Il quadro della giurisprudenza di legittimità nella recente applicazione del d.lgs 231/2001.
Il d.lgs. n. 231/2001 ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una specifica forma di responsabilità penale per aziende ed enti in genere, i quali possono essere chiamati a rispondere in sede penale per taluni reati commessi dai vertici amministrativi o dai dipendenti sottoposti al controllo di questi, nell’interesse dell’ente medesimo. Questa specifica forma di responsabilità (un tertium genus rispetto a quella penale ed amministrativa), che investe gli operatori economici e che si aggiunge a quella personale, è finalizzata alla prevenzione del crimine di natura commerciale e finanziario nell’esercizio dell’attività di impresa, sul modello dei Compliance Company Programs di natura anglo-americana.
Destinatari della normativa sono gli enti dotati di personalità giuridica, le società dotate di personalità giuridica e le associazioni anche prive di personalità giuridica; non si applica, invece allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. 1).
L’art. 5 del Decreto prevede che l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da: a) persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
La responsabilità dell’ente è subordinata alla commissione di specifici reati indicati agli artt. 24-26 del Decreto, tra i quali nella comune attività professionale si annoverano: reati contro la pubblica amministrazione – corruzione e concussione; reati informatici e di trattamento illecito di dati; reati societari; reati finanziari, abuso di mercato e delitti contro l’industria ed il commercio; omicidio colposo e lesioni derivanti da violazione di norme sulla sicurezza sul lavoro; reati ambientali.
In sede processuale l’ente può escludere la propria responsabilità se fornisce prova che siano stati comunque adottati modelli organizzativi, di gestione e controllo idonei a prevenire reati della specie di quelli verificatisi o che i vertici societari abbiano commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione dovendo dimostrare, altresì, di aver istituito un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo sui modelli organizzativi e che non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo stesso sulle prescritte procedure adottate cper prevenire la consumazione di reati
Di seguito si riporta una selezionata rassegna giurisprudenziale sulle più recenti pronunce della Corte di Cassazione divise per argomenti.
Principi generali per l’applicabilità della disciplina del d.lgs. 231/01.
La norma sulla responsabilità da reato dell’ente si applica anche alle s.r.l. unipersonali
La natura unipersonale della Srl non salva dall’applicazione della norma sulla responsabilità da reato dell’ente. Lo afferma la Cassazione chiarendo che il Dlgs 231/2001 si applica anche in tal caso, in quanto la società, anche se unipersonale, è soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote. Per la Corte, una lettura corretta delle disposizioni in materia di responsabilità delle imprese, impone, infatti, di escludere che il legislatore abbia scelto un criterio di imputazione di “rimbalzo” dell’ente rispetto alla persona fisica.
Cassazione penale, sez. VI, 25/07/2017, n. 49056
L’illecito amministrativo non si estingue quando il reato presupposto si è prescritto dopo la contestazione dell’addebito all’ente
L’illecito amministrativo non si estingue quando il reato presupposto si è prescritto dopo la contestazione dell’addebito all’ente. L’estinzione del reato infatti non impedisce al Pm di proseguire l’azione se il procedimento nei riguardi dell’ente fosse già stato incardinato (articolo 16, del Cpp; articoli 11 e 36, del Dlgs 231/2001).
Cassazione penale, sez. VI, 22/06/2017, n. 41768
Spetta all’ente dimostrare di aver attuato modelli organizzativi idonei a prevenire il verificarsi del reato contestato
In tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001 – che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configurando un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza – grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Cassazione penale, sez. VI, 12/02/2016, n. 11442
Responsabilità amministrativa degli enti: il fatto costituente reato può essere commesso sia da soggetti con funzioni apicali che da loro sottoposti
In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 prevede che il fatto, in grado di consentire l’addebito a carico dell’ente, sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni apicali ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale. I due criteri di imputazione sono alternativi o concomitanti: quello costituito dall’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn).
Cassazione penale, sez. VI, 09/02/2016, n. 12653
Responsabilità amministrativa e soggetti attivi del reato-presupposto
In tema di responsabilità da reato degli enti, nella ipotesi di mancata identificazione dell’autore del reato presupposto, può essere affermata la responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n.231 del 2001, solo quando sia, comunque, individuabile a quale categoria, tra quelle indicate, agli artt. 6 e 7 del medesimo decreto, appartenga l’autore del fatto, e sia, altresì, possibile escludere che questi abbia agito nel suo esclusivo interesse.
Cassazione penale, sez. VI, 10/11/2015, n. 28299
Applicabilità ad imprese individuali
La normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi.
Cassazione penale, sez. VI, 23/07/2012, n. 30085
Fallimento non estingue il reato
Il fallimento della società non è equiparabile alla morte del reo e quindi non determina l’estinzione della sanzione amministrativa prevista dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.
Cassazione penale, sez. V, 26/09/2012, n. 44824
Giurisprudenza in tema di sicurezza e reati sul lavoro: art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001.
Tra i reati c.d. presupposti, ossia quei fatti illeciti la cui commissione può comportare la responsabilità amministrativa dell’ente, la l. n. 123/2007 ha introdotto quelli di omicidio colposo e lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001).
La giurisprudenza di legittimità nella concreta applicazione dei principi di diritto ha riconosciuto la penale responsabilità per violazioni della normativa cautelare da parte dei vertici societari dalle quali sia derivato poi un infortunio sul luogo di lavoro, commesse allo scopo di ottenere un vantaggio economico, anche esiguo, per l’ente.
In tal senso, ad oggi risultano fondamentali i principi espressi nella nota sentenza ThyssenKrupp del 2014 che ha fatto discendere dalle carenze di autonomia degli organismi di sicurezza l’ inidoneità del modello organizzativo aziendale e quindi la responsabilità dell’azienda ex art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001.
Omicidio o lesioni per violazione delle norme sulla tutela di salute e sicurezza sul lavoro: individuazione dei requisiti di interesse o di vantaggio dell’ente
In tema di responsabilità da reato dell’ente in conseguenza della commissione dei reati di omicidio colposo o di lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro (art. 25 septies d.lg. 8 giugno 2001 n. 231), ricorre il requisito dell’interesse dell’ente quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica; ciò accade, ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa: pur non volendo il verificarsi dell’infortunio in danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre, invece, il requisito del vantaggio per l’ente quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, anche in questo caso ovviamente non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.
Cassazione penale, sez. IV, 19/05/2016, n. 31210
La responsabilità dell’ente per lesioni personali non può essere esclusa dall’esiguità del vantaggio derivante dall’omissione di sistemi di sicurezza
In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, sussiste l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività. (In motivazione, la Corte ha affermato che la responsabilità dell’ente, non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni personali gravi).
Cassazione penale, sez. IV, 20/04/2016, n. 24697
Necessario provare che l’autore del reato presupposto sia ricompreso in una delle categorie citate all’art. 5 del d.lgs. n. 231/2001
Ai fini della sussistenza della responsabilità penale della persona giuridica per l’illecito amministrativo dipendente ex art. 25 septies d.lg. n. 231 del 2001 è. Tra tali soggetti, è riconducibile anche il “preposto di fatto”. Inoltre, è necessario che l’evento dannoso abbia comportato un beneficio in termini assoluti a vantaggio dell’ente o sia il risultato della mancata adozione delle idonee misure di prevenzione a fronte di un interesse dell’ente a porre in essere l’attività pericolosa. Tra gli interessi che rilevano a tal fine, e che devono essere dal giudice valutati “ex ante”, vi rientra anche quello di voler svolgere i lavori prestabiliti nel più breve tempo possibile, frequente nell’esecuzione dei contratti di subappalto.
Cassazione penale, sez. IV, 23/02/2016, n. 40033.
Violazione delle norme prevenzionistiche e vantaggio economico dell’ente
In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5 del D.Lgs. n. 231 del 2001 all’interesse o al vantaggio, sono alternativi e concorrenti tra di loro e devono essere riferiti alla condotta anziché all’evento, pertanto, ricorre il requisito dell’interesse qualora l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente, mentre sussiste il requisito del vantaggio qualora la persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto.
Cassazione penale, sez. IV, 17/12/2015, n. 2544.
Responsabilità degli enti e colpa in organizzazione
In tema di responsabilità da reato degli enti, la colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli.
