Nessun limite di reddito per il gratuito patrocinio a favore della persona offesa per reati gravi conto la persona e la famiglia.
Con la sentenza del 20 marzo 2017, n. 13497 la Corte di Cassazione, sezione IV penale, si è pronunciata sulla richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato formulata da persona offesa per maltrattamenti, lesioni e c.d. “stalking”, fornendo, attraverso l’interpretazione delle norme in materia, indicazioni sul dovere del giudice di ammettere al gratuito patrocinio in caso di delitti contro la persona.
Il fatto e lo svolgimento del processo
L’stanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, inerente i reati degli articoli 572 (lesioni personali), 582 (maltrattamenti contro familiari) e 612 bis (atti persecutori) c.p., è stata presentata dalla persona offesa e rigettata dal GUP per difetto delle necessarie indicazioni concernenti il reddito. L’istante ha, dunque, proposto opposizione avverso il provvedimento di rigetto, chiedendone l’annullamento, ma il Tribunale ha rigettato l’opposizione ritenendo che la domanda di ammissione mancasse del requisito previsto a pena di ammissibilità dall’art. 79, lett. c) T.U. spese di Giustizia, ossia l’allegazione della dichiarazione sostitutiva di certificazione dei redditi prodotti dall’istante, precisando altresì che l’art. 76, comma 4 ter del T.U., che esonera dai limiti di reddito le persone offese da diverse tipologie di reato, tra cui quelli dedotti nel caso concreto, non prevede una ammissione ex lege al patrocinio della persona offesa indipendentemente dal reddito, bensì la norma attribuisce al giudice il potere di ammettere al gratuito patrocinio, ma senza prescindere dalla valutazione degli elementi di fatto, in particolare del reddito.
Il punto di diritto e la decisione della Cassazione
Avverso la decisione del Tribunale è stato proposto ricorso per Cassazione, lamentando nei motivi, per quanto interessa in questa sede, la violazione e falsa applicazione dell’art. 76, comma 4 ter, in quanto la norma in questione introdurrebbe una deroga al limite di reddito previsto per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, fissato nella soglia di euro 11.369,24 e che il giudice avrebbe fornito una lettura estremamente formale della norma, senza curarsi della finalità di questa alla tutela della persona offesa, indipendentemente dalle proprie caratteristiche reddituali.
La Corte ha accolto la doglianza, avendo cura di precisare che la finalità della normativa relativa al patrocinio gratuito “non può che essere quella di rimuovere ogni possibile ostacolo (anche economico) che possa disincentivare un soggetto, già in condizioni di disagio, ad agire in giudizio.”
L’art. 76, comma 4 ter, T.U.S.G., dispone: “La persona offesa dai reati di cui agli artt. 572, 583 bis, 609 bis, 609 quater, 609 octies e 612 bis, nonchè, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600 bis, 600 ter, 600 quinquies, 601, 602, 609 quinquies e 609 undecies c.p., può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto”. La questione sottoposta al giudizio di legittimità, dunque, verterebbe sulla interpretazione della norma, in relazione alla sussistenza di un potere o di un dovere del giudice di ammettere al patrocinio.
In tal senso la Corte:
“Residua, quindi, un problema di natura interpretativa in riferimento alla dizione letterale della norma laddove si enuncia che la vittima “può” e non “deve” essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto. In altri termini sembrerebbe che il giudice abbia una mera facoltà e non un dovere di accogliere la domanda di fruizione del beneficio. Ritiene il Collegio che il termine “può” debba essere inteso come dovere del giudice di accogliere l’istanza “se” presentata dalla “persona offesa” da “uno dei reati di cui alla norma” e all’esito della positiva verifica dell’esistenza di un “procedimento iscritto relativo ad uno dei menzionati reati”. Tale interpretazione si impone in prospettiva teleologica posto che la finalità della norma in questione appare essere quella di assicurare alle vittime di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale. Da tali premesse discende che l’istanza di ammissione al patrocino a spese dello Stato proposta dalla persona offesa da uno dei reati elencati dalla norma necessita solo dei requisiti di cui all’art. 79 T.U.S.G., comma 1, lett. a) e b). In vero, in mancanza di una espressa disposizione legislativa, il giudice non potrebbe negare l’ammissione al beneficio solo sulla base della mancata allegazione della dichiarazione sostitutiva di certificazione, da parte dell’interessato”.