Sindaci responsabili di bancarotta fraudolenta impropria per l’omesso controllo sull’operato degli amministratori.

Con la sentenza n. 52433/2017 la Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente in tema di bancarotta impropria con particolare riferimento alla responsabilità penale dei componenti del collegio sindacale.

La pronuncia è interessante ed offre significativi spunti di riflessione sul paradigma della responsabilità che assume l’organo di vigilanza e controllo per la responsabilità concorsuale (con l’amministratore) nei reati fallimentari.

Il fatto di reato e l’imputazione

I due imputati (ricorrenti) sono stati riconosciuti responsabili del reato di cui all’art. 223, comma 2 l. Fall., in quanto, rispettivamente, presidente e componente del collegio sindacale di una società per azioni fallita nel 2004 per avere omesso di vigilare sul generale andamento della società e di controllare la regolare tenuta della contabilità, in guisa tale da non impedirne il fallimento.

Dalla lettura della sentenza si ricava che gli amministratori della s.p.a. – tratti a giudizio per aver posto in essere condotte distrattive e dissipative, operazioni dolose e falsi in bilancio che avrebbero condotto la società al fallimento – avevano già definito separatamente la loro posizione con richiesta di applicazione pena ex art. 444 c.p.p.

Lo svolgimento del processo

In primo grado la sentenza resa dal GUP del Tribunale di Milano all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato gli imputati per le condotte loro ascritte; sentenza confermata in punto di penale responsabilità dalla Corte territoriale che riformava quella di primo grado limitatamente al trattamento sanzionatorio per effetto della concessione delle attenuanti generiche.

Avverso la sentenza di appello viene proposto ricorso per cassazione da parte di due imputati per violazione di legge e vizi motivazionali della sentenza impugnata, nonché per la genericità della formulazione del capo di imputazione.

La decisione della cassazione ed il principio di diritto.

La Suprema Corte rigetta il ricorso richiamando principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità in materia di bancarotta impropria con interessanti puntualizzazioni in tema di elemento psicologico del reato e di materialità del fatto – reato.

In relazione all’elemento soggettivo della fattispecie prevista dall’art. 223 l.Fall., la Corte evidenzia che: “la causazione dolosa del fallimento, prevista dalla L. Fall., art. 223, primo capoverso – n. 2, comprende due ipotesi autonome che, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, mentre da quello soggettivo vanno tenute distinte perché, nella causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l’effetto – dal punto di vista della causalità materiale – di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio dello stesso. La prima fattispecie è, dunque, a dolo specifico, mentre la seconda è a dolo generico”.

Passando, poi all’elemento oggettivo afferente la condotta materiale così statuisce: “In tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato.

La Corte regolatrice, nel caso di specie, riconosce che le due sentenze di merito hanno dato conto esaustivamente dell’abnormità delle condotte poste in essere dagli amministratori, ossia l’illegittima contabilizzazione di costi, emissione di ricevute bancarie fittizie, assunzione di mutuo ipotecario, dolosa gestione volta a favorire diverse forme di distrazione e dissipazione, tra cui anche l’acquisto di una società in decozione, poi fallita, con una situazione di conflitto di interessi.

Stante l’evidente natura distrattiva di tali condotte poste in essere dall’organo amministrativo e l’esistenza di un obbligo in capo ai sindaci “di non limitarsi ad un mero controllo formale della contabilità ma di vigilare, in forma penetrante e costante, sul generale andamento gestionale societario”, i Giudici di legittimità concludono che “è evidente che la macroscopica attitudine delle condotte poste in essere dagli amministratori a pregiudicare la salute economica della società doveva costituire un segnale d’allarme per l’organismo preposto al controllo. Correttamente, quindi, i giudici di merito hanno dedotto la sussistenza dell’elemento soggettivo dalle modalità della condotta.

Giurisprudenza rilevante in tema di bancarotta impropria

Cassazione penale, sez. V, 14/09/2017, n. 50081.

La presentazione per lo sconto presso diversi istituti bancari delle medesime fatture concreta quelle operazioni dolose che inevitabilmente, aumentando il passivo (ottenendo più anticipazioni a fronte del medesimo ed unico credito), conducono all’aggravamento dello stato di dissesto e, quindi, al fallimento. Una simile condotta integra gli elementi costitutivi della bancarotta impropria e non configura la diversa ipotesi del ricorso abusivo al credito, posto che tale fattispecie si concreta nel caso in cui si ottengano finanziamenti dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza, in assenza, quindi, degli ulteriori elementi che caratterizzano il delitto di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, seconda ipotesi, e cioè il cagionare il fallimento attraverso operazioni dolose.

Cassazione penale, sez. V, 09/05/2017, n. 29885.