Cassazione penale, sez. un., 24/04/2014, n. 38343.
Responsabilità amministrativa persone giuridiche: Sanzioni interdittive
In tema di responsabilità amministrativa degli enti, laddove si verta in ipotesi di commissione del reato presupposto di lesioni colpose gravi o gravissime aggravate dalla violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro (art. 590, comma 3, c.p.), le sanzioni interdittive previste dal comma 3 dell’art. 25 septies d.lg.8 giugno 2001 n. 231 devono essere applicate obbligatoriamente.
Cassazione penale, sez. IV, 25/06/2013, n. 42503.
Reati tributari: la giurisprudenza di legittimità si confronta con la mancata previsione tra i reati presupposti di quelli previsti e puniti dal d.lgs. 74/2000)
In materia fiscale, è principio consolidato in sede di legittimità l’impossibilità di far discendere la responsabilità amministrativa per l’ente in caso di commissione di reati tributari (la cui disciplina è contenuta nel d.lgs. n. 74/2000) in quanto tali fattispecie non sono indicate nell’elenco dei reati presupposti degli artt. 24 e ss. del Decreto.
Ne consegue che saranno inapplicabili le misure cautelari previste dalla normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti a meno che la struttura societaria non costituisca un mero apparato fittizio utilizzato dal reo proprio per porre in essere i reati di natura fiscale.
Responsabilità delle persone giuridiche: legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni in caso di reati tributari
Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato, sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nei confronti dell’ente, nel caso in cui, successivamente alla imposizione del vincolo cautelare, dallo stesso soggetto non siano indicati i beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta.
Cassazione penale, sez. III, 06/07/2016, n. 40362.
Profili di responsabilità tributaria degli enti
In tema di responsabilità da reato degli enti, ove si proceda per associazione per delinquere transnazionale finalizzata alla commissione di reati non previsti tra quelli fondanti la responsabilità dell’ente, nella specie tributari, il profitto confiscabile all’ente ben può consistere nel complesso di vantaggi direttamente conseguente dall’insieme dei reati-fine, in quanto detto complesso di vantaggi è imputabile all’associazione, autonoma dai reati-fine, l’esecuzione dei quali è però agevolata dall’esistenza della stabile struttura organizzativa e del comune progetto delinquenziale costituenti i requisiti dell’associazione stessa.
Cassazione penale, sez. III, 14/10/2015, n. 46162.
Accertamento e applicazione delle sanzioni amministrative nel giudizio penale: misure cautelari
In tema di reati tributari, commessi dal legale rappresentante o da altro organo di una persona giuridica, è possibile la confisca “diretta” del profitto del reato quando questo sia rimasto nella disponibilità dell’ente. Mentre, al contrario, non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca “per equivalente” nei confronti della persona giuridica, qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio. Non è parimenti consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia comunque possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato (sezioni Unite, 30 gennaio 2014, G.; da queste premesse, la Corte, ha annullato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente disposto, nell’ambito di procedimento per reato fiscale, senza avere rispettato i suddetti principi, sui conti correnti delle società, e, poi, per il caso di incapienza, sui conti correnti dei legali rappresentanti).
Cassazione penale, sez. III, 17/09/2014, n. 42564.
Accertamento e applicazione delle sanzioni amministrative nel giudizio penale: misure cautelari
In tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto può essere disposto sui beni intestati a una persona giuridica, soltanto quando sia dimostrato che l’ente costituisce lo schermo fittizio delle attività e delle disponibilità dell’amministratore resosi autore del reato. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione con la quale il Tribunale del riesame aveva confermato la misura adottata nei confronti di una s.r.l., facendo esclusivo riferimento alla funzione gestionale svolta dall’indagato nella società).
Cassazione penale, sez. III, 06/03/2014, n. 18311.
Escluse misure cautelari per reati tributari ex d.lgs. 231/2001
La misura cautelare non può essere disposta sui beni di qualsiasi natura appartenenti alla società nel caso in cui si proceda per reati tributari commessi dal legale rappresentante della stessa, in quanto gli artt. 24 e ss. d.lgs. 231/2001 non includono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento.
Cassazione penale, sez. III, 05/03/2013, n. 32799.
Reati tributari commessi dall’amministratore: esclusa la confisca per equivalente sui beni della società
In tema di reati tributari commessi dagli amministratori, è da escludere che possa essere disposto il sequestro per equivalente, finalizzato alla successiva confisca, sui beni appartenenti alla società, che pur abbia in ipotesi tratto beneficio dall’illecito, giacché i delitti ex d.lg. n. 74 del 2000 non rientrano tra i reati presupposto di cui al d.lg. n. 231 del 2001, né in altra fonte di legislazione primaria – salvo
che per i reati a carattere transnazionale ex art. 10 l. n. 146 del 2006 – è prevista tale responsabilità della persona giuridica, né, infine, una responsabilità degli enti per i reati tributari può essere altrimenti affermata senza violare il divieto di analogia in materia penale.
Cassazione penale, sez. III, 19/09/2012, n. 1256.
Inapplicabilità della confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica al di fuori delle fattispecie criminose previste dal decreto legislativo n. 231 dei 2001
A nulla rileva il rapporto di immedesimazione organica del reo con l’ente del quale con compiti o poteri vari fa parte né il vantaggio derivato all’ente dalla commissione del reato, la confisca per equivalente è applicabile nell’ipotesi in cui la struttura societaria costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo proprio per porre in essere i reati di frode fiscale o altri illeciti sicché ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato.
Cassazione penale, sez. III, 4/07/2012, n. 25774.
Falsità nelle relazioni delle società di revisione
Il delitto di falsità nelle relazioni e nelle comunicazioni delle società di revisione, già previsto dall’abrogato art. 174 bis d.lg. n. 58 del 1998 ed ora configurato dall’art. 27 d.lg. n. 39 del 2010, non è richiamato nei cataloghi dei reati presupposto della responsabilità da reato degli enti che non menzionano le surrichiamate disposizioni e conseguentemente non può costituire il fondamento della suddetta responsabilità. (In motivazione la corte ha altresì precisato che anche l’analoga fattispecie prevista dall’art. 2624 c.c., norma già inserita nei suddetti cataloghi, non può essere più considerata fonte della menzionata responsabilità atteso che il d.lg. n. 39 del 2010 ha provveduto ad abrogare anche il citato articolo).
Cassazione penale, sez. un., 23/06/2011, n. 34476.
La responsabilità amministrativa dell’ente nei reati contro la pubblica amministrazione.
Tra i reati presupposti il legislatore ha riservato un ruolo fondamentale per tutti quei delitti commessi in danno della pubblica amministrazione. L’art. 24 del Decreto sanziona la commissione dei delitti di cui agli articoli 316-bis (malversazione a danno dello Stato), 316-ter (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), 640, comma 2, n. 1 (truffa ai danni dello Stato), 640-bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) e 640-ter (frode informatica) c.p., mentre l’art. 25 punisce tutte quelle fattispecie di concussione e corruzione previste dagli artt. 317 e ss. c.p..
Particolare rilevanza assumono poi quelle fattispecie di reato contro la pubblica amministrazione che prevedono l’utilizzo di sistemi informatici: frode informatica (art. 640-ter c.p.), danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici utilizzati dallo Stato o da altro ente pubblico o comunque di pubblica utilità (art. 635-ter c.p.), danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità (art. 635-quinquies, comma 3 c.p.).
L’assoluzione del funzionario pubblico accusato di corruzione non comporta il venire meno della sanzione a carico della società
L’assoluzione di un funzionario pubblico, accusato del delitto di corruzione, non fa venir meno automaticamente la sanzione amministrativa da reato, ex d.lg. n. 231 del 2001, a carico della società che ha tratto vantaggio dalla condotta illecita, e ciò in quanto il criterio imputativo non è fondato esclusivamente su una responsabilità di rimbalzo dell’ente rispetto a quella della persona fisica.
Cassazione penale, sez. VI, 25/07/2017, n. 49056.
