Confiscati i beni personali del nuovo amministratore per debito iva maturato nella precedente gestione.

Con la sentenza n. 55482/2017 la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di responsabilità penale dell’amministratore di una società di capitali sul quale ricadeva l’obbligo giuridico di versare l’IVA ancorché avesse assunto la carica successivamente alla contabilizzazione delle fatture (attive e passive) cui era conseguito un debito verso l’Erario per il versamento dell’imposta indiretta.

La pronuncia è interessante ed offre significativi spunti di riflessione sul tema della responsabilità che assume l’organo amministrativo per le esposizioni tributarie gravanti sulla società rappresentata. In particolare nel caso di specie si fa riferimento all’assunzione dei rischi connessi all’avvicendamento della carica che interviene prima del maturarsi del termine per il versamento dell’imposta e le conseguenze di ordine patrimoniale che ricadono sul nuovo amministratore i cui beni personali vengono attinti dal provvedimento ablatorio della confisca per equivalente.

L’imputazione e lo svolgimento del processo.

Il PM presso il Tribunale di Campobasso ha contestato all’imputato il delitto di cui all’art. 10 ter del d.lgs. n.74/2000 per il mancato versamento dell’iva di importo superiore ad € 1.000.000 dovuto dalla società amministrata per l’anno 2008, pur avendo egli assunto la carica di amministratore dal 20 aprile 2009.

In primo grado il GUP del Tribunale di Isernia ha ritenuto l’imputato responsabile del reato a lui ascritto.

La sentenza è stata confermata dalla Corte territoriale di Campobasso.

Avverso la sentenza di appello è stato proposto ricorso per cassazione e, per quanto di interesse, ne è stata censurata la motivazione nella parte relativa alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in capo al nuovo amministratore ed alla confisca per equivalente, chiedendone l’annullamento.

La decisione della cassazione ed il principio di diritto.

La Suprema Corte dichiarato inammissibile il ricorso richiamando i principi di diritto che seguono.

  1. i) Sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato in capo al nuovo amministratore:

“Correttamente, la sentenza impugnata ritiene sussistente l’elemento psicologico del reato, dal momento che l’imputato, con l’accettazione della carica di amministratore, ha avuto contezza delle obbligazioni, anche tributarie, da adempiere e della situazione economica complessiva della società. Come più volte ribadito da questa Corte, ai fini della configurazione dell’elemento psicologico del reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, basta il dolo generico, con la conseguenza che, per la commissione del reato, è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario l’imposta sul valore aggiunto legalmente dovuta (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 25/01/2016, Rv. 265939; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, Rv. 263127). Risponde del medesimo reato, inoltre, quanto meno a titolo di dolo eventuale, anche il soggetto che, subentrando nella carica di amministratore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’erario le somme dovute, senza aver esperito i controlli contabili sugli ultimi adempimenti fiscali. L’assunzione della carica di amministratore comporta, infatti, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, qualora ciò non accada, è evidente che sceglie di assumere la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze (ex multis, Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Rv. 264882; Sez. 3, n. 30492 del 23/06/2015, Rv. 264395).

  1. ii) Sulla legittimità della confisca per equivalente disposta sul patrimonio personale dell’imputato per il debito iva:

“ (…) con riguardo ai reati tributari considerati dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, la confisca per equivalente può essere disposta non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato, posto che l’integrale rinvio alle disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p., contenuto nell’art. 1, comma 143, richiamato, consente di affermare che, con riferimento a detti reati, trova applicazione non solo il primo ma anche il secondo comma della norma codicistica (ex plurimis, Sez. 3, n. 23108 del 23/04/2013, Rv. 255446; Sez. 3, n. 35807 del 07/07/2010, Rv. 248618; Sez.3, n. 25890 del 26/05/2010, Rv. 248058). Nè, proprio in ragione del rinvio all’art. 322 ter nella sua integralità, può lamentarsi che l’interpretazione in questione sarebbe di natura estensiva e, dunque, non consentita. A diverse conclusioni non può condurre neppure la modifica dell’art. 322 ter, comma 1, introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1, comma 75, lett. o), per effetto della quale la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità è consentita, per i delitti previsti dall’art. 314 all’art. 320 c.p., per un valore corrispondente non più solo al prezzo del reato ma anche al profitto di esso. Tale modifica è stata infatti introdotta proprio per consentire l’operatività del sequestro per equivalente del profitto in relazione a quelle ipotesi per le quali l’esclusivo riferimento al prezzo non consentiva di estendere al di là di esso l’oggetto della misura reale, in tal modo essendosi adeguato il sistema interno alle indicazioni in tema di confisca di valore desumibili da una serie di fonti internazionali ed Europee tra cui le decisione quadro 2005/212/GAI del 24 febbraio 2005 del Consiglio dell’Unione Europea, che all’art. 2 impone agli Stati Membri di adottare “le misure necessarie per poter procedere alla confisca totale o parziale di strumenti o proventi di reati punibili con una pena della libertà superiore ad un anno o di beni il cui valore corrisponda a tali proventi”. Dunque, tale modifica è volta a sanzionare compiutamente, attraverso lo strumento della confisca per equivalente, le condotte illecite volte a procurare all’agente illeciti profitti, senza irragionevoli distinzioni fondate sulla diversa tipologia dei reati posti in essere. E il quadro appena delineato trova conferma nell’attuale regime dell’istituto, contenuto nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 1, inserito dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 10, comma 1, perchè tale disposizione, in continuità con la disciplina precedente, prevede che, “Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p. per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”.

