Esercizio abusivo della professione per l’odontoiatra abilitato all’estero ma non iscritto all’Ordine italiano.

La Corte di Cassazione con la sentenza n.13307/2018 depositata il 22.03.208 è tornata a pronunciarsi sul reato previsto dall’art. 348 c.p. in relazione all’odontoiatra accusato di esercitare la professione in assenza di abilitazione statale.

Il fatto e l’imputazione penale

La polizia giudiziaria, procedendo ad un controllo fiscale e di contrasto al lavoro nero presso uno studio dentistico, verificava l’assenza di iscrizione del titolare dello studio stesso all’Ordine dei Medici e Chirurghi e Odontoiatri italiano e, pertanto, gli operanti provvedevano a sottoporre a sequestro preventivo sia lo studio, sia l’attrezzatura rinvenuta all’interno.

 

Lo svolgimento del processo

Il Tribunale cautelare di Vicenza rigettava la richiesta di riesame presentata nell’interesse dell’indagato per il reato di abusivo esercizio di una professione contro la quale veniva proposto ricorso per Cassazione deducendo in via preliminare l’insussistenza del fumus commissi delicti (riconducibilità della fattispecie concreta alla ipotesi di reato) e, in secondo luogo, il fatto che l’indagato avesse ottenuto l’abilitazione all’esercizio della professione odontoiatrica in Portogallo denunziando la violazione delle direttive comunitarie n. 786/78 e n. 787/86 sul principio di non discriminazione fra cittadini dell’Unione potendo il soggetto abilitato all’estero esercitare liberamente anche in Italia e dell’art. 10 d.lgs. n. 206/2007, norma che consente il compimento di interventi anche in assenza di iscrizione all’albo, quantomeno nei casi di urgenza.

 

La decisione della Cassazione e il punto di diritto

La Corte ha rigettato il ricorso giudicandolo infondato.

Con riferimento alla doglianza relativa all’insussistenza del fumus commissi delicti, la Corte ritiene corretta la valutazione operata dal giudice del riesame in quanto: “l’atteggiamento, al momento del controllo, dell’indagato e delle tre assistenti, tutti vestiti con camice verde all’interno di uno studio perfettamente attrezzato, l’assenza di medici odontoiatri all’interno della struttura, la presenza di documentazione fiscale attestante una collaborazione di medici odontoiatri alle attività eseguite nella struttura estremamente modesta rispetto alle dimensioni della stessa, la qualità del ricorrente di socio accomandatario della società titolare dello studio, sono tutte circostanze che, allo stato, sulla base di criteri logico-giuridici di valutazione non manifestamente illogici, possono correttamente essere ritenute quali indizi da cui desumere l’esercizio di una professione, quella odontoiatrica, per il cui svolgimento è necessaria l’abilitazione statale”.

Per quanto concerne la censura formulata con il secondo motivo che costituisce l’affermazione di un principio di diritto di interesse per gli operatori del diritto e per gli odontoiatri abilitati all’estero che vogliono esercitare la professione di odontoiatra in Italia, la Corte ha statuito quanto segue: “Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, in tema di abusivo esercizio di una professione, lo svolgimento dell’attività di odontoiatra da parte dei cittadini dell’Unione europea in possesso del diploma rilasciato da uno Stato dell’Unione non configura gli estremi del reato previsto dall’art. 348 cod. pen. solo se l’interessato abbia presentato domanda al Ministero della Sanità e questo, dopo aver accertato la regolarità dell’istanza e della relativa documentazione, abbia trasmesso la stessa all’ordine professionale competente per l’iscrizione (così Sez. 6, n. 47532 del 13/11/2013, La Barbera, Rv. 257455; nello stesso senso, in precedenza, Sez. 1, n. 16230 del 05/03/2001, Malli, Rv. 218607, e Sez. 6, n. 5672 del 22/04/1997, Rosa Brusin, Rv. 209314).

Per quanto riguarda infine la possibilità evocata dalla difesa degli indagati ancorata alla previsione dell’art. 10 d.lgs. n. 206 del 2007, i Giudici della legittimità precisano il perimetro di applicazione della norma nel senso di ritenere possibile da parte del prestatore di opera sanitaria proveniente da altro Stato membro l’esercizio di attività professionale senza autorizzazione preventiva esclusivamente in casi di urgenza e/o prestazioni temporanee o occasionali, che, in quanto tali, quanto meno nella fase cautelare reale e sulla base del disposto sequestro, non apparivano compatibili con le capacità operative delle strutture sequestrate, tenuto conto anche dell’assenza della dichiarazione scritta prevista dall’art. 10 e della circostanza, ritenuta non indifferente, della risalente autorizzazione conseguita in Portogallo, mai scrutinata in Italia per la verifica dei requisiti minimi di preparazione che deve assicurare il professionista sanitario che vuole operare sul territorio italiano.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di abusivo esercizio di professione medica:

 

Cassazione penale sez. VI  13 novembre 2013 n. 47532  

In tema di abusivo esercizio di una professione, lo svolgimento dell’attività di odontoiatra da parte dei cittadini dell’Unione europea in possesso del diploma rilasciato da uno Stato dell’Unione non configura gli estremi del reato previsto dall’art. 348 c.p. solo se l’interessato abbia presentato domanda al Ministero della sanità e questo, dopo aver accertato la regolarità dell’istanza e della relativa documentazione, abbia trasmesso la stessa all’ordine professionale competente per l’iscrizione. (Fattispecie in cui è stata confermata la condanna di un soggetto che aveva esercitato la professione di odontoiatra mentre era in corso la procedura di riconoscimento dei titoli rilasciati da altro paese membro dell’Unione europea).