Integra il reato di cui all’articolo 223, comma 2, numero 1, della legge fallimentare (Rd 16 marzo 1942 n. 267) la condotta di chiunque cagioni, o concorra a cagionare, commettendo i delitti societari indicati (nella specie, quello di cui all’articolo 2621 del codice civile), il dissesto della società, così sanzionando la condotta sia di chi il dissesto – da intendersi come lo squilibrio economico che conduce la società al fallimento – l’abbia interamente cagionato, sia di chi ne abbia causato una parte (l’abbia aggravato), posto che il dissesto, nei suoi termini economici, non costituisce un dato di fatto immodificabile e può pertanto essere reso ancora più grave. Per l’effetto, il reato è correttamente ravvisato nella condotta di chi abbia lasciato permanere nel bilancio della società poi fallita un credito ormai inesigibile, senza operare la dovuta svalutazione almeno del 90%, come impostogli da criteri tecnici generalmente accettati, dai quali ci si può discostare solo fornendo adeguata informazione e giustificazione (sezioni Unite, 31 marzo 2016, Passarelli), avendo consentito, con tale comportamento, alla società di proseguire l’attività, senza prendere atto, invece, che il patrimonio netto era divenuto negativo e che quindi era necessario o provvedere alla sua ricapitalizzazione o alla sua liquidazione (o alla richiesta di fallimento).

Cassazione penale, sez. V, 24/03/2017, n. 17819.

La condotta consistente nella vendita sottocosto di un cespite conferito nel capitale sociale, con acquisizione di liquidità per la società e contestuale vantaggio (anche solo indiretto) dell’amministratore di questa, può integrare infedeltà patrimoniale, ex art. 2634 c.c., ma perché tale condotta venga qualificata come bancarotta fraudolenta impropria, ex art. 223, comma 2, n. 1) l. fall., deve aver cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società.

Cassazione penale, sez. V, 14/10/2016, n. 533.

I reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, comma 1, l. fall.) e quello di bancarotta impropria di cui all’art. 223 comma 2, n. 2, l. fall. hanno ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività – né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili – ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 l. fall., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società – siano stati causa del fallimento.

Cassazione penale, sez. V, 30/06/2016, n. 46689.

In tema di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, dove l’elemento soggettivo presenta una struttura complessa comprendendo il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari, il predetto dolo generico non può ritenersi provato – in quanto “in re ipsa” – nella violazione di norme contabili sulla esposizione delle voci in bilancio, né può ravvisarsi nello scopo di far vivere artificiosamente la società, dovendo, invece, essere desunto da inequivoci elementi che evidenzino, nel redattore del bilancio, la consapevolezza del suo agire abnorme o irragionevole attraverso artifici contabili.

Cassazione penale, sez. V, 27/06/2016, n. 44103.

Non è configurabile il concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di bancarotta impropria da operazioni dolose, di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2 L. fall., che deve considerarsi assorbito nel primo quando l’azione diretta a causare il fallimento sia la stessa sussunta nel modello descrittivo della bancarotta fraudolenta.

Cassazione penale, sez. V, 12/01/2016, n. 30333.

Tra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e quello di bancarotta impropria è configurabile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema di cui all’art. 216 l. fall., siano riscontrabili differenti ed autonome condotte dolose che abbiano determinato il fallimento della società.

Cassazione penale, sez. V, 29/11/2013, n. 12426.

In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa individuabile e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva considerato qualificabile come operazione dolosa a norma dell’art. 223, comma 2, n. 2 l. fall., il mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità).

Cassazione penale, sez. V, 08/02/2012, n. 11624.

In tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell’ipotesi del fallimento cagionato per effetto di operazioni dolose, il concorso dell'”extraneus” istigatore e beneficiario delle operazioni è configurabile qualora questi risulti consapevole del rischio che le suddette operazioni determinano per le ragioni dei creditori della società, non essendo invece necessario che egli abbia voluto causare un danno ai creditori medesimi.

Giurisprudenza rilevante in tema di responsabilità del collegio sindacale.

Cassazione penale, sez. V, 22/03/2016, n. 14045.

Nei reati di bancarotta il concorso dei componenti del collegio sindacale nei reati commessi dall’amministratore della società può realizzarsi anche attraverso un comportamento omissivo del controllo sindacale che non si esaurisce in una mera verifica formale o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione.

Cassazione penale, sez. V, 14/01/2016, n. 18985.

I componenti del collegio sindacale concorrono nel delitto di bancarotta commesso dall’amministratore della società anche per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dagli artt. 2403 c.c. ss., che non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali.

Cassazione penale, sez. V, 01/07/2011, n. 31163.

In tema di bancarotta è configurabile il concorso dei componenti del collegio sindacale nei reati commessi dall’amministratore della società anche a titolo di omesso controllo sull’operato di quest’ultimo o di omessa attivazione dei poteri loro riconosciuti dalla legge.

Cassazione penale, sez. V, 13/12/2006, n. 17393.

In tema di responsabilità per bancarotta documentale, l’obbligo di vigilanza dei sindaci e del collegio sindacale non è limitato al mero controllo contabile, ma deve anche estendersi al contenuto della gestione, considerato che la previsione di cui all’art. 2403, comma 1, prima parte c.c. deve essere correlata con i commi terzo e quarto della stessa norma, che conferiscono ai sindaci il potere-dovere di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni.