Il difficile mestiere dello psichiatra chiamato a garantire l’incolumità del paziente e dei terzi.
Con la sentenza del 20/04/2017, n.28187, Sezione IV penale, la Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente in materia di responsabilità per omicidio colposo da ascrivere allo psichiatra.
Oltre alla valutazione connessa alla specifica fattispecie sottoposta allo scrutinio di legittimità, la pronuncia in questione assume particolare rilevanza in quanto costituisce la prima statuizione in tema di responsabilità dello psichiatra dopo l’introduzione della nuova normativa sulla responsabilità penale degli esercenti professioni sanitarie (legge n. 24/2017, c.d. Gelli-Bianco) oggetto di recenti arresti giurisprudenziali con interpretazioni non sempre uniformi.
Il caso clinico e l’imputazione.
Al prevenuto si contesta, quale medico psichiatra responsabile di un ufficio Salute Mentale, che aveva in cura il paziente (imputato di omicidio volontario in altro procedimento), nonché quale psichiatra di riferimento del piano riabilitativo redatto per il richiamato paziente, di avere colposamente posto in essere una serie di condotte attive ed omissive, da qualificarsi come antecedenti e condizioni necessarie perché il proprio paziente ponesse in essere il gesto omicidiario nei confronti di altro paziente, che era stato inserito nella struttura residenziale a bassa soglia assistenziale.
Il paziente ebbe a sferrare numerosi colpi al capo e al collo della vittima, con un’ascia lasciata incustodita presso la richiamata struttura, solo perché infastidito dal comportamento della persona offesa.
Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che nella storia clinica dell’autore del gesto omicidiario risulta l’abuso di sostanze, esplosioni di rabbia, un tentato suicidio e, soprattutto, l’uccisione della fidanzata avvenuto diversi anni prima rispetto all’evento per cui è processo con efferate modalità, come lucidamente riferito dallo stesso paziente (imputato in procedimento connesso) al consulente tecnico del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
Di qui l’imputazione di omicidio colposo.
Lo svolgimento del processo.
Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Pistoia dichiarava non luogo a procedere nei confronti del medico psichiatra imputato in ordine al delitto di omicidio colposo con la formula perché il fatto non sussiste, assumendo in sentenza che le scelte terapeutiche effettuate dallo psichiatra, consistite nel passaggio dal regime di internamento del paziente a quello della libertà vigilata e nella riduzione del trattamento farmacologico, appaiono immuni da errori di diagnosi, di talché, secondo il giudicante, appariva insussistente il nesso causalità tra la condotta del sanitario e la morte provocata dall’azione violenta sopra descritta come contestato nel capo di imputazione.
Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte civile costituita (congiunti della vittima), deducendo l’inosservanza della legge penale, con riferimento al punto della sentenza in cui viene esclusa la configurabilità del concorso colposo nel reato doloso, l’errore nella applicazione della legge penale, in relazione ai profili di colpa commissiva ed omissiva, vizio motivazionale in ordine alla rilevanza della riduzione della terapia farmacologica e, infine, vizio motivazionale in ordine alla ritenuta imprevedibilità del gesto omicidiario.
In particolare, parte ricorrente, con l’impugnazione proposta innanzi al Giudice di legittimità, ha dedotto che dal vissuto del paziente emergevano plurimi indici premonitori di possibile comportamento eteroaggressivo, sottolineando che lo psichiatra effettuò specifiche scelte terapeutiche consistite, soprattutto, nella riduzione della somministrazione del farmaco antipsicotico dopo aver estromesso dalla formulazione del piano terapeutico altri professionisti che andavano di contrario avviso, riducendo così la terapia farmacologica a fronte di un enorme aumento degli stimoli esterni ai quali il paziente veniva sottoposto.
La decisione della Cassazione ed i principi di diritto.
La Corte di legittimità accoglie il ricorso e per l’effetto annulla la sentenza impugnata censurando la sentenza resa dal G.U.P con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Pistoia.
