 81 del 2008, non è responsabile delle violazioni che sanzionano la mancata esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e ristrutturazione degli edifici scolastici, qualora risulti in concreto privo di autonomi poteri gestionali, decisionali e di spesa: infatti, perché il dirigente assuma la qualifica di datore di lavoro occorre gli siano attribuiti in concreto “poteri di gestione”, ivi compresa la titolarità di autonomi poteri decisori in materia di spesa. In questa prospettiva, qualora l’organo politico dell’ente sia imputato di una violazione in materia di sicurezza sul lavoro, incombe sullo stesso l’onere della prova dell’esistenza di un dirigente dotato di competenza nel settore, nonché dei mezzi per esercitare in concreto detta competenza.
Sezione III, sentenza 17 gennaio-5 luglio 2017 n. 32358 – Pres. Di Nicola; Rel. Andronio; Pm (conf.) Fimiani;

Reati contro il patrimonio.

Truffa – Condotta materiale – Artifici e raggiri. (Cp, articolo 640)
Integra gli estremi degli artifici e raggiri del reato di truffa, la condotta dell’imprenditore edile che, trovandosi in conclamato stato di insolvenza, non si limita a tacere al cliente che intende acquistare un immobile in costruzione il suddetto stato, ma, al fin di convincerlo a stipulare un preliminare di vendita e, quindi, a ricevere gli acconti pattuiti, si mostra disponibile a concedere sconti e altri vantaggi di natura economica, promette di stipulare la fideiussione prevista dalla legge, gli mostra altri immobili già quasi completati in altro cantiere aperto, distribuisce depliant molto accurati, ingenerando così un inesistente stato di solidità finanziaria ed economica dell’impresa.
Sezione III, sentenza 23 maggio-13 giugno 2017 n. 29503 – Pres. Davigo; Rel. Rago; Pm (conf.) Aniello; Ric. Barcella e altro.