Condannato l’anestesista che non si attiene alle linee guida: la responsabilità del medico tra il decreto Balduzzi e la legge Gelli.
Con la sentenza del 06 giugno 2017 n.33770 (depositata l’11.07.2017) la Corte di Cassazione, sezione IV penale, è tornata a pronunciarsi sulla responsabilità del medico per un caso di omicidio colposo ascritto al medico anestesista la cui condotta è stata vagliata in sede di legittimità sulla base della intervenuta successione delle leggi penali nel tempo che regolano la responsabilità dei sanitari.
Il fatto e l’imputazione.
L’addebito mosso al medico anestesista riguarda le condotte dallo stesso poste in essere nei riguardi della paziente, che era stata ricoverata presso il nosocomio in relazione agli esiti traumatici di un incidente stradale, qualificate come omicidio colposo.
In seguito al ricovero, la paziente traumatizzata veniva sottoposta ad un intervento chirurgico di riduzione chiusa di una frattura nasale non a cielo aperto; dopo l’operazione, la donna veniva quindi trasferita nel reparto di rianimazione, dove però decedeva per insufficienza cardiorespiratoria. Secondo la ricostruzione operata dai consulenti del Pubblico ministero e accolta dai giudici di merito, al termine dell’intervento chirurgico si era manifestata nella paziente un’encefalopatia ischemica, dalla quale era derivato lo stato comatoso, con progressivo peggioramento delle condizioni generali e conseguente decesso; l’ischemia cerebrale veniva collegata a una carenza d’ossigeno generalizzata a livello cerebrale, indotta dalla condotta del sanitario imputato che aveva determinato un’insufficienza respiratoria a causa della mala gestio delle vie aeree (ed in specie dell’apparato oro tracheale).
Più precisamente l’imputata, secondo le linee guida, avrebbe dovuto assicurare alla paziente una corretta ventilazione polmonare durante l’intervento, pur con il presidio della cannula di Guedel (in concreto utilizzata al posto della più prudente intubazione oro tracheale), per evitare il pericolo, purtroppo verificatosi, di ostruzione delle alte vie respiratorie. La cattiva gestione delle vie aeree da parte del medico anestesista – proseguita pur a fronte di segni clinici strumentali della carenza di ossigeno nel sangue durante l’intervento determinava però, come detto, una condizione di prolungata ipossia, con conseguente danno cerebrale, in paziente che oltretutto era sottoposta ad operazione chirurgica in sede nasale.
Lo svolgimento del processo.
All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale di Roma aveva condannato l’imputato alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno in favore delle parti civile costituite.
La sentenza resa dal Giudice di prime cure veniva confermata in punto di responsabilità penale e per le statuizioni civili in grado di appello dalla Corte territoriale di Roma.
La difesa dell’imputato con il ricorso per cassazione aveva impugnato la sentenza emessa in grado di appello e tra i vari motivi di doglianza, per quanto qui di interesse, aveva censurato il diniego di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale da parte della Corte di Appello di Roma necessaria per valutare l’incidenza di eventuali infezioni nosocomiali quali concause dell’evento e sostenuto la riqualificazione giuridica della condotta dell’imputato da ricondurre nella colpa lieve e come tale non punibile secondo la disciplina della legge n.189 del 2012, art. 3.
Le ragioni del rigetto del ricorso ed il principio di diritto.
