Evasione Iva e sequestro preventivo: la cassazione conferma la rigorosa giurisprudenza per la prova della forza maggiore.

Con la sentenza 8054/2018 depositata il 20.02.2018 la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di responsabilità penale dell’amministratore di una società di capitali sul quale ricadeva l’obbligo giuridico di versare l’IVA autoliquidata per un importo superiore alla soglia di punibilità fissata dalla legge.

La pronuncia è interessante ed offre significativi spunti di riflessione sul tema della responsabilità anche patrimoniale che assume l’organo amministrativo per le esposizioni tributarie gravanti sulla società rappresentata con particolare riferimento al valore dei beni (personali) assoggettati al vincolo ablatorio del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente ed al tema della sussistenza dell’elemento psicologico del reato nel delitto di omesso versamento Iva p. e p. dall’art. 10 ter D.lgs. 74/2000.

L’imputazione e lo svolgimento del processo.

Il PM presso il Tribunale di Roma ha contestato all’imputata il delitto di cui all’art. 10 ter del d.lgs. n.74/2000 per il mancato versamento dell’Iva riferita all’anno 2014 per l’importo di € 344.022,00 chiedendo al Gip in sede l’emissione della misura cautelare reale che la disponeva in conformità alla richiesta della Procura.

Contro il decreto di sequestro preventivo la difesa dell’imputata ha proposto richiesta di riesame che veniva rigettata dal Tribunale della Libertà.

Avverso l’ordinanza del Tribunale cautelare veniva interposto ricorso per cassazione censurandone vizio di diritto e di omessa motivazione in ordine alla dedotta insussistenza dell’elemento psicologico del reato nonché la sproporzione tra il valore dei beni immobili sequestrati all’imputata ed il danno erariale conseguente al mancato versamento dell’imposta indiretta.

La decisione della cassazione ed il principio di diritto.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso ed in ordine alla doglianza difensiva relativa alla insussistenza dell’elemento psicologico del reato ha così statuito: ”…..In ogni caso il Tribunale ha puntualmente risposto alle censure svolte facendo buon governo dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, tanto in relazione all’eccepita carenza dell’elemento soggettivo, tale da escludere a detta della ricorrente l’esigibilità dell’adempimento, quanto alla forza maggiore causata da imprevedibili mancati pagamenti da parte della P.A., sua principale committente, che le avrebbe impedito di saldare il debito tributario. In relazione al primo profilo è sufficiente rilevare che i parziali pagamenti ricevuti dalle amministrazioni committenti, comunque superiori ad oltre alla metà del fatturato dell’anno di imposta 2014, esclude che l’indagata fronte degli accantonamenti che era chiamata ad effettuare per la parte corrispondente al tributo IVA rispetto al termine fissato per il versamento, versasse in condizioni di carenza di liquidità, la quale, per assumere rilievo ai fini del reato in contestazione, occorre che sia riferita al mancato incasso delle fatture emesse, con l’addebito dell’IVA, riferite all’anno di imposta contestato. Dal momento infatti che l’elemento soggettivo relativo al reato in esame è costituito dal dolo generico, inteso quale mera consapevolezza dell’illiceità della condotta omissiva finale, senza cioè essere caratterizzato da una specifica finalità di evasione (non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato: Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 – dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 263127), è l’esistenza concreta della possibilità di adempiere il pagamento, costituita dalla riscossione dell’IVA dalla controparte dell’operazione commerciale in relazione alle prestazioni fatturate e dal suo doveroso accantonamento in vista della scadenza del debito erariale, che costituisce, come già affermato da questa Corte, indefettibile presupposto della sussistenza della volontà in capo al soggetto obbligato di non effettuare nei termini il versamento dovuto (Sez. 3, n. 40352 del 16.7.2015, Dono, non mass.; v. anche Sez. 3 n.15176 del 6.2.2014, PG c. Iaquinangelo, non mass.). Del resto i motivi della scelta effettuata dal contribuente di non onorare l’obbligazione tributaria non escludono il dolo, tranne nell’ipotesi in cui ricorra l’oggettiva impossibilità di adempiere dovuta a causa di forza maggiore che, come noto, esclude la suitas della condotta allorquando la consumazione della condotta antigiuridica sia dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando. Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495), essendosi in positivo affermato che per la configurabilità della causa di esclusione della responsabilità penale, occorre l’imprescindibile duplice condizione concernente, in punto di assolvimento degli oneri di allegazione, sia il profilo della non imputabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, anche da fronteggiarsi con il suo patrimonio personale, da valutarsi in concreto (Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013 – dep. 04/02/2014, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 – dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 263128). Sul punto le allegazioni difensive risultano, come già rilevato dal Tribunale, quanto mai generiche, tanto più che la ricorrente neppure ha dimostrato di aver fatto ricorso al credito bancario, o a forme alternative di finanziamento, né ha provveduto al reperimento della liquidità necessaria con la messa in vendita dei suoi beni personali (ad integrare la quale non è certo sufficiente l’aver offerto in vendita la villa di Anzio senza averne neppure indicato il prezzo richiesto che avrebbe potuto essere anche superiore al valore corrente di mercato così da vanificare il tentativo di dismissione),il che porta necessariamente ad escludere che le difficoltà economiche in cui si sia trovata possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante”.

Sulle censure mosse alla decisione del Tribunale per il riesame in ordine alla lamentata sproporzione tra il valore dei beni personali del legale rappresentante della società assoggettati al sequestro preventivo e quello complessivo dell’Iva non pagata, la decisione assunta dalla Suprema corte è estremamente rigorosa in punto di rito in quanto, l’inammissibilità del relativo motivo, è stata dichiarata per aspecificità della relativa doglianza connessa alla mancata produzione dei documenti già sottoposti allo scrutinio del Collegio cautelare di merito e ciò in violazione del principio di autosufficienza dell’impugnazione.

Consigli del legale.

La sentenza in commento offre l’opportunità di sottolineare come nella impostazione della linea difensiva da predisporre nel delitto di omesso versamento dell’Iva, sin dalla fase delle indagini preliminari il legale nominato dall’indagato e/o dall’imputato (a seguito del decreto di citazione a giudizio da parte del PM), avrà l’onere di dedurre le singole allegazioni che formano oggetto della prova a discarico dell’imputato fornendone prova conforme

Quindi oltre ai dati ricavabili dai bilanci e dalla contabilità dell’impresa quali elementi di prova documentale dai quali ricavare la crisi dell’impresa la difesa dovrà, altresì, nei termini di legge, articolare specifica prova testimoniale ricognitiva da un lato delle scelte aziendali che non devono risultare pregiudizievoli all’adempimento dell’obbligo tributario (versamento dell’Iva) e dall’altro porre in evidenza la diligenza del legale rappresentante dell’impresa, indagato o tratto a giudizio, nell’attivarsi per reperire risorse da destinare al pagamento dell’Iva autoliquidata, oltre che ad assicurare la continuità dell’attività di impresa.

Per la fase cautelare reale, tenuto conto della notoria assenza di poteri istruttori del Tribunale cautelare che impedisce di chiedere accertanti all’Autorità giudiziaria procedente, l’unico strumento a disposizione delle difesa per dimostrare la sproporzione tra il valore dei beni assoggettati al vincolo e l’importo del sequestro è costituito dal mezzo di prova della consulenza tecnica da affidare ad un valido professionista che dovrà riportare nell’elaborato peritale ogni elemento utile a dimostrare quanto sopra in modo tale da propiziare il provvedimento di dissequestro, quanto meno parziale.