La responsabilità penale del ginecologo tra decreto Balduzzi e legge Gelli-Bianco.
Con la recente sentenza n.5463/2018 la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di responsabilità medica, relativamente alla condotta di un ginecologo accusato di aver ritardato eccessivamente un intervento, causando il decesso di una paziente.
Il caso clinico e l’imputazione
Agli imputati tratti a giudizio è stato contestato il reato di cooperazione in omicidio colposo (589 c.p.) per aver cagionato la morte di una donna all’esito del parto.
In particolare, secondo l’impianto accusatorio, l’imputato ginecologo avrebbe procrastinato senza ragioni l’intervento di isterectomia, il cui esaurimento in tempi contenuti avrebbe eliminato la causa dell’emorragia. Nella ricostruzione della pubblica accusa il decesso si sarebbe potuto evitare applicando tempestivamente e rigorosamente i protocolli medici, cioè eseguendo le necessarie trasfusioni e l’intervento nei tempi dovuti ed evitando l’estubazione della paziente, dopo l’intervento, in assenza di dati di laboratorio rassicuranti.
Lo svolgimento del processo
Il Giudice di primo grado ha condannato gli imputati per il delitto loro ascritto ed grado di appello la Corte territoriale di Cagliari ha parzialmente riformato la sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione del reato.
Venivano confermate le statuizioni civili in favore dei congiunti della vittima.
Contro la sentenza di secondo grado veniva proposto ricorso per cassazione da parte del ginecologo per i soli effetti civili della condanna, denunciando diversi profili di violazione di legge e vizio motivazionale.
La decisione della Cassazione e il punto di diritto
La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso proposto dal ginecologo ritenendo la sentenza impugnata ampiamente motivata ed immune dai vizi denunciati.
Il Collegio di legittimità nel rigettare le doglianze afferenti la interruzione del nesso causale pur apprezzando la circostanza che nel giudizio di merito sono state individuate più cause concorrenti (e quindi più condotte dei sanitari efficiente rispetto all’infausto exitus) nella determinazione del decesso della donna, ha tuttavia precisato che “dalla complessiva motivazione della sentenza, che riporta tutti i passaggi di quella di primo grado, se l’intervento avesse avuto una durata congrua, riducendo il tempo dell’emorragia, si desume che l’evento letale, con alta probabilità scientifica, non si sarebbe determinato”, dunque nel caso di specie vi è stato “un concorso di cause equivalenti, essendo ogni fattore causale condicio sine qua non dell’evento”.
In relazione al rispetto da parte del professionista delle buone prassi sanitarie, in aderenza a quanto già ritenuto dai giudici di merito i Giudici del diritto hanno osservato che: “la condotta del ricorrente, da un lato, non può ritenersi conforme ai protocolli, stante il suo ritardo, e dall’altro, la sua colpa, in considerazione della prevedibilità del fenomeno manifestatosi, della estrema serietà e tragicità delle sue conseguenze, dell’assenza di particolari difficoltà esecutive dell’intervento, presenta gli estremi della gravità”.
Secondo quanto statuito dalla sentenza in commento l’accertamento della gravità della condotta colposa del professionista, assieme al mancato rispetto dei protocolli o buone pratiche sanitarie, sono elementi sufficienti per i Giudici di Piazza Cavour ad escludere l’applicabilità tanto dell’art. 3, comma 1, d.l. n. 158/2012 (ritenuta la disciplina più favorevole per l’imputato in Cass., Sez. IV, n. 28187/2017) quanto dell’art. 590-sexies c.p., introdotto dalla l. n. 24/2017 (la cui applicabilità quale disciplina più favorevole è stata, invece, sostenuta in Cass., Sez. IV, n. 50078/2017),non rilevando dunque, nel caso di specie, la nota questione di diritto intertemporale per la scelta del paradigma normativo più favorevole tra il decreto Balduzzi e la legge Gelli – Bianco.
La sentenza in esame, dunque, conferma la rilevanza della corretta scelta ed osservanza dei protocolli e delle buone pratiche clinico-assistenziali quale elemento centrale per la applicazione della causa di non punibilità prevista per gli esercenti professioni sanitarie dalla legge Gelli-Bianco (come anche, in precedenza, dal decreto Balduzzi). Nel caso dibattuto sino al grado di legittimità difatti, la violazione delle linee guida e/o delle buone pratiche, unita alla particolare gravità dell’omissione, ha comportato l’esclusione dell’applicabilità delle cause di non punibilità diversamente declinate nei due impianti normativi e quindi la sussunzione del fatto nella fattispecie generale di omicidio colposo per la quale ricorrevano tutti i presupposti oggettivi e soggettivi.
Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di responsabilità penale del ginecologo:
Cassazione penale, sez. IV, 18/10/2016, n. 53315.
In tema di responsabilità medica, l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo nei confronti, oltre che del ginecologo, anche delle ostetriche, ritenendo che l’errore commesso dal ginecologo nel trascurare i segnali di sofferenza fetale non esonerava le ostetriche dal dovere di segnalare il peggioramento del tracciato cardiotocografico, in quanto tale attività rientrava nelle competenze di entrambe le figure professionali operanti in equipe).
Cassazione penale, sez. IV, 30/09/2016, n. 47078.
Non sussiste nesso causale tra l’operato del ginecologo ed il decesso di paziente sopravvenuto in esito a rare ed imprevedibili complicanze sopraggiunte successivamente al momento dell’estrazione del feto premorto, allorquando, alla stregua delle risultanze della perizia medico legale d’ufficio, le sequenze cliniche evidenzino un’evoluzione anomala e repentina, tale da frapporsi tra la condotta omissiva del medico e l’evento dannoso, assumendo funzione di autonoma causa, da sola idonea a cagionare quest’ultimo ed, al contempo, debba escludersi, con elevato grado di credibilità razionale, che un evento dannoso sarebbe stato evitato (o si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità) ove la dovuta induzione del parto fosse stata tempestivamente eseguita.
Cassazione penale, sez. IV, 14/06/2016, n. 40703
In tema di responsabilità professionale medica, sussiste a carico del medico ginecologo l’obbligo di seguire con diligenza la gravidanza delle pazienti che a lui si affidano, avendo egli il dovere di assicurare attraverso i concordati controlli periodici, nonché interpretando e valorizzandole sintomatologie riferite, o comunque apprese, che la gravidanza possa giungere a compimento senza danni per la madre e per il nascituro. (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna di un ginecologo che, in presenza di una riferita infezione da varicella con gravi difficoltà respiratorie, aveva omesso di visitare la paziente e di disporre l’immediato ricovero in ospedale).
Cassazione penale, sez. V, 04/07/2014, n. 52411.
In tema di responsabilità professionale medica, allorché il sanitario si trova di fronte ad una sintomatologia idonea a formulare una diagnosi differenziale, la condotta è colposa quando non si proceda alla stessa, e ci si mantenga, invece, nell’erronea posizione diagnostica iniziale; ciò, sia nelle situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale è già in atto, sia laddove è prospettabile che vi si debba ricorrere nell’immediato futuro a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare della situazione già esistente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata per aver giudicato configurabile la responsabilità del ginecologo, che non aveva eseguito un monitoraggio intermittente sulle condizioni del feto, nonostante dai tracciati emergessero segni di sofferenza fetale ai quali era seguita, come sviluppo prevedibile, la morte del nascituro).