La Suprema Corte con sentenza in commento ha rigettato il ricorso per le seguenti ragioni:
i) in ordine alla dedotta idoneità interruttiva del nesso causale tra la condotta e l’evento delle infezioni sopraggiunte sulla paziente nel reparto di terapia intensiva ha statuito che: “non è in sostanza configurabile, nella specie, il sopravvenire di un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto alla condotta originaria, cui la giurisprudenza annette valore interruttivo del rapporto di causalità (si veda per tutte Sez. 4, n. 25689 del 03/05/2016, Di Giambattista e altri, Rv. 267374, ove la Corte ha evidenziato come l'”infezione nosocomiale” sia uno dei rischi tipici e prevedibili da tener in conto nei casi di non breve permanenza nei raparti di terapia intensiva, ove lo sviluppo dei processi infettivi è tutt’altro che infrequente in ragione delle condizioni di grave defedazione fisica dei pazienti);
ii) Per quanto riguarda l’invocata efficacia scriminante della colpa lieve, premessa da parte della Corte di legittimità la accertata grave negligenza nei gradi merito di per sé ostativa all’applicazione dell’invocata disciplina, aggiungono i Giudici del diritto che pur volendosi prescindere da tale classificazione del grado di colpa e della tipologia di condotta colposa attribuita all’imputato “deve rilevarsi che essa non risulterebbe in ogni caso aderente alle linee guida e/o alle buone pratiche, non solo sulla base della ricostruzione peritale accolta dalla Corte di merito, ma neppure in base alla stessa prospettazione difensiva; e che, secondo la predetta disposizione, solo il sanitario che “si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. Di tal che in nessun caso potrebbe ricondursi il caso in esame nella fattispecie abrogativa de qua”. Ed ancora che “è appena il caso di evidenziare che, in ogni caso, l’inosservanza delle linee guida e, comunque, delle buone pratiche clinico assistenziali, nonché la (corretta) qualificazione della condotta della ricorrente come caratterizzata da “negligenza” piuttosto che da “imperizia” escluderebbero anche la configurabilità dell’ipotesi di non punibilità del fatto prevista dal nuovo art.590-sexies c.p. (introdotto dalla L. n. 24 del 2017, art. 6), che oggi disciplina la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie in relazione alle fattispecie di omicidio colposo e lesioni personali colpose”.
Giurisprudenza rilevante sulla responsabilità del medico anestesista
Cassazione penale, sez. IV, 02/12/2016, n. 3312
È configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta (nella fattispecie, relativa a responsabilità professionale di un medico anestesista, la Corte ha annullato la sentenza di condanna ritenendo non approfondito il tema dell’interruzione del nesso causale tra l’errore omissivo addebitato all’imputato e il decesso del paziente, in presenza del comportamento parimenti colposo di altro medico anestesista, successivamente intervenuto, che in concreto aveva eseguito la manovra di intubazione risultata poi letale, tale da assumere decisivo rilievo eziologico e, comunque, tale da interrompere il nesso causale fra la condotta dell’imputato e l’evento mortale).
Cassazione penale, sez. IV, 05/05/2015, n. 33329
In tema di concorso di cause l’operatività del disposto di cui all’art. 41, comma 3, c.p. (secondo cui “le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”), può riconoscersi, sulla base della c.d. “teoria del rischio”, quando il rischio creato dalla condotta originariamente posta in essere dal primo soggetto agente (e nel quale vanno ricompresi anche gli eventuali effetti lesivi già prodottisi), possa dirsi interamente soppiantato dal maggior rischio derivante dalla condotta successivamente posta in essere da altro soggetto. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di merito con la quale, in un caso di colpa medica, era stato ritenuto che la condotta gravemente colposa posta in essere, nella fase di preparazione di un intervento chirurgico, dal medico anestesista e dalla quale era derivata, come conseguenza diretta, la morte del paziente, non fosse idonea ad interrompere il nesso di causalità rispetto alla condotta colposa posta precedentemente in essere da altri sanitari e consistita nella mancata effettuazione degli opportuni approfondimenti strumentali volti alla esatta individuazione ed al monitoraggio della patologia da cui il paziente era affetto).
Cassazione penale, sez. IV, 23/10/2014, n. 1832
In tema di colpa medica, il medico chirurgo operatore è titolare di un’ampia posizione di garanzia nei confronti del paziente, in virtù della quale egli è tenuto a concordare con l’anestesista il percorso anestesiologico da seguire – avute presenti anche le condizioni di salute del paziente e le possibili implicazioni operatorie legate ad esse – nonché a vigilare sulla presenza in sala operatoria del medesimo anestesista, deputato al controllo dei parametri vitali del paziente per tutta la durata dell’operazione.
Cassazione penale, sez. VI, 03/06/2014, n. 38354
Risponde del delitto di rifiuto di atti d’ufficio il medico anestesista che, subito dopo l’esecuzione di un intervento chirurgico di adenotonsillectomia, si sia allontanato senza attendere il regolare risveglio del paziente, senza accertarsi delle sue condizioni, senza lasciar detto dove andava e dove poter essere rintracciato, rendendosi irreperibile e irraggiungibile per oltre quaranta minuti, pur nella consapevolezza di aver lasciato senza la doverosa e cogente assistenza un paziente appena operato, nei fatti quindi rifiutando un atto del suo ufficio che doveva essere compiuto senza ritardo per ragioni di sanità.