Nello specifico i Giudici del diritto hanno ritenuto fondato quanto lamentato dalla parte civile ricorrente, rilevando che dalla motivazione della sentenza non risultavano adeguatamente approfonditi i seguenti profili : a) storia clinica del paziente; b) appropriatezza del trattamento farmacologico; c) la scelta di collocamento in struttura clinica a basso livello assistenziale.
Tali fattori sui quali dovrà indagare e decidere altro Giudice per l’udienza preliminare secondo la valutazione della Suprema Corte appaiono incidenti rispetto al giudizio da esprimere in ordine alla prevedibilità e prevedibilità della condotta omicidiaria.
In punto di diritto emergono differenti questioni di notevole rilevanza affrontate dai Giudici di legittimità, sia per l’operatore di diritto, sia per l’esercente la professione sanitaria,:
i) La posizione di garanzia dello psichiatra. Innanzitutto la Corte si sofferma sulla problematica degli obblighi giuridici di controllo gravanti sullo psichiatra, individuando in esso la figura di garante del paziente: “Occorre ricordare che la giurisprudenza si è sovente occupata della posizione di garanzia che grava sul medico psichiatra e sul contenuto dei conseguenti obblighi di protezione e controllo, rispetto alle condotte autolesive o lesive del paziente verso terzi…
….Ai fini di interesse, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’obbligo giuridico che grava sullo psichiatra risulta potenzialmente qualificabile al contempo come obbligo di controllo, equiparando il paziente ad una fonte di pericolo, rispetto alla quale il garante avrebbe il dovere di neutralizzarne gli effetti lesivi verso terzi, e di protezione del paziente medesimo, soggetto debole, da comportamenti pregiudizievoli per se stesso”
In argomento, viene precisato, il contenuto della posizione di garanzia assunta dallo psichiatra deve essere circoscritto; sul punto così opinano i supremi Giudici: “proprio l’esigenza di contrastare e frenare un determinato rischio per il paziente (o realizzato dal paziente verso terzi) che individua e circoscrive, sul versante della responsabilità colposa, le regole cautelari del medico (…). In questo quadro, peculiare rilevanza assume la selezione delle regole tecniche, delle raccomandazioni, che orientano l’attività medica nella scelta del percorso terapeutico; selezione che si pone in termini ancor più problematici con specifico riferimento alla scienza psichiatrica, giacché le manifestazioni morbose a carico della psiche sono ritenute tendenzialmente meno evidenti e afferrabili delle malattie fisiche, per cui l’individuazione del trattamento appropriato può in certi casi diventare ancora più incerta che non nell’ambito della attività medica genericamente intesa”
Dunque, rilevata la complessità della scienza psichiatrica, i giudici si rimettono alle linee guida e alle buone pratiche clinico-sanitarie per individuare un parametro per circoscrivere l’ambito del dovere di controllo imputato allo psichiatra: “Deve in questa sede ribadirsi l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, laddove si è evidenziato: che la moderna psichiatria mostra patologie che non di rado sono difficilmente controllabili completamente, anche in ragione dell’abbandono di deprecate pratiche di isolamento e segregazione del paziente psicotico, a favore di terapie rispettose della dignità umana che, tuttavia, non eliminano del tutto il rischio di condotte inconsulte; che, in tali casi, il giudice deve verificare, con valutazione ex ante, l’adeguatezza delle pratiche terapeutiche poste in essere dal sanitario a governare il rischio specifico, pure a fronte di un esito infausto sortito dalle stesse; che, in tale percorso valutativo, che involge la delimitazione del perimetro del rischio consentito insito nella pratica medica, vengono in rilievo le raccomandazioni contenute nelle linee guida, in grado di offrire indicazioni e punti di riferimento, tanto per il medico nel momento in cui è chiamato ad effettuare la scelta terapeutica adeguata al caso di specie, quanto per il giudice che deve procedere alla valutazione giudiziale di quella condotta (Sez. 4, sentenza n. 4391 del 22/11/2011, dep. 2012, Di Lella, Rv. 251941).”
ii) Il tema della colpa nella formulazione dell’art. 590 sexies c.p. introdotto dalla legge Gelli-Bianco.
