Salvo l’imprenditore che dimostra l’estinzione del debito tributario prima della sentenza definitiva.
Con la sentenza n.ro 52640 depositata il 20.11.2017 La Suprema Corte, Sezione III Penale si è pronunciata nuovamente sul tema del rapporto tra i tempi del pagamento (rateizzato) del debito tributario e l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’articolo 13 del Dlgs 74/2000 Dlgs 158/2015 per i reati di omesso versamento di ritenute, Iva e indebita compensazione di crediti non spettanti.
Il caso concreto e l’imputazione
Al contribuente il PM presso la Procura della Repubblica di Milano ha contestato l’art. 10 ter – Dlgs 158/2015 per l’omesso versamento nel termine di legge dell’iva autoliquidata riferita all’anno 2009 per un importo di € 337.517,00.
Lo svolgimento del processo nei gradi di merito.
Il prevenuto all’esito del processo veniva ritenuto responsabile del fatto a lui ascritto e condannato in primo grado alla pena di mesi cinque di reclusione.
La Corte territoriale di Milano confermava la sentenza impugnata rigettando la richiesta di rinvio, opportunamente formulata dal difensore, dell’udienza di discussione, finalizzata alla produzione, in grado di appello, delle ultime quietanze di pagamento necessarie a dimostrare l’estinzione del debito tributario.
Rigettava, altresì, il motivo di appello volto a far ritenere insussistente il dolo di evasione in ragione della grave crisi di liquidità in cui versava l’impresa al momento della scadenza del termine di pagamento del debito tributario. La difesa dell’imputato impugnava la sentenza resa in grado di appello e con l’interposto ricorso per cassazione censurava la decisione della Corte territoriale di Milano deducendo che la concessione dell’invocato rinvio avrebbe consentito di produrre in giudizio la prova dell’estinzione del debito tributario e, per l’effetto, il Giudice di appello adito avrebbe potuto dichiarare la sussistenza della causa di non punibilità del reo in applicazione dell’articolo 13, D.Lgs. n. 74 del 2000, come modificato dal D.lgs 158/2015.
Ciò perché, nel caso di specie, la norma più favorevole era entrata in vigore tra la pronuncia della condanna di primo grado ed il celebrando giudizio di appello, di talché, in base ai noti principi della successione della legge penale del tempo, l’imputato avrebbe potuto beneficiare della disciplina normativa più vantaggiosa (causa di non punibilità in luogo della attenuante), anche se l’ultima rata era stata pagata dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, come prescritto dalla norma citata.
La decisione della Cassazione ed il principio di diritto.
La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito che aveva errato nel denegare il richiesto termine che avrebbe consentito all’imputato di estinguere il debito tributario ricostruendo con pregevole motivazione l’incidenza del novum normativo nei processi in corso alla data di entrata in vigore della nuova disciplina (22 ottobre 2015) con il richiamo ai principi generali del diritto penale in tema di cause di non punibilità: “In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art.13, come sostituito dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 11 – per la quale i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13). (Sez. 3, n. 15237 del 01/02/2017 – dep. 28/03/2017, Volanti, Rv. 26965301; vedi anche Sez. 3, n. 40314 del 30/03/2016 – dep. 28/09/2016, Fregolent, Rv. 26780701).
Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 11, sostituendo il previgente D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, ha attribuito all’integrale pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10 bis e 10 ter e art. 10 quater, comma 1, efficacia estintiva, e non più soltanto attenuante. Pur indicando nella dichiarazione di apertura del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, nel senso che, per aversi estinzione dei reati, l’integrale pagamento degli importi dovuti deve avvenire prima dell’inizio del giudizio penale, va rilevato però che la diversa natura giuridica e l’efficacia estintiva del reato implica, nei procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non punibilità, anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione della dichiarazione di apertura del dibattimento. La trasformazione della fattispecie attenuante in fattispecie estintiva implica che l’integrale pagamento del debito tributario non assuma più rilevanza normativa in termini di minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere del soggetto; il riconoscimento di una efficacia estintiva del reato, infatti, va inquadrata nel diverso fenomeno della degradazione dell’illecito penale in ragione di condotte susseguenti al reato, nel caso di specie di carattere restitutorio, che rispondono alla differente logica incentivante e premiale; il nuovo istituto, ancorché espressione evidente di esigenze di deflazione del processo penale, costituisce il frutto di una valutazione legislativa sull’opportunità di punire l’autore di un fatto antigiuridico colpevole a fronte di una condotta reintegrativa ex post del bene giuridico leso. In una analisi costituzionale, la condotta restitutoria (l’integrale pagamento di debito, interessi e sanzioni) assume rilievo nell’esclusione della finalità rieducativa (o risocializzante) assegnata alla sanzione penale dalla Costituzione (art. 27 Cost., comma 3). La pena astrattamente prevista non ha più ragione di essere applicata allorquando la condotta restitutoria susseguente implichi il venir meno della funzione rieducativa ad essa assegnata. La diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale comportamento che non riguarda più soltanto l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, ma la stessa punibilità, comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purchè prima del giudicato. La preclusione assegnata, in maniera non irragionevole, ad un momento della scansione processuale, non può operare allorquando, in applicazione del principio del favor rei, la più favorevole disciplina – introdotta in pendenza del procedimento, ed allorquando la scansione era stata già superata – debba essere applicata agli imputati che hanno provveduto al pagamento integrale del debito tributario. Nè potrebbe obiettarsi che la preclusione era prevista anche in relazione alla precedente fattispecie attenuante, in quanto l’efficacia estintiva ora attribuita al pagamento integrale del debito tributario è diversa e più ampia dell’efficacia attenuante, da essa dipendendo la stessa punibilità, e non solo la misura della pena.
L’interesse a provvedere al pagamento dell’intero debito tributario è necessariamente diverso, e più intenso, ove sia collegato ad una efficacia estintiva del reato, anzichè ad una efficacia soltanto attenuante; quindi, nei soli procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, deve ritenersi che l’imputato sia nella medesima situazione giuridica che fonda, allorquando non vi sia ancora stata l’apertura del dibattimento, l’efficacia estintiva prevista dalla nuova causa di non punibilità; viceversa, si registrerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di illegittimità costituzionale. Del resto trattandosi di causa di non punibilità deve trovare piena applicazione l’art. 2 c.p., e l’art. 7 della CEDU (retroattività della legge più favorevole).
La norma prevede, quindi, una causa sopravvenuta di non punibilità, ovvero con un comportamento successivo alla commissione del reato (nel caso il pagamento integrale), che elimina l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, il soggetto può beneficiare della non punibilità. Le cause di punibilità sopravvenute implicano un termine entro il quale deve essere tenuto il comportamento del reo; è il legislatore che individua il termine relativamente alla fattispecie concreta regolata. La ratio delle cause sopravvenute di non punibilità consiste nell’interesse (concreto) che ha l’ordinamento ad incentivare comportamenti antagonisti al fatto criminoso; il ricorso a tali cause di non punibilità è possibile quando lo stato di sofferenza del bene giuridico è materialmente eliminabile, e quando il legislatore giudichi particolarmente efficace l’intervento antagonistico da parte dell’autore del fatto (il pagamento, pertanto, è per l’ordinamento un motivo valido – in assoluto – per la causa di non punibilità).
Ricostruita così la disciplina della causa di non punibilità dell’estinzione del debito tributario la Suprema Corte ha statuito il seguente principio di diritto:”In tema di reati tributari, la causa sopravvenuta di non punibilità contemplata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, come sostituito dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 11 per la quale i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento, e quindi deve concedersi il termine di tre mesi nelle ipotesi di rateizzazione in corso del debito tributario, per il pagamento del debito residuo; termine obbligatorio e non facoltativo come il secondo termine di tre mesi“.
I consigli del legale
Operativamente, quindi, secondo l’interpretazione dei Giudici di legittimità, la nuova disciplina normativa che ha novellato il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 risulta applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto (22 ottobre 2015) anche se superata la fase dell’apertura del dibattimento , sempre che non sia intervenuta sentenza di condanna definitiva. In tale situazione processuale il Giudice che procede (Tribunale monocratico o Corte di Appello) in caso di comprovata rateizzazione, di fronte all’istanza di rinvio dalla difesa che avrà l’onere di allegare il fatto avente ad oggetto l’adesione al piano di rateizzo ed il pagamento delle rate già scadute depositando prova conforme, sarà tenuto a concedere un termine di tre mesi per consentire l’estinzione del debito, con facoltà di prorogare tale termine solo una volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario.
L’applicazione del principio di diritto dal punto di vista finanziario, nell’ipotesi in cui il debito tributario abbia formato oggetto di decreto di sequestro preventivo eseguito per equivalente rispetto all’imposta indiretta, eseguito sui conti correnti dell’impresa o su quelli del legale rappresentante o su altri beni, consentirà al legale di finalizzare la strategia al recupero delle somme pagate formulando al Giudice istanza di revoca –anche parziale – del provvedimento cautelare reale, evitando così la definitiva confisca delle somme connessa al passaggio in giudicato della sentenza di affermazione della penale responsabilità del contribuente tratto a giudizio.
Quadro giurisprudenziale relativo all’applicazione dell’art. 13, D.Lgs. n.74 del 2000 nei processi in corso.
Cassazione penale sez. III, sentenza 30/03/2016, n.40314.
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento.
Cassazione penale sez. III, sentenza 12/04/2017 n. 30139.
Nei reati tributari la causa di non punibilità ex art. 13 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come modificato ad opera della d.lgs.158 del 2015, trova applicazione ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore e ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento di primo grado se i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, risultano essere stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie.
Cassazione penale sez. III, 01/02/2017 n. 15237.
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. n.74 del 2000).
Quadro giurisprudenziale relativo alla rilevanza della crisi aziendale e di liquidità rispetto al reato di omesso versamento dell’iva – art. 10 ter D.Lgs 274/2000 e omesso versamento delle ritenute certificate art. 10 bis D.Lgs 274/2000
Cassazione penale sez. III, sentenza 24/06/2014, n. 8352.
In tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. (Fattispecie, nella quale la Corte ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità).
Cassazione penale sez. III sentenza 12/06/2013 n. 37528. Nel reato di omesso versamento delle ritenute certificate, la situazione di difficoltà finanziaria dell’imprenditore non costituisce causa di forza maggiore che esclude la responsabilità prevista dall’art.10 bis d.lg.. n. 74 del 2000.
Cassazione penale sez. III, sentenza 06/11/2013 n. 2614.
Il reato di cui all’art. 10 ter d.lg. n. 74 del 2000 è punibile a titolo di dolo generico e la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo d’imposta, e che deve, quindi, essere saldato entro il termine lungo previsto. Il soggetto d’imposta deve tenere accantonata l’i.v.a. riscossa, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta (pagamento dell’imposta dovuta).
Cassazione penale sez. III, sentenza 05/12/2013, n. 5467.
L’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10 bis d.lg. 10 marzo 2000 n. 74) è integrato dal dolo generico, richiedendosi la coscienza e volontà di non versare all’erario le ritenute effettuate (coscienza e volontà che deve investire anche la soglia dei cinquantamila euro che fonda la rilevanza penale), essendo irrilevante dunque il fine perseguito dall’agente e non richiedendosi, a differenza di altre fattispecie di reato fiscale, che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte rilevante (sezioni Unite, 28 marzo 2013, F.).
Cassazione penale sez. III, sentenza 08/04/2014, n. 20266.
Nel reato di omesso versamento di ritenuta certificate (art. 10 bis d.lg. n. 74, del 2000), l’imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto. (Fattispecie in cui la Corte ha considerato irrilevante la mancata riscossione di crediti osservando che l’inadempimento dei clienti rientra nel normale rischio di impresa).