iii) Sulla lamentata illegittimità della confisca disposta senza la preventiva adozione del sequestro preventivo ed in mancanza di specifica individuazione dei beni da sottoporre al vincolo ablatorio:

“(……) In virtù della stessa natura della confisca per equivalente, non sussiste alcun obbligo di individuare nel decreto di sequestro preventivo o nella confisca i beni su cui porre il vincolo.

Una simile indicazione troverebbe la sua giustificazione nell’esistenza di un rapporto strumentale fra il bene da sequestrare, come profitto o prezzo dell’attività criminosa, e il reato; mentre, ai fini della confisca per equivalente, non è necessaria la sussistenza di un rapporto di pertinenzialità fra la res e il reato; dal momento che la misura non ricade direttamente sui beni costituenti il profitto del reato, ma ha per oggetto il controvalore di essi. Il giudice che dispone il sequestro o la confisca è solo tenuto, dunque, ad indicare l’importo complessivo da sequestrare e l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore con il quantum indicato nel sequestro, è riservata, infatti, alla fase esecutiva demandata al Pubblico Ministero (Sez. 3, 7 maggio 2014, n. 37848; Sez. 2, 21 luglio 2015, n. 36464). E la confisca per equivalente deve essere obbligatoriamente disposta con la sentenza di condanna anche in mancanza di sequestro, senza che ciò comporti alcuna violazione del diritto di difesa potendo il destinatario ricorrere al giudice dell’esecuzione qualora si ritenga pregiudicato dai criteri adottati dal P.M. nella selezione dei cespiti da confiscare (ex plurimis, Sez. 2, n. 24785 del 12/05/2015, Rv. 264282; Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014, dep. 05/03/2015, Rv. 262893).

Considerazioni finali e consigli del legale.

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha riaffermato principi ritenuti pacifici nella corrente interpretazione della disciplina del reato di omesso versamento iva (art. 10 ter D.Lgvo n.74/2000) e delle conseguenze di natura patrimoniale che conseguono alla sentenza di condanna, ossia la confisca per valore.

Tuttavia, la concreta applicazione degli stessi al soggetto che assume la carica di amministratore, pur non avendo svolto alcun ruolo gestorio nell’arco temporale in cui si è prodotto il debito iva ma, secondo quanto indicato nella sentenza in commento, avendone accettato il rischio (dolo eventuale), conduce all’assunzione di una rilevante responsabilità sia di natura penale per le comminatorie di legge, sia di natura patrimoniale.

Invero, se il Tribunale giudicante (ovvero il GUP in caso di scelta del rito alternativo del giudizio abbreviato come nella sentenza in commento) ritiene che l’imputato, nella qualità, abbia agito con la coscienza e volontà di non versare all’Erario l’imposta indiretta dovuta dalla società rappresentata, egli sarà chiamato a rispondere (solidalmente con la società) con l’intero proprio patrimonio, con la non trascurabile differenza che mentre la persona giuridica generalmente subisce gli effetti del sequestro limitatamente alla liquidità rinvenuta sui conti correnti (Cfr. Cass., Sez. Unite, 30.01.2014,n. 10561, Imp. Gubert)quasi sempre incapienti – l’intero patrimonio del nuovo amministratore (liquidità, beni immobili, beni mobili registrati) nei confronti del quale è stata pronunciata sentenza di condanna sarà soggetto alla confisca per equivalente (che, quindi, colpisce indiscriminatamente ogni utilità economica nella disponibilità del condannato).

Provvedimento ablatorio definitivo (la proprietà dei beni personali viene acquista al patrimonio dello Stato) molto spesso anticipato dal sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari su richiesta del PM delegato alle indagini che ne determina la indisponibilità giuridica e di fatto sin dal momento della sua esecuzione.

Il consiglio del legale, tenuto conto della crescente attenzione da parte degli Uffici giudiziari ai reati tributari cui è conseguito un sensibile incremento dei provvedimenti cautelari reali finalizzati alla confisca, si colloca, necessariamente, nella fase della consulenza preventiva rispetto alla accettazione della formale nomina dell’amministratore di talché, il soggetto che dovrà ricoprire la carica, prima di assumerla, dovrà verificare (come indicato dalla corte regolatrice) contabilità e bilanci della società per rendersi conto della sussistenza di eventuali debiti fiscali (segnatamente Ires ed Iva) ed in caso positivo, nel suo interesse, avrà l’onere di verificare l’esistenza nelle casse della società della liquidità necessaria a farvi fronte, pena l’assunzione del rischio del sacrificio del patrimonio personale che, per esperienza dello scrivente, spesso porta al tracollo finanziario personale e familiare.

Giurisprudenza rilevante in tema di elemento psicologico del reato nel reato di omesso versamento IVA.

Cassazione penale sez. III, 05/11/2015, sent.za n. 3098.
L’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA, previsto dall’art. 10-ter del d.lg. n. 74 del 2000, è il dolo generico, da estendersi anche alla consapevolezza del superamento della soglia di punibilità, individuata, a seguito delle modifiche apportate dal d.g. n. 158 del 2015, in 250.000 euro dalla disposizione incriminatrice.

Cassazione penale sez. III, 22/01/2014, sent.za n. 12248
Nel reato di cui all’art. 10 ter d.lg. n. 74 del 2000, ai fini della sussistenza del dolo generico, richiesto per l’integrazione della fattispecie, occorre che il soggetto attivo con “coscienza e volontà” presenti una dichiarazione i.v.a. e ometta il versamento entro il termine stabilito (ovvero entro il 27 dicembre del successivo periodo d’imposta) delle somme in essa indicate a favore dell’Erario, nella consapevolezza che il tributo evaso supera la soglia di punibilità individuata dalla disposizione incriminatrice in euro cinquantamila. 

Cassazione penale sez. III, 24/06/2014 sent.za n. 8352
In tema di reati tributari nel reato di cui all’art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000, è richiesto il dolo generico, integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motivi della scelta dell’agente di non versare il tributo.

Cassazione penale sez. III, 26/05/2010 sent.za n. 25875.
Il reato di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale, in quanto è solo con il maturare di tale termine che si verifica l’evento dannoso per l’erario, previsto dalla fattispecie penale, ed è punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la mera consapevolezza della condotta omissiva. (La Corte ha premesso che non v’è continuità normativa con il reato di omesso versamento delle ritenute d’acconto sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, previsto dall’abrogato art. 2 d.l. n. 429 del 1982, conv. con mod. della l. n. 516 del 1982).

Giurisprudenza rilevante in tema di responsabilità penale dell’amministratore (ovvero del liquidatore) che subentra nella gestione della società.

 Cassazione penale sez. III, 23/06/2015, sent.za n. 30492.
In tema di reati tributari, il liquidatore di una società di capitali può rispondere, in relazione alle dichiarazioni annuali presentate dopo il suo insediamento, dei reati di cui agli artt. 2 e 4 del d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, purché emergano elementi dai quali poter desumere quanto meno la sussistenza del dolo eventuale, e dunque la conoscenza o conoscibilità, attraverso una diligente verifica della contabilità e dei bilanci, della fittizietà delle poste e della falsità delle fatture inserite nella dichiarazione.

Cassazione penale sez. III, 24/06/2015, sent.za n.ro 34927.
Risponde del reato di omesso versamento di IVA (art. 10-ter, D.Lgs. 74 del 2000), quanto meno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.

 Cassazione penale sez. III, 29/10/2014, sent.za n. 5921
In tema di omesso versamento di i.v.a., non risponde del reato di cui all’art. 10 ter d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, per difetto dell’elemento soggettivo, il liquidatore di società che, a fronte di istanza di fallimento già presentata anteriormente alla scadenza del termine per il pagamento dell’imposta, ometta di adempiere l’obbligazione tributaria nel legittimo convincimento, erroneo quanto alla circostanza fattuale del non ancora intervenuto fallimento, che il versamento violi la regola della “par condicio creditorum” di cui agli art. 51 e 52 l.fall. ed integri, a determinate condizioni, il reato di bancarotta preferenziale.

 Cassazione penale sez. III, 04/06/2014, sen.za n. 38687
In tema di omesso versamento di i.v.a., il soggetto che subentri ad altri nella carica di liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, risponde del reato di cui all’art. 10 ter d.lg. n. 74 del 2000 quantomeno a titolo di dolo eventuale.

 Cassazione penale sez. III, 09/10/2013, sent.za n. 3636.
In tema di omesso versamento dell’i.v.a. da parte di una società a responsabilità limitata, versa in dolo eventuale, e non in mera colpa, il soggetto che, subentrando ad altri dopo la dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, abbia acquistato le quote sociali e abbia assunto la carica di amministratore, senza compiere il previo controllo, di natura puramente documentale, sugli ultimi adempimenti fiscali. (In motivazione, la Corte ha escluso il carattere “colposo” dell’addebito, attesa la particolare semplicità delle verifiche che avrebbero consentito di appurare l’incombenza dell’obbligo tributario).