La Corte ritiene, poi, di doversi soffermare sulla recente novella legislativa della l. 8 marzo 2017, n.24, in particolare sull’introduzione dell’art. 590 sexies c.p., che estende l’applicazione delle pene previste agli artt. 589 e 590 alle condotte di omicidio e lesioni derivanti da esercizio della professione sanitaria. In particolare è rilevante il secondo comma del predetto articolo che prevede che, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa se sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto. La Corte, pur evidenziando delle criticità nella formulazione della disposizione, fornisce una prima interpretazione della norma, soffermandosi soprattutto sul ruolo delle linee guida e delle direttive sanitarie nella valutazione della colpa del professionista. In particolare, i giudici affermano: “Questa Corte ha ripetutamente avuto modo di chiarire che le linee guida – alla stregua delle acquisizioni ad oggi consolidate – costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche. (…) Esse non indicano una analitica, automatica successione di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti; e, dunque, vanno in concreto applicate senza automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificità di ciascun caso clinico.”
Per poter chiarire però la portata prescrittiva di tali strumenti orientativi dell’attività terapeutica, i giudici introducono nel ragionamento anche l’art. 5 della novella, il quale “reca un vero e proprio statuto delle modalità di esercizio delle professioni sanitarie”, prevedendo che gli esercenti professioni sanitarie debbono attenersi alle raccomandazioni previste dalle linee guida accreditate, cioè espresse da istituzioni individuate dal Ministero della Salute, salvo le specificità del caso concreto.
Dunque alla luce della lettura sistematica della novella normativa i giudici chiariscono l’ambito applicativo della causa di non punibilità prevista dall’art. 590 sexies , comma 2 c.p.:
“La normativa si riferisce ad eventi che costituiscono espressione di condotte governate da linee guida accreditate nei modi che si sono sopra riferiti. Perché sia esclusa la responsabilità si richiede, altresì, che le linee guida siano appropriate rispetto al caso concreto; e cioè che non vi siano ragioni, dovute solitamente alle comorbilità, che suggeriscono di discostarsene radicalmente. (…)
Ancora, la novella trova applicazione quando le raccomandazioni generali siano pertinenti alla fattispecie concreta. Qui si tratterà di valutare se esse “risultino adeguate” e siano cioè state attualizzate in forme corrette, nello sviluppo della relazione terapeutica, avuto naturalmente riguardo alle contingenze del caso concreto. Entro queste coordinate, l’agente ha diritto a vedere giudicata la propria condotta alla stregua delle medesime linee guida che hanno doverosamente governato la sua azione.”
Altresì la Corte precisa che “l’art. 590-sexies si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata imputazione di colpa per imperizia”, ossia, quel profilo della colpa che coinvolge la violazione delle c.d. leges artis, concludendo quindi nel senso che “la nuova disciplina non trova applicazione negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida; e neppure nelle situazioni concrete nelle quali tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarità della condizione del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate.
Inoltre, il novum non opera in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo. (…) Il metro di valutazione costituito dalle raccomandazioni ufficiali è invece cogente, con il suo già indicato portato di determinatezza e prevedibilità, nell’ambito di condotte che delle linee guida siano pertinente estrinsecazione.”
Quadro giurisprudenziale di riferimento per la responsabilità dello psichiatra.