Possibile addebito alla società capogruppo della responsabilità per il reato commesso nell’ambito dell’attività di una società controllata
In tema di responsabilità degli enti, la società capogruppo (la cosiddetta holding) o altre società facenti parte di un “gruppo” possono essere chiamate a rispondere, ai sensi del d.lg. n. 231 del 2001, del reato commesso nell’ambito dell’attività di una società controllata appartenente al medesimo gruppo, purché nella consumazione del reato presupposto concorra anche almeno una persona fisica che agisca per conto della holding stessa o dell’altra società facente parte del gruppo, perseguendo anche l’interesse di queste ultime, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a un generico “interesse di gruppo”. In questa prospettiva, infatti, l’interesse e/o il vantaggio devono essere verificati in concreto, nel senso che, per fondare l’estensione della responsabilità, la società deve ricevere una potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto (nella fattispecie, coerentemente con tale ricostruzione, la Corte ha ritenuto corretto e congruamente motivato l’addebito alla capogruppo dell’illecito amministrativo sottostante alla commissione del reato presupposto di cui all’articolo 640 bis c.p., di cui formalmente aveva beneficiato una controllata, attraverso la valorizzazione della circostanza che beneficiaria finale dell’operazione era proprio la capogruppo, cui le società del gruppo erano tenute a conferire liquidità: era emerso, in sostanza, che il reato era risultato commesso nell’interesse e a beneficio solo apparente della controllata, mentre in realtà tale interesse e il conseguente beneficio riguardavano la controllante, nella cui effettiva disponibilità finivano le liquidità di volta in volta percepite).
Cassazione penale, sez. II, 27/09/2016, n. 52316.
Responsabilità degli enti: se il reato presupposto è la corruzione la prescrizione dell’illecito amministrativo decorre dalla data dei versamenti
In tema di responsabilità amministrativa degli enti, qualora il reato presupposto sia quello di corruzione, ai fini del calcolo della prescrizione dell’illecito amministrativo (art. 22 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231), il momento consumativo del reato si deve individuare nei versamenti effettuati in adempimento degli accordi corruttivi. Ciò tenuto conto che il reato di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione/ricezione dell’utilità; conseguendone che, se tali atti si susseguono, il momento consumativo si cristallizza nell’ultimo atto, perché con l’effettiva prestazione si concretizza l’attività corruttiva e si approfondisce l’offesa tipica del reato.
Cassazione penale, sez. VI, 12/02/2016, n. 11442.
Sequestro finalizzato alla confisca di somme provenienti da reati di corruzione
In tema di responsabilità da reato degli enti, il profitto del reato si identifica solo con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto e non anche con i vantaggi indiretti derivanti dall’illecito. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente avente ad oggetto somme di denaro considerate profitto derivante dal reato di corruzione e quantificate facendo riferimento non già al vantaggio consistito nella realizzazione di un impianto di energia alternativa illecitamente autorizzato per effetto dell’accordo corruttivo, ma alle somme liquidate alla società a seguito della erogazione di energia elettrica in base alla convenzione successivamente stipulata con l’ente gestore).
Cassazione penale, sez. VI, 14/07/2015, n. 33226.
Profitto momentaneo dell’ente per effetto di truffa in sovvenzioni seguito da distrazione dell’amministratore
Perché possa ascriversi all’ente la responsabilità da reato, è sufficiente che la condotta del reo persona fisica tenda oggettivamente all’interesse o abbia in effetti realizzato — non rileva se in attuazione o meno dell’interesse perseguito — un vantaggio dell’ente medesimo, senza che assuma rilevanza contraria né la volontà dell’agente di conseguire un vantaggio finale solo per sé, né la distrazione del profitto ad opera dell’autore del reato presupposto dopo la consumazione di questo, che deve considerarsi un irrilevante post factum. Ove la responsabilità dell’ente sia valutata con riferimento ai delitti di truffa in sovvenzioni (art. 640-bis c.p.) e malversazione (art. 316-bis c.p.), perciò, non esclude il requisito del vantaggio ex art. 5, d.lgs. n. 231/2001, il fatto che il finanziamento ricevuto dall’ente per effetto del reato dell’amministratore sia stato poi, anche per intero ed anche immediatamente dopo l’accredito, distratto al patrimonio personale del reo, rilevando esclusivamente l’accreditamento iniziale delle somme, anche per breve tempo, sul conto dell’ente.
Cassazione penale, sez. II, 16/06/2015, n. 29512.
Sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato – truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche – indebita percezione di finanziamenti pubblici agevolati
La responsabilità patrimoniale della società in relazione al profitto dei reati consumati dai suoi amministratori è del tutto autonoma ed è insensibile alle vicende societarie successive alla consumazione dei reati – l’adeguamento dei modelli organizzativi societari all’esigenza di prevenzione di ulteriori illeciti è prevista dall’art. 50 d.lgs. 231/2001 con riferimento alle sanzioni interdittive disposte ai sensi dell’ art. 45 quando le correlative esigenze cautelari risultino mancanti anche per fatti sopravvenuti non tipizzati dalla norma ovvero in presenza delle ipotesi previste dall’art. 17).
Cassazione penale, sez. II, 19/07/2012, n. 29397.
Sequestro preventivo finalizzato alla confisca e “fumus” di reato
In materia di responsabilità amministrativa degli enti, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca (art. 53 in relazione all’art. 19 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231) è prodromico all’applicazione di una sanzione principale, che, al pari delle altre sanzioni previste dall’art. 9 dello stesso decreto legislativo, può essere applicato solo a seguito dell’accertamento della responsabilità dell’ente. Proprio dalla natura di sanzione principale della confisca discende che il “fumus delicti” richiesto per l’adozione del sequestro non può che coincidere con i “gravi indizi di responsabilità” dell’ente richiesti per l’applicazione della sanzione. Per l’effetto, i gravi indizi che consentono di disporre il sequestro devono coincidere con quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, anche indiretti, che sebbene non valgano di per sé a dimostrare “oltre ogni dubbio” l’attribuibilità dell’illecito all’ente con la certezza propria del giudizio di cognizione, tuttavia globalmente apprezzati nella loro consistenza e nella loro concatenazione logica, consentono di fondare, allo stato e tenuto conto della peculiarità della fase cautelare, una qualificata probabilità di colpevolezza dell’ente per l’illecito amministrativo contestato. Solo dopo la verifica della sussistenza dei gravi indizi, il giudice potrà poi procedere ad accertare il requisito del “periculum”, che riguarda esclusivamente l’individuazione e la quantificazione del profitto (o del prezzo) assoggettabile a confisca. (Da queste premesse, in una fattispecie relativa a ricorso avverso la decisione del tribunale del riesame che, accogliendo l’appello del p.m., aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto a carico dell’ente indagato per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25 d.lg. n. 231 del 2001, in relazione al reato di corruzione commesso nel suo interesse da parte dei vertici societari, la Cassazione ha annullato con rinvio la decisione, evidenziando come il tribunale non avesse proceduto ad accertare la sussistenza dei gravi indizi sulla responsabilità dell’ente e si fosse, invece, limitato a effettuare l’accertamento del “fumus” in base al criterio dell’astratta sussumibilità della fattispecie concreta in quella legale).
Cassazione penale, sez. VI, 31/05/2012, n. 34505.
Sanzioni interdittive in caso di corruzione di funzionari di Stato estero
Nel caso di corruzione di funzionari di uno Stato estero, sono applicabili, nei confronti dell’ente di cui sia accertata la responsabilità amministrativa per tale reato, le sanzioni interdittive previste dall’art. 25 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231.
Cassazione penale, sez. VI, 30/09/2010, n. 42701.
Reati societari e d.lgs 231/2001
L’art. 25-ter del d.lgs. n. 231/2001 include nei reati presupposto i c.d. reati societari previsti e sanzionati nel codice civile agli articoli 2621 e ss.. Tra queste numerose figure criminose, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di pronunciarsi su fattispecie inerenti gli abusi di mercato, sanzionando le lacune e le inefficienze nella vigilanza interna alla società.
Prevenzione reati societari e vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore
L’avere il ricorrente riferito a persona preposta alla verifica e prevenzione di eventuali reati societari ex d.lgs. n. 231 del 2001 la circostanza che la sovrafatturazione era stata autorizzata da dirigente aziendale, la cui veridicità non era emersa in sede processuale, costituiva un comportamento gravemente lesivo del vincolo fiduciario per il discredito che procurava.
Cassazione civile, sez. lavoro 26/05/2016, n. 10943.
Responsabilità amministrativa degli enti in materia di aggiotaggio
Ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente, stante il disposto dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 231 del 2001, è necessario che venga compiuto un reato da parte di un soggetto riconducibile all’ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile, con la conseguenza che la responsabilità penale presupposta può essere ritenuta incidenter tantum (ad esempio, perché non si è potuto individuare il responsabile o perché questi non è imputabile) e ciò nonostante può essere sanzionata in via amministrativa la società (ciò che è stato ritenuto nel caso di specie, relativamente all’illecito di cui all’articolo 25ter del decreto legislativo n. 231 del 2001, contestato con riferimento al reato presupposto di aggiotaggio previsto dall’articolo 2637 del codice civile, in una vicenda in cui l’autore del reato presupposto era stato assolto, ma era risultata comunque accertata la commissione del reato presupposto da parte di altri soggetti, pur non compiutamente identificati, comunque riconducibili alla società e che, ovviamente, avevano agito nell’interesse o a vantaggio di questa).
Cassazione penale, sez. I, 02/07/2015, n. 35818.
False comunicazioni sociali non configurano automaticamente responsabilità amministrativa dell’ente
La condotta illecita contestata agli amministratori di una società in termini di false comunicazioni sociali, consistenti nell’alterazione di alcune voci del bilancio di esercizio, non può considerarsi “in re ipsa” come diretta ad ottenere un vantaggio per la società in termini di risparmio di imposta e non è dunque sufficiente per configurare la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi d.lg. n. 231 del 2001.
Cassazione penale, sez. I, 26/06/2015, n. 43689.
Confisca per equivalente e reato di manipolazione del mercato
In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, il profitto derivante dal reato di manipolazione del mercato può consistere per l’azionista nella acquisizione della plusvalenza delle azioni ovvero nella evitata perdita di valore delle stesse, sempre che il vantaggio presenti i caratteri della immediata derivazione dell’illecito penale e della concreta effettività. (Nella specie, il profitto era stato individuato nella mancata perdita di valore delle azioni per effetto del reato di manipolazione di mercato, ma la Corte ha ritenuto non provata la realizzazione concreta del profitto e la sussistenza del nesso causale tra l’evitata perdita di valore delle azioni e il reato ipotizzato).
Cassazione penale, sez. V, 03/04/2014, n. 25450.
Concorso di responsabilità tra persona fisica e giuridica
In tema di reati societari, la responsabilità della persona giuridica non è affatto esclusa laddove l’ente abbia avuto un interesse concorrente a quello dell’agente o degli agenti che, in posizione qualificata nella sua organizzazione, abbiano commesso il reato presupposto.
Cassazione penale, sez. II, 12/03/2014, n. 16359.
Reati societari e abusi di mercato – criteri di attribuzione della responsabilità
Anche per i reati societari i criteri ascrittivi della responsabilità sono quelli generali previsti dal primo comma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 231/2001 nonostante la menzione nell’art. 25 del solo criterio dell’interesse potrebbe rivelare l’apparente intenzione legislativa di ridimensionare l’area della responsabilità dei soggetti collettivi (in merito ad attività illecite comunque tese a far raggiungere e mantenere alla società una posizione di preminenza sul mercato, anche occultandone le eventuali lacune sul piano della tenuta finanziaria e patrimoniale, non possono non ritenersi consumate quantomeno anche nell’interesse della medesima).
Cassazione penale, sez. V, 04/03/2014, n. 10265.
Idoneità del modello organizzativo a prevenire il reato
In materia di responsabilità da reato degli enti, non sussiste elusione fraudolenta del modello organizzativo – presupposto necessario per l’applicazione dell’esimente – se quest’ultimo non contempla tutte le procedure comportamentali necessarie alla prevenzione del reato contestato. (Nel caso di aggiotaggio informativo, la mancata regolamentazione di talune fasi del processo di redazione del comunicato-stampa, rivolto al mercato degli investitori, ha consentito ai vertici della società di manipolare il contenuto delle informazioni e di pubblicizzare il comunicato medesimo al riparo da ogni controllo interno: trattasi, pertanto, di semplice abuso di potere e non di condotta ingannevole).
Cassazione penale, sez. V, 18/12/2013, n. 4677.