Cassazione penale sez. VI  07 ottobre 2016 n. 48948  

Non può evocare l’esimente dell’avere agito in stato di necessità, ex art. 56 c.p., e risponde di concorso in esercizio abusivo della professione medica, ai sensi dell’art. 348 c.p., il direttore sanitario di un ambulatorio odontoiatrico che abbia consentito ad un soggetto non abilitato di eseguire un intervento su di un paziente in assenza di riscontri circa l’estrema urgenza e indifferibilità dell’intervento medesimo, essendosi, di contro, accertato che, nell’assenza del titolare, oltre al paziente in discussione, altri pazienti si trovano simultaneamente in attesa nello studio dentistico, uno dei quali era lì giunto per via di un appuntamento concordato direttamente con l’imputato.

 

Cassazione penale sez. III  24 maggio 2016 n. 5235  

Bene è ritenuta la configurabilità del reato di cui all’art. 348 c.p. (abusivo esercizio di una professione) nella condotta costituita dalla somministrazione ad un cavallo, senza prescrizione del medico veterinario, da parte di soggetto privo di abilitazione professionale, di un farmaco antidolorifico, nulla rilevando in contrario che trattisi di farmaco c.d. “da banco”, acquistabile in farmacia senza necessità di ricetta medica.

 

Cassazione penale sez. VI  15 marzo 2016 n. 13213  

Risponde del reato di esercizio abusivo della professione, previsto dall’art. 348 c.p., colui che, senza aver conseguito la laurea in medicina e la relativa abilitazione professionale, eserciti l’attività di massaggiatore a scopo curativo, posto che la professione sanitaria di massaggiatore abilita solo a compiere trattamenti finalizzati a migliorare il benessere personale su un soggetto sano e integro e non il compimento di attività che presuppongono competenze mediche, terapeutiche o fisioterapiche.

 

Cassazione penale sez. VI  26 gennaio 2016 n. 8885  

Ciò che rileva ai fini dell’accertamento del reato di esercizio abusivo della professione medica non è il metodo scientifico adoperato, ma la natura dell’attività svolta. Posto, pertanto, che deve riconoscersi la possibilità del libero svolgimento di attività rientranti nel novero della medicina alternativa, risponde del reato de quo il naturopata che svolga gli atti tipici riservati alla professione medica, quali la diagnosi, la profilassi e la cura di malattie (nello specifico la Corte ha precisato che, ai fini della configurabilità del reato, laddove siano svolte tali attività, sono irrilevanti sia la circostanza che il soggetto agente non si presenti come medico, ma come esercente un’attività alternativa a quella della medicina tradizionale, sia lo svolgimento di tali attività con tecniche o metodi non tradizionali, come quelli omeopatici o naturopati).

 

Cassazione penale sez. VI  12 novembre 2015 n. 50012  

In tema di esercizio abusivo della professione medica, non integra il reato di cui all’art.348 cod.pen. la condotta del medico che esegua interventi di mastoplastica additiva pur non avendo conseguito la specializzazione in chirurgia plastica o generale, in quanto l’iscrizione all’albo dei medici abilita di per sé allo svolgimento dell’attività chirurgica, non essendo richiesto anche il possesso del diploma di specializzazione nei diversi settori della chirurgia, requisito necessario per il solo svolgimento dell’attività chirurgica nell’ambito del servizio sanitario nazionale. (In motivazione, la Corte ha precisato che la previsione contenuta all’art.2 del D.M. 3 settembre 1993, in base alla quale l’utilizzo di protesi al silicone era consentita esclusivamente agli specialisti in chirurgia plastica, aveva la funzione di limitare l’utilizzo di tali protesi e non di circoscrivere l’ambito di esercizio della professione medica).

 

Cassazione penale sez. V  10 febbraio 2015 n. 19554  

Integra i reati di esercizio abusivo della professione medica e lesioni dolose di cui agli art. 348 e 582 c.p. la condotta del soggetto privo di abilitazione professionale che abbia visitato e medicato un paziente affetto da vescica al piede, omettendo di prescrivergli la necessaria terapia antibiotica e i dovuti accertamenti diagnostici, cagionando un processo canceroso che esitava nell’amputazione della gamba, a nulla rilevando il consenso informato del paziente circa l’assenza del titolo abilitativo (in particolare, la Suprema Corte ha ravvisato il dolo eventuale presupposto all’integrazione delle fattispecie nell’accettazione della possibilità di uno sviluppo infettivo quale quello effettivamente verificatosi che avrebbe richiesto interventi che l’imputato sapeva essere al di sopra delle proprie possibilità, a prescindere dal successo di interventi realizzati in precedenza nei confronti di altri pazienti).

 

Cassazione penale sez. VI  24 aprile 2013 n. 21220  

Il direttore di uno studio medico che non accerti che un soggetto operante nella struttura da lui diretta sia in possesso del titolo abilitante risponde non solo di concorso nel reato previsto dall’art. 348 c.p. con la persona non titolata, ma anche di cooperazione, ex art. 113 c.p., negli eventuali fatti colposi da quest’ultima persona commessi, se derivanti dalla mancanza di professionalità del collaboratore e prevedibili secondo l’id quod plerumque accidit. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto il direttore di uno studio medico responsabile dei delitti di cui agli artt. 348 e 590 c.p. per avere un odontotecnico privo di abilitazione effettuato, nella struttura sanitaria da lui diretta, un’applicazione di un impianto endoosseo, da cui erano derivate, per colpa, al paziente lesioni personali).