La colpa del chirurgo estetico al vaglio della Cassazione tra le due leggi.

Con la sentenza n. 50078 del 19/10/2017, la Corte di Cassazione, sezione IV penale ha fornito ulteriori linee guida per l’interpretazione della nuova normativa in materia di responsabilità penale degli esercenti professioni sanitarie (l.n. 24/2017, c.d. Gelli-Bianco) relativamente al concetto di colpa nell’esercizio dell’attività medica nell’ambito del reato di lesioni personali colpose.

Il caso clinico e l’imputazione

All’imputato è stato mosso l’addebito di lesioni colpose gravi (art. 590 c.p.) per aver procurato alla vittima una ipoestesia tattile in ristretta zona frontale destra, consistente in una diminuzione della sensibilità della zona interessata permanente a distanza di cinque anni dall’intervento, a seguito di un intervento di ptosi (lifting) del sopracciglio.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bologna ha affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di lesioni colpose gravi e lo ha altresì condannato al risarcimento del danno nei confronti della parte civile da liquidarsi dinanzi al giudice civile. La pronunzia è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna che ha escluso l’applicabilità del decreto Balduzzi sul rilievo che l’intervento non era di particolare complessità e sul grado della colpa, qualificata grave, concretizzatasi in una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato.
L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione lamentando la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della violazione della regola cautelare da parte del medico-imputato e la mancata applicazione del cd. decreto Balduzzi che scrimina la colpa lieve e la violazione degli artt. 590 e 583 c.p. in merito all’esatto computo del termine iniziale per la valutazione del decorso della malattia.

La decisione della Suprema Corte e il principio di diritto

La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso apprezzando la ricostruzione fatta dai giudici di merito ritenuta scevra da vizi di motivazione od errori in diritto, annullando, tuttavia la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato ascritto all’imputato.
I giudici di Piazza Cavour motivano asserendo che la decisione, in primo e secondo grado, si pone in linea con la giurisprudenza di legittimità, per cui è esclusa la applicazione della c.d. legge Balduzzi in caso sussistano profili di colpa grave che “come è noto, è configurabile nel caso di una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato” (cfr., efficacemente, Sez. 4, n. 22281 del 15/04/2014, Cavallaro, Rv. 262273), ossia dell’errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria (cfr. in termini, Sez. 4, n. 9923 del 19/01/2015, p.c. Donatelli in proc. Marasco).”
Interessante è altresì la successiva digressione sviluppata dalla Corte riguardo la nuova normativa in tema di responsabilità degli esercenti professioni sanitarie, l.n. 24/2017, c.d. Gelli-Bianco.
Innanzitutto i giudici rilevano la problematica di diritto intertemporale sollevata dalla nuova normativa: “Ciò che è chiaro, in quanto espressamente previsto all’art. 590-sexies c.p., comma 2, è che è stata abrogata la disciplina penale relativa alla depenalizzazione della colpa lieve della legge Balduzzi, essendo stato abrogato l’intero comma 1 dell’art. 3. Non si pone più pertanto un problema di grado della colpa, salvo casi concreti in cui la legge Balduzzi possa configurarsi come disposizione più favorevole per i reati consumatisi sotto la sua vigenza coinvolgenti profili di negligenza ed imprudenza qualificati da colpa lieve (per ultrattività del regime Balduzzi più favorevole sul punto). Altrettanto chiaro è che il legislatore ha ritenuto di limitare l’innovazione alle sole situazioni astrattamente riconducibili alla imperizia, cioè al profilo di colpa che si fonda sulla violazione delle leges artis, che ha ritenuto non punibili neanche nell’ipotesi di colpa grave.
I giudici sono chiari, poi, sulla ratio della disciplina introdotta dalla Gelli-Bianco: “il legislatore, innovando rispetto alla legge Balduzzi, non attribuisce più alcun rilievo al grado della colpa, così che, nella prospettiva del novum normativo, alla colpa grave non potrebbe più attribuirsi un differente rilievo rispetto alla colpa lieve, essendo entrambe ricomprese nell’ambito di operatività della causa di non punibilità; sotto l’altro concorrente profilo, giova ribadire che con il novum normativo si è esplicitamente inteso favorire la posizione del medico, riducendo gli spazi per la sua possibile responsabilità penale, ferma restando la responsabilità civile. La nuova legge, in sostanza, cerca di proseguire in un percorso di attenuazione del giudizio sulla colpa medica, introducendo così una causa di esclusione della punibilità per la sola imperizia la cui operatività è subordinata alla condizione che dall’esercente la professione sanitaria siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali e che dette raccomandazioni risultino adeguate alla specificità del caso concreto. (…) In questa prospettiva l’unica ipotesi di permanente rilevanza penale della imperizia sanitaria può essere individuata nell’assecondamento di linee guida che siano inadeguate alla peculiarità del caso concreto; mentre non vi sono dubbi sulla non punibilità del medico che seguendo linee guida adeguate e pertinenti pur tuttavia sia incorso in una “imperita” applicazione di queste (con l’ovvia precisazione che tale imperizia non deve essersi verificata nel momento della scelta della linea guida – giacché non potrebbe dirsi in tal caso di essersi in presenza della linea guida adeguata al caso di specie, bensì nella fase “esecutiva” dell’applicazione).

Quadro giurisprudenziale di riferimento sulla responsabilità penale del chirurgo estetico.

Cassazione penale, sez. IV, 27/11/2013, n. 2347
“Ai fini dell’accertamento della responsabilità penale, il consenso informato non integra una scriminante dell’attività medica poiché, espresso da parte del paziente a seguito di una informazione completa sugli effetti e le possibili controindicazioni di un intervento chirurgico, rappresenta solo un vero e proprio presupposto di liceità dell’attività del medico che somministra il trattamento, al quale non è attribuibile un generale diritto di curare, a prescindere dalla volontà dell’ammalato. E ciò vale a fortiori nell’ambito della chirurgia estetica, per sua natura non connotata dall’urgenza, ma finalizzata a migliorare l’aspetto fisico del paziente in funzione della sua vita di relazione”.

Cassazione penale, sez. IV, 16/10/2012, n. 47265
“Affinché si configuri uno stato di malattia, rilevante per la configurabilità del reato di lesioni personali, occorre il verificarsi di una perturbazione “funzionale” di tipo dinamico che, dopo un certo tempo, conduca alla guarigione o alla stabilizzazione in una nuova situazione di benessere fisico degradato o alla morte, con la conseguenza che le alterazioni anatomiche alle quali non si associ un’apprezzabile riduzione della funzionalità non possono considerarsi malattia. Da ciò deriva che i meri inestetismi procurati a seguito di un trattamento chirurgico non possono qualificarsi malattia, onde, mentre possono essere certamente causa dì responsabilità civile, non integrano gli estremi del reato di lesioni personali colpose. (Da queste premesse, la Corte ha ritenuto corretta la decisione assolutoria che aveva appunto escluso il reato di lesioni personali colpose contestato a un medico chirurgo che aveva sottoposto una paziente a un intervento estetico che, in ragione della malaccorta tecnica operatoria, aveva determinato degli effetti antiestetici, quali un eccesso di tessuti e irregolarità della pelle sull’addome e una antiestetica asimmetria fra i due seni: trattavasi di una anormalità morfologica che, peraltro, non aveva determinato alcun pregiudizio funzionale e non aveva in ogni caso innestato un processo morboso evolutivo; per converso, la Cassazione ha ritenuto ravvisabile il reato, per l’effetto annullando la decisione liberatoria, in relazione ad altri residuati dell’intervento chirurgico, risoltisi in una tumefazione in zona epigastrica e in una grave complicanza emorragica, sul rilievo che trattavasi di effetti che avevano determinato una importante alterazione funzionale dell’organismo)”.

Cassazione penale, sez. IV, 08/05/2008, n. 32423
“Risponde del reato di lesioni colpose, il medico chirurgo plastico esecutore di un intervento di chirurgia estetica al volto mediante infiltrazione di uno specifico prodotto commerciale, in esito al quale la persona offesa abbia riportato lesioni personali consistenti in formazioni granulomatose nel derma, in difetto di esaustiva informativa della paziente in merito alla possibilità che la somministrazione del predetto prodotto potesse provocare simili complicanze, pur essendo accertato che la somministrazione per infiltrazione di qualsiasi sostanza estranea al derma può dar luogo alla formazione di granulomi anche a distanza di tempo: il consenso informato costituisce infatti condizione di legittimità dell’atto medico, soprattutto nei casi in cui l’intervento non è necessario per la tutela della vita o della salute del paziente, e non può esaurirsi nella comunicazione del nome del prodotto che verrà somministrato o di generiche informazioni, ma deve investire gli eventuali effetti negativi della somministrazione in modo che sia consentito al paziente di valutare congruamente il rapporto costi-benefici del trattamento e di mettere comunque in conto l’esistenza e la gravità delle conseguenze ipotizzabili”.

Cassazione penale, sez. IV, 28/10/2004, n. 3448
“Integra il reato di lesioni colpose la condotta del chirurgo estetico che, successivamente all’intervento di mastoplastica additiva, abbia omesso di sottoporre la paziente ad adeguati controlli nel periodo post-operatorio sottovalutando gli inconvenienti dalla stessa lamentati, intervenendo in modo intempestivo e con pratiche mediche non corrette (c.d. “squeezing”), nonostante l’evidente processo infiammatorio delle mammelle”.

Di seguito le più recenti pronunce sulla colpa medica e sul rapporto tra la legge c.d. Balduzzi e Gelli-Bianco

Cassazione penale, sez. IV, 20/04/2017, n. 28187
“In tema di responsabilità professionale del medico, la normativa contenuta nell’articolo 590 sexies c.p., introdotta dalla l. 8 marzo 2017 n. 24, si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata un’imputazione di colpa per imperizia, con riferimento agli eventi che costituiscono espressione di condotte governate da linee guida “ufficiali” che risultino, peraltro, appropriate rispetto al caso concreto. Al contrario, quando le linee guida non sono appropriate e vanno disattese, l’art. 590 sexies c.p. non viene in rilievo e trova applicazione la disciplina generale prevista dagli art. 43, 589 e 590 c.p., così come, analogamente, la nuova normativa non dispiega i suoi effetti in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di una relazione terapeutica governata da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto valutativo”.

Cassazione penale, sez. IV, 15/04/2014, n. 22281
“In tema di responsabilità medica, la colpa grave a norma dell’art. 3 l. 8 novembre 2012 n. 189, si configura quando si è in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, come definito dalle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, tenuto conto della necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle specifiche condizioni del paziente”.