Cassazione penale, sez. IV, 11/10/2012, n. 44830
In tema di responsabilità medica in équipe, il capo-équipe e il direttore di reparto, nonché secondo chirurgo, rispondono del decesso di un paziente, avvenuto nella fase post-operatoria, per non aver adeguatamente organizzato misure adeguate per fronteggiare eventuali rischi respiratori. È responsabile, inoltre, anche l’anestesista-rianimatore in virtù del suo ruolo e delle sue specifiche competenze. In ogni caso, in presenza di un rischio grave, evidente e macroscopico, afferente le competenze professionali proprie di ciascun medico, rispondono tutti i componenti dell’equipe, a prescindere dalle specifiche competenze di ognuno.
Cassazione penale, sez. IV, 15/12/2011, n. 33615
Al chirurgo compete la verifica delle condizioni di adeguata preparazione anestesiologica del paziente, nel complesso delle valutazioni da compiersi in vista dell’esecuzione dell’intervento. Sicché, l’apposizione di un sondino naso-gastrico – quale presidio terapeutico indispensabile -, l’omesso differimento dell’intervento chirurgico e la mancanza di altri accorgimenti atti ad evitare l’ingestione di materiale gastro-enterico determinano la responsabilità del chirurgo per omissione, anche per le attività più propriamente riconducibili alle competenze del medico anestesista (nella specie, una donna ricoverata per dolori addominali e quindi sottoposta agli esami diagnostici del caso era stata sottoposto ad un intervento chirurgico d’urgenza; nel corso degli atti preliminari dell’intervento, però, la paziente, che era soggetta a rigetto di succhi gastrici, era stata colta da più attacchi di vomito, che avevano causato problemi respiratori fino al decesso della donna).
Cassazione penale, sez. IV, 21/12/2004, n. 10212
In tema di responsabilità per colpa medica, sussiste rapporto di causalità tra la condotta e l’evento allorquando la condotta colposa contestata costituisca di per sè, in termini di “alto grado di credibilità razionale”, “condicio sine qua non” del verificarsi dell’evento che, con l’adozione di tecniche consigliate dalla letteratura medica, non si sarebbe verificato. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità per omicidio colposo del medico anestesista che, nella fase preparatoria di un intervento chirurgico, aveva omesso di intervenire tempestivamente procedendo ad intubazione del paziente).
Cassazione penale, sez. IV, 05/07/2004, n. 41674
È immune da vizi logici la motivazione della sentenza con cui il giudice di merito ha ritenuto il medico-anestesista responsabile di omicidio colposo per aver somministrato ad un paziente, che risultava allergico alla penicillina, un farmaco anestetico (trachium) ad alto rischio di reazioni allergiche, provocandogli così uno shock anafilattico, in conseguenza del quale, nel tentativo di fronteggiare le difficoltà respiratorie insorte, provocava un pneumotorace iperteso, non diagnosticato perché non veniva eseguita alcuna radiografia al torace, con conseguente omissione di manovre terapeutiche utili per salvare la vita del paziente, che decedeva.
Cassazione penale, sez. IV, 17/09/2002, n. 22341
Nel reato colposo omissivo, l’accertamento scientificamente e giuridicamente corretto del rapporto di causalità tra la condotta e l’evento da parte del giudice è, complessivamente, un accertamento con alto grado di probabilità, giacché il giudice si sofferma su una sola condizione dell’evento, e cioè sulla condotta umana, non essendo in grado, sul piano scientifico, di ricostruire l’intero meccanismo di produzione dell’evento. Mentre il rapporto tra la condizione-condotta che il giudice conosce e l’evento deve essere accertato con certezza, con quella certezza che è consentita, allo stato, dalla ricerca. (Fattispecie nella quale si è ritenuta la responsabilità per omicidio colposo del medico anestesista che aveva omesso di trattenere in osservazione un paziente operato di appendicectomia il cui risveglio dalla narcosi non aveva avuto fin dall’inizio corso regolare, disponendone il trasferimento nel reparto di degenza e così cagionandone la morte che si sarebbe potuta evitare, con alto grado di probabilità, mediante tempestivo intervento diagnostico e terapeutico).