Cassazione penale sez. IV, 18/05/2017 n. 43476
Il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia che comprende un obbligo di controllo e di protezione del paziente, diretto a prevenire il pericolo di commissione di atti lesivi ai danni di terzi e di comportamenti pregiudizievoli per se stesso. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure l’affermazione di responsabilità per il reato di omicidio colposo di un medico del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per il suicidio di una paziente affetta da schizofrenia paranoide cronica, avvenuto qualche ora dopo che la paziente, presentatasi in ospedale dopo avere ingerito un intero flacone di Serenase, era stata dimessa dal medico, senza attivare alcuna terapia e alcun meccanismo di controllo).
Cassazione penale sez. IV, 20/01/2017, n. 6380.
Il medico psichiatra che, avendo in cura un soggetto affetto da malattia mentale (nella specie, schizofrenia), il quale abbia poche ore prima dato luogo a manifestazioni di pericolosità, decida di disporre il suo trasferimento ad altra struttura meglio attrezzata, da effettuarsi mediante autoambulanza, è penalmente responsabile, a titolo di colpa, delle lesioni riportate dal personale della medesima autoambulanza a seguito di un incidente stradale cagionato dalla perdita di controllo del veicolo da parte del conducente, a sua volta dovuta ad improvvise manifestazioni di aggressività da parte del malato, a fronte della cui prevedibilità il medico non aveva disposto o suggerito alcuna adeguata misura precauzionale.
Cassazione penale, sez. IV, 04/02/2016, n. 14766
In tema di responsabilità per colpa professionale del sanitario, nell’ipotesi di suicidio di un paziente affetto da turbe mentali, è da escludere la sussistenza di un’omissione penalmente rilevante a carico dello psichiatra che lo aveva in cura, quando risulti che il medico, nella specifica valutazione clinica del caso, si sia attenuto al dovere oggettivo di diligenza ricavato dalla regola cautelare, applicando la terapia più aderente alle condizioni del malato e alle regole dell’arte psichiatrica. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto immune da censure l’assoluzione del medico psichiatra e della psicologa, in servizio presso una casa circondariale, dall’imputazione di omicidio colposo per il decesso di un detenuto per impiccagione, sul rilievo che, alla luce dei dati clinici in loro possesso e ai parametri di valutazione individuabili nella letteratura scientifica, non poteva ravvisarsi un rischio suicidiario concreto ed imminente, dovendo per altro verso escludersi ogni loro responsabilità per le carenze organizzative della amministrazione penitenziaria, dovute alla presenza di una cella con finestra dotata di un appiglio per agganciare il lenzuolo utilizzato per il gesto autosoppressivo).
Cassazione penale sez. IV, 07/01/2016 n. 1846
In tema di colpa medica – in considerazione della posizione di garanzia che il medico assume nei confronti del paziente con l’instaurazione della relazione terapeutica – il sanitario che, avendo in cura il paziente per stati di ansia o sindrome depressiva, in presenza di apprezzabili indici significativi di un atteggiamento di negazione di patologie di diversa natura, ometta di approfondire le condizioni cliniche generali dell’assistito e di assumere le necessarie iniziative per indurlo alla cura di tale patologia, è responsabile per le prevedibili conseguenze lesive derivate dalla patologia medesima. (Nella specie la Corte ha confermato la sentenza che aveva escluso la responsabilità di un neurologo in relazione al decesso di una sua paziente affetta da patologia oncologica non ritenendo adeguatamente provati né il presupposto di fatto dell’omesso approfondimento delle condizioni generali della paziente, che era stata comunque avviata ad una visita specialistica, né il nesso causale, essendo incerto il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia).
Cassazione penale sez. IV, 14/06/2016 n. 33609 (due massime).
Il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, ed ha, pertanto, l’obbligo – quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie – di apprestare specifiche cautele. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la pronuncia che aveva affermato la responsabilità di un medico del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per il suicidio di una paziente, ricoverata con diagnosi di disturbo bipolare in fase depressiva, nei confronti della quale aveva omesso di assicurare una stretta e continua sorveglianza, sebbene le notizie anamnestiche e la diagnosi di accettazione avessero reso evidente il rischio suicidiario).
Il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, e ha, pertanto, l’obbligo – quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie – di apprestare specifiche cautele (affermazione resa in una vicenda in cui al medico psichiatra in servizio presso un reparto di neuropsichiatria era stato addebitato il reato di omicidio colposo in danno di una paziente, suicidatasi per precipitazione dall’alto all’interno della struttura ove era ricoverata, per non avere adottato adeguate misure di protezione – secondo le linee guida più riconosciute, oltre a tutti gli interventi di tipo farmacologico, anche una stretta sorveglianza, intesa come assistenza ventiquattro ore su ventiquattro – sì da avere consentito che la paziente, con diagnosi di disturbo bipolare in fase depressiva caratterizzata da depressione del tono dell’umore con ideazione negativa a sfondo suicidiario, si potesse allontanare dalla stanza in cui era ricoverata, raggiungendo l’impalcatura allestita all’esterno della struttura ospedaliera da cui, poi, si era lasciata cadere nel vuoto; a supporto dell’addebito colposo emergevano dalla cartella clinica, sia nella parte relativa all’anamnesi che in quella riservata all’esame psichico, la presenza di idee di suicidio e due precedenti tentativi di suicidio già messi in atto nel tempo).
Cassazione penale sez. IV, 04/02/2016 n. 14766
In tema di responsabilità per colpa professionale del sanitario, nell’ipotesi di suicidio di un paziente affetto da turbe mentali, è da escludere la sussistenza di un’omissione penalmente rilevante a carico dello psichiatra che lo aveva in cura, quando risulti che il medico, nella specifica valutazione clinica del caso, si sia attenuto al dovere oggettivo di diligenza ricavato dalla regola cautelare, applicando la terapia più aderente alle condizioni del malato e alle regole dell’arte psichiatrica. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto immune da censure l’assoluzione del medico psichiatra e della psicologa, in servizio presso una casa circondariale, dall’imputazione di omicidio colposo per il decesso di un detenuto per impiccagione, sul rilievo che, alla luce dei dati clinici in loro possesso e ai parametri di valutazione individuabili nella letteratura scientifica, non poteva ravvisarsi un rischio suicidiario concreto ed imminente, dovendo per altro verso escludersi ogni loro responsabilità per le carenze organizzative della amministrazione penitenziaria, dovute alla presenza di una cella con finestra dotata di un appiglio per agganciare il lenzuolo utilizzato per il gesto autosoppressivo).
Cassazione penale sez. IV, 27/04/2015, n. 22042 (fattispecie rilascio porto d’armi, visita psichiatrica ed uso illegittimo dell’arma)
Il concorso colposo è configurabile anche rispetto al delitto doloso, sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell’evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello della cooperazione colposa purché, in entrambi i casi, il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano presenti gli elementi della colpa, in particolare la finalizzazione della regola cautelare violata alla prevenzione del rischio dell’atto doloso del terzo e la prevedibilità per l’agente dell’atto del terzo.
Cassazione penale sez. IV, 12/02/2013, n. 16975
Il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, e ha, pertanto, l’obbligo – quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie – di apprestare specifiche cautele. (Nello specifico, peraltro, la Corte ha ritenuto congruamente motivata la sentenza liberatoria pronunciata in sede di merito, nel procedimento a carico dei medici e del dirigente del centro ove la paziente poi suicidatasi era ricoverata, laddove si erano esclusi profili di colpa sia con riferimento al profilo curativo che a quello della vigilanza; la Corte, peraltro, in parziale accoglimento del ricorso della parte civile ha annullato senza rinvio, ai fini civili, la sentenza impugnata limitatamente alla formula di assoluzione, sostituendo la formula “perché il fatto non sussiste” con quella “il fatto non costituisce reato”).
Cassazione penale, sez. IV, 22/11/2011, n. 4391
In tema di colpa professionale del medico, il principio civilistico di cui all’art. 2236 c.c. che assegna rilevanza soltanto alla colpa grave può trovare applicazione in ambito penalistico come regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza, in quanto la colpa del terapeuta deve essere parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiesto ed al contesto in cui esso si è svolto. Ne consegue che non sussistono i presupposti per parametrare l’imputazione soggettiva al canone della colpa grave ove si tratti di casi non difficili e fronteggiabili con interventi conformi agli standard. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la sussistenza della responsabilità, ex art. 589 c.p. del direttore sanitario di una casa di cura – nei confronti di un degente affetto da schizofrenia caduto da una finestra – il quale, nonostante la condizione del paziente fosse macroscopicamente peggiorata e gli fosse nota la necessità di nuove iniziative terapeutiche ed assistenziali, si astenne dal porre in essere le relative iniziative, di cui, peraltro, egli stesso aveva dato conto nel corso di un “briefing”).
Cassazione penale sez. IV, 27/11/2008, n. 48292.
Il medico psichiatra è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, ed ha, pertanto, l’obbligo – quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie – di apprestare specifiche cautele. (In applicazione del principio, la Corte ha confermato l’affermazione di responsabilità del primario e dei medici del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per omicidio colposo in danno di un paziente che, ricoveratosi volontariamente con divieto di uscita senza autorizzazione, si era allontanato dal reparto dichiarando all’infermiera di volersi recare a prendere un caffè al distributore automatico situato al piano superiore, ed ivi giunto si era suicidato gettandosi da una finestra).
Cassazione penale sez. IV, 12/11/2008, n. 4107 (due massime)
In tema di responsabilità per colpa medica, “rischio consentito” (o aggravamento del “rischio consentito”) non significa esonero dall’obbligo di osservanza delle regole di cautela, ma rafforzamento di tale obbligo in relazione alla gravità del rischio, che solo in caso di rigorosa osservanza di tali regole potrà effettivamente ritenersi consentito per quella parte che non può essere eliminata. (Fattispecie nella quale due medici avevano, per negligenza, consentito ad un paziente affetto da gravi problemi psichici, l’esercizio di un’attività pericolosa, ovvero l’uso delle armi: il paziente aveva ucciso due persone, ne aveva ferite quattro e poi si era suicidato).
Il concorso colposo è configurabile anche rispetto al delitto doloso, sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell’evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello della cooperazione colposa purché, in entrambi i casi, il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano presenti gli elementi della colpa, in particolare la finalizzazione della regola cautelare violata alla prevenzione del rischio dell’atto doloso del terzo e la prevedibilità per l’agente dell’atto del terzo. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto configurabile il concorso colposo dei medici che avevano consentito il rilascio del porto d’armi ad un paziente affetto da gravi problemi di ordine psichico, nei delitti dolosi di omicidio e lesioni personali commessi dal paziente il quale, dopo aver conseguito il porto d’armi, aveva con un’arma da fuoco colpito quattro passanti, ucciso la propria convivente ed una condomina, ed infine si era suicidato).
Cassazione penale sez. IV, 14/11/2007, n. 10795 (due massime.
Risponde di omicidio colposo il medico psichiatra che, senza acquisire le conoscenze disponibili sul percorso patologico del paziente ed essersi informato in modo continuativo sull’evoluzione della malattia al fine di verificare l’esistenza di sintomi “allarmanti” conseguenti alla modifica del trattamento, con modalità diverse da quelle prescritte dalla migliore scienza psichiatrica riduce e poi sospende il trattamento farmacologico neurolettico nei confronti del paziente psicotico che poi commette un omicidio.
Le linee-guida hanno valenza probatoria quanto all’esistenza della colpa professionale, ove fondino su autorevoli studi svolti anche a livello internazionale. (Fattispecie riguardante le linee-guida dell’American Psychiatric Association sulla prevenzione del rischio suicidiario).