Reati tributari, crisi di liquidità e dolo: nuovi scenari giurisprudenziali per l’assoluzione dopo la sentenza 6737/2018.
Con la sentenza n. 6737/2018, depositata il 12 febbraio 2018, la III Sezione penale della Corte di Cassazione segna un interessante punto di svolta nella materia penale tributaria, specificamente con riguardo al delitto di omesso versamento di ritenute certificate e alle modalità con cui debba essere valutato l’elemento soggettivo del reato.
Il caso e lo svolgimento del processo.
La Corte territoriale di Brescia decidendo sull’appello proposto contro la sentenza resa dal Gip del Tribunale d Bergamo che aveva condannato l’imputata alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis – tratta a giudizio per avere omesso, quale legale rappresentante di una società per azioni, di versare le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti entro il termine per presentare la dichiarazione annuale di sostituto d’imposta per il periodo di imposta 2009, per un totale di Euro 873.371,95 -, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena inflitta in primo grado ad un anno di reclusione confermandola in punto di responsabilità.
Ha presentato ricorso per cassazione il difensore, sulla base di due motivi, il primo denunciante violazione di legge e vizio motivazionale e il secondo violazione di legge.
La decisione della Cassazione e il punto di diritto
La III Sezione giudica il ricorso parzialmente fondato e annulla la sentenza impugnata con rinvio.
Il motivo di ricorso che viene accolto dai giudici denuncia, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, artt. 45 e 54 c.p.
Nella sostanza veniva denunciato l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte di Appello per omessa disamina dell’elemento soggettivo necessario ad integrare la fattispecie dell’art. 10 bis, sia sotto il profilo dell’impossibilità da parte dell’imputata di accantonare mensilmente gli importi delle ritenute dovute per il periodo di imposta 2009, essendo ella divenuta amministratrice nel 2010, sia perché, in sostanza, non poteva non incidere la crisi di liquidità in cui ella, divenuta amministratrice, aveva trovato la società.
La Suprema Corte censura la erronea ricostruzione degli elementi della fattispecie di reato da parte del giudice d’appello. “La corte territoriale, comunque, dopo una semplice menzione dell’insegnamento di questa Suprema Corte, opera una ricostruzione della fattispecie penale non giuridicamente completa. Sorvolando la questione della sussistenza o meno, in concreto, di una crisi economica non imputabile e non affrontabile con misure idonee (sul punto, infatti, la corte esterna soltanto un rapido rilievo, senza indicare da che cosa risultasse che la (omissis) avesse mancato di provvedere quanto alla crisi della società, che peraltro dalla stessa motivazione dalla sentenza impugnata risulta essere stata avviata al concordato preventivo e nonostante questo non aver potuto sfuggire al fallimento) per argomentare, in realtà, soltanto tramite l’asserto (come si è appena visto, non del tutto congruo) che il denaro per versare le ritenute era disponibile in quanto la (omissis) aveva ammesso di avere scelto di utilizzarlo per pagare i dipendenti della società. Da ciò, appunto, la corte territoriale desume che la (omissis) poteva (materialmente) adempiere al debito d’imposta, senza peraltro esaminare se una siffatta “scelta”, a suo avviso in sostanza confessata dalla (omissis), fosse realmente compatibile con il dolo della fattispecie criminosa”.
In punto di diritto, partendo dall’analisi dei precedenti giurisprudenziali, la Corte afferma che in sede di legittimità è stato già riconosciuto che “l’omesso versamento in una situazione di crisi simile può non integrare il reato, o sotto un profilo dell’elemento soggettivo o sotto il profilo della esimente rappresentata dalla forza maggiore: il problema, insorto da una globale situazione economica, era stato d’altronde ben percepito dalla dottrina, anche sulla scorta, ovviamente, delle prime pronunce della giurisprudenza di merito al riguardo”.
La corte territoriale, tuttavia, non ha affrontato le doglianze sollevate in ricorso attraverso una “scorciatoia logica”, traendo l’esistenza dell’elemento soggettivo del dolo dal fatto che l’imputata avesse pagato i propri dipendenti.
E, in tal senso, la Corte conclude: “La piena consapevolezza della illiceità della condotta che si pone in essere non può, in effetti, mancare nel dolo in un reato come quello in esame, fattispecie propria di chi assume ex lege la funzione di sostituto d’imposta, funzione di assoluto rilievo nel sistema fiscale: e non a caso la sentenza Schirosi rafforza tale constatazione, a ben guardare, laddove poi osserva che “la scelta di non pagare prova il dolo”: il che significa che il dolo non viene integrato dall’omesso pagamento di per sè, ma da una scelta consapevole, appunto, della illiceità della condotta rappresentata dall’omesso pagamento.
La corte territoriale, invece, non ha considerato tale profilo, attestandosi su una “porzione” al negativo dell’elemento oggettivo del reato – la carenza di forza maggiore impeditiva della condotta – ovvero sulla prova, che ha reputato raggiunta nelle modalità sopra evidenziate, che sussisteva la liquidità per effettuare il versamento.
Avrebbe, invece, dovuto accertare in modo completo la fattispecie criminosa, ovvero anche in relazione all’elemento soggettivo, non potendo a priori escludere che la convinzione che i dipendenti necessitassero l’immediata corresponsione (non di somme di denaro di per sè, bensì) di “mezzi di sostentamento necessari” per loro e per le loro famiglie, se realmente fosse stata propria della imputata e se realmente l’avesse indotta a pagarli a costo di omettere il versamento delle ritenute, fosse stata nel caso concreto compatibile con il dolo del reato in questione, ovvero con una contestuale consapevolezza di illiceità”.
I consigli del legale
Dalla ricorrente casistica registrata in sede di legittimità e di merito, nonché dall’esperienza dello scrivente maturata in diversi processi nei quali risultavano contestati (alternativamente o contestualmente) gli artt. 10 bis e 10 ter del D. Lgs. 10 marzo 2000, emerge come comune denominatore la notevole difficoltà della difesa di provare la insussistenza dell’elemento psicologico del reato, ovvero la presenza di una causa di forza maggiore che abbia impedito al contribuente di porre il essere il comportamento giuridicamente richiesto, escludendo la possibilità di invocare la scriminante dello stato di necessità ex art. 54 c.p., ancorato alla semplice difficoltà economica dell’impresa.
Nello specifico, dalla disamina della tradizionale giurisprudenza si ricava che l’esimente di cui sopra non è stata ritenuta provata dall’impiego di risorse per scongiurare la perdita del posto di lavoro del personale impiegato dall’impresa, né dalla necessità di adempiere alle obbligazioni verso terzi per evitare la sentenza dichiarativa di fallimento in quanto, tali circostanze, non risultano idonee a giustificare un comportamento illecito ma imposto «al fine di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona» (Cass. Pen. Sez. III, n. 1725 del 2015; Cass. Pen., Sez. III, n. 7429 del 2015) rappresentando, di converso, indice rilevatore di una precisa scelta imprenditoriale che ha pretermesso gli interessi dell’Erario a vantaggio della continuità dell’impresa.
Tuttavia, l’arresto giurisprudenziale in commento ha introdotto una importante apertura alla possibilità di un superamento delle sopra menzionate interpretazioni restrittive della fattispecie de quo. Invero, il Supremo collegio, ha censurato la condanna del legale rappresentante di una S.r.l. per il reato di omesso versamento delle ritenute certificate senza, però, aver analizzato in concreto la questione della sussistenza o meno di una crisi economica non imputabile e non affrontabile con misure idonee argomentando, inoltre, tramite l’asserto che il denaro per il versamento delle ritenute sarebbe stato disponibile in quanto l’imputato avrebbe scelto di pagare i propri dipendenti.
La pronuncia in questione riporta alla luce quei principi necessari in materia penale che da tempo sembravano essere stati messi da parte dalla giurisprudenza in materia penale-tributaria.
Si legge infatti nella motivazione che la piena consapevolezza della illiceità della condotta non può mancare nel dolo (generico) in un reato come quello in esame (di natura omissiva); e per l’appunto la Corte richiama quanto stabilito nella sentenza Schirosi (Cass. Pen., Sez. III, n. 8352 del 2015) laddove si osserva che il dolo non viene integrato dall’omesso pagamento di per sé, ma da una scelta consapevole, appunto, della illiceità della condotta rappresentata dall’omesso pagamento.
Pertanto, alla luce anche della pronuncia in commento, che sembra aprire ad una meno restrittiva valutazione dei principi di diritto fissati in tema di valutazione dell’elemento psicologico del reato per il reato di omesso versamento delle ritenute, l’ambito di applicazione della interpretazione offerta in tema di dolo potrebbe trovare applicazione anche alla fattispecie disciplinata dall’art. 10 ter di omesso versamento IVA per la sostanziale omogeneità della condotta omissiva e di valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie
Per completezza di informazione sulle strategie difensive da adottare a tutela del contribuente assistito nell’ipotesi in cui oltre all’indagine penale relativa al reato tributario di natura omissiva sia intervenuta la notifica da parte dell’Agenzia delle Entrate di un avviso di accertamento e il contribuente-indagato nella qualità di legale rappresentante della persona giuridica fiscalmente obbligata abbia aderito al piano di rateizzo concordato con l’Amministrazione, è certamente da valorizzare processualmente la disciplina della causa di non punibilità prevista dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000.
Gestire i tempi del processo penale con il pagamento del piano di rateizzo concordato con l’A.D.E. non è sempre agevole, tenuto conto che generalmente per la rateizzazione l’imprenditore preferisce da un punto di vista finanziario optare per il maggior numero di rate che mal si concilia con l’ordinanza di apertura del dibattimento che interviene alla prima udienza dopo la regolare costituzione delle parti.
A tal proposito lo scrivente segnala che la Suprema Corte ha statuito il seguente principio di diritto che consente di coniugare i tempi del “doppio binario” per processi già incardinati prima dell’entrata in vigore della causa di non punibilità: “In tema di reati tributari, la causa sopravvenuta di non punibilità contemplata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, come sostituito dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 11 per la quale i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento, e quindi deve concedersi il termine di tre mesi nelle ipotesi di rateizzazione in corso del debito tributario, per il pagamento del debito residuo; termine obbligatorio e non facoltativo come il secondo termine di tre mesi”.
Operativamente, quindi, secondo l’interpretazione dei Giudici di legittimità, la nuova disciplina normativa che ha novellato il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 risulta applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto (22 ottobre 2015) anche se superata la fase dell’apertura del dibattimento, sempre che non sia intervenuta sentenza di condanna definitiva.
In tale situazione processuale il Giudice che procede (Tribunale monocratico o Corte di Appello) in caso di comprovata rateizzazione, di fronte all’istanza di rinvio dalla difesa tendente a produrre in giudizio la prova dell’estinzione del debito tributario, avrà l’onere di allegare il fatto avente ad oggetto l’adesione al piano di rateizzo ed il pagamento delle rate già scadute, ed il Giudice sarà tenuto a concedere un termine di tre mesi per consentire l’estinzione del debito, con facoltà di prorogare tale termine solo una volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di reati derivanti da omesso versamento dei tributi:
Cassazione penale sez. un. 18 gennaio 2018 n. 10424
In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l’importo complessivo superiore ad Euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi (periodo 16 gennaio-16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell’anno precedente e nel novembre dell’anno in corso).
Cassazione penale sez. IV 17 ottobre 2017 n. 52542.
In tema di omesso versamento IVA, non è configurabile il reato di cui all’art. 10-ter D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per il mancato versamento del debito IVA sorto prima dell’apertura della procedura di concordato preventivo, nel caso in cui, in data antecedente alla scadenza del debito, sia intervenuto un provvedimento del tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori, essendo configurabile la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all’art. 51 cod. pen., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario.
Cassazione penale sez. III 29 marzo 2017 n. 46459
Risponde del reato di omesso versamento delle ritenute certificate, previsto dall’articolo 10-bis, d.lgs n. 74 del 2000, anche l’amministratore subentrato nella legale rappresentanza dell’impresa, che versi in situazione di difficoltà finanziaria, salvo che dimostri di essere incorso, al momento della consumazione del reato, in errore sul fatto (art.47) ovvero che la sua omissione è dovuta a caso fortuito o forza maggiore. (In applicazione del principio la S.C. ha ritenuto che la consapevolezza dell’ amministratore “pro tempore” dell’avvenuta distrazione, da parte del suo predecessore, della liquidità necessaria al pagamento del debito tributario, non fosse elemento idoneo ad escludere il dolo della condotta omissiva ma, anzi, rendesse la sua condotta omissiva ancor più consapevole).
Cassazione penale sez. III 01 febbraio 2017 n. 15237
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. n.74 del 2000).
Cassazione penale sez. III 19 gennaio 2017 n. 29544
Il d.lg. 24 settembre 2015, n. 158, entrato in vigore in data 22 ottobre 2015, ha modificato gli artt. 10 bis e 10 ter d.lg. n. 74 del 2000, nel senso di attribuire rilevanza penale, elevando il precedente limite, unicamente alle condotte di omesso versamento dell’imposta per un ammontare superiore, rispettivamente, a euro 150.000 per gli omessi versamenti di ritenute e ad euro 250.000 per gli omessi versamenti Iva, per ciascun periodo di imposta; tale modifica, in quanto comportante una disposizione più favorevole rispetto alla precedente, si applica ex art. 2, comma 4, c.p. anche ai fatti posti in essere antecedentemente. Al fine di escludere la volontarietà della condotta di omesso versamento di ritenute, occorre l’allegazione e la prova della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto. La richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 13 d.lgs. 74/2000, richiede accertamenti in fatto che sono preclusi in sede di legittimità e che debbono, dunque, essere demandati ai giudici del merito.
Cassazione penale sez. III 19 gennaio 2017 n. 24309
In tema di reati tributari, la speciale attenuante prevista dall’art. 13 d.lg. n. 74 del 2000 in favore di chi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, abbia provveduto al pagamento di quanto dovuto all’Erario, “anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”, non può trovare applicazione quando risulti che sia stato soltanto provveduto alla semplice rateizzazione del debito d’imposta.
Cassazione penale sez. III 24 giugno 2014 n. 8352
In tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. (Fattispecie, nella quale la Corte ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità).