Profili operativi e strategie difensive per la difesa nel reato di omesso versamento delle ritenute dovute o certificate ex art 10-bis d.lgs. n. 74/2000.
Il reato di Omesso versamento di ritenute dovute o certificate è disciplinato all’art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000 (c.d. legge sui reati tributari) il quale sanziona la condotta del sostituto d’imposta che omette di versare all’Erario le ritenute dovute in base alla dichiarazione o risultanti da certificazione nei termini fissati per la presentazione della dichiarazione annuale.
- La norma dell’art. 10-bis d.lgs. n.74/2000
E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.
Elemento oggettivo: Soggetto attivo del reato, a dispetto della lettera della disposizione che utilizza il pronome “chiunque”, è esclusivamente il sostituto d’imposta (individuato dalle norme del Titolo III del D.P.R. n. 600/1973), pertanto il reato si qualifica come reato proprio.
A differenza dei c.d. reati dichiarativi previsti dal decreto (es. art. 2), connotati da un elemento di fraudolenza che qualifica la condotta antigiuridica, il reato de quo viene comunemente definito come reato omissivo proprio, ma che, tuttavia, prevede necessariamente all’interno della fattispecie anche una componente commissiva costituita dalla condotta del versamento a terzi da parte del sostituto di un corrispettivo alla quale segue il rilascio della relativa certificazione e l’inserimento delle ritenute effettuate nella dichiarazione annuale di sostituto d’imposta (certificazione unica).
Successivamente a queste condotte deve verificarsi poi il mancato versamento entro il termine di legge delle ritenute dovute e/o certificate, sempre che eccedano i 150.000 Euro per periodo d’imposta, da cui il determinarsi della consumazione del reato e il computo del termine di prescrizione.
Elemento soggettivo: Il delitto necessita della componente del dolo generico, non essendo richiesta la finalità specifica di evadere le imposte o consentire l’evasione a terzi. La giurisprudenza è conforme nella valutazione della sussistenza del dolo se verificatesi le condotte sopra menzionate, non rilevando il fine specifico che ha mosso il soggetto attivo.
Dalla ricorrente casistica registrata in sede di legittimità e di merito, nonché dall’esperienza dello scrivente maturata in diversi processi nei quali risultavano contestati (alternativamente o contestualmente) gli artt. 10 bis e 10 ter del D. Lgs. 10 marzo 2000, emerge come comune denominatore la notevole difficoltà della difesa di provare la insussistenza dell’elemento psicologico del reato, ovvero la presenza di una causa di forza maggiore che abbia impedito al contribuente di porre il essere il comportamento giuridicamente richiesto, escludendo la possibilità di invocare la scriminante dello stato di necessità ex art. 54 c.p., ancorato alla semplice difficoltà economica dell’impresa.
Nello specifico, dalla disamina della tradizionale giurisprudenza si ricava che l’esimente di cui sopra non è stata ritenuta provata dall’impiego di risorse per scongiurare la perdita del posto di lavoro del personale impiegato dall’impresa, né dalla necessità di adempiere alle obbligazioni verso terzi per evitare la sentenza dichiarativa di fallimento in quanto, tali circostanze, non risultano idonee a giustificare un comportamento illecito ma imposto «al fine di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona» (Cass. Pen. Sez. III, n. 1725 del 2015; Cass. Pen., Sez. III, n. 7429 del 2015) rappresentando, di converso, indice rilevatore di una precisa scelta imprenditoriale che ha pretermesso gli interessi dell’Erario a vantaggio della continuità dell’impresa.
Tuttavia, a seguito della recente pronuncia della III Sezione penale, n. 6737/2018, si è registrata una importante apertura alla possibilità di un superamento delle sopra menzionate interpretazioni restrittive della fattispecie de quo. Invero, il Supremo collegio, ha censurato la condanna del legale rappresentante di una S.r.l. per il reato di omesso versamento delle ritenute certificate senza, però, aver analizzato in concreto la questione della sussistenza o meno di una crisi economica non imputabile e non affrontabile con misure idonee argomentando, inoltre, tramite l’asserto che il denaro per il versamento delle ritenute sarebbe stato disponibile in quanto l’imputato avrebbe scelto di pagare i propri dipendenti.
La pronuncia in questione riporta alla luce quei principi necessari in materia penale che da tempo sembravano essere stati messi da parte dalla giurisprudenza in materia penale-tributaria.
Si legge infatti nella motivazione che la piena consapevolezza della illiceità della condotta non può mancare nel dolo (generico) in un reato come quello in esame (di natura omissiva); e per l’appunto la Corte richiama quanto stabilito nella sentenza Schirosi (Cass. Pen., Sez. III, n. 8352 del 2015) laddove si osserva che il dolo non viene integrato dall’omesso pagamento di per sé, ma da una scelta consapevole, appunto, della illiceità della condotta rappresentata dall’omesso pagamento.
Pertanto, alla luce anche della pronuncia in commento, che sembra aprire ad una meno restrittiva valutazione dei principi di diritto fissati in tema di valutazione dell’elemento psicologico del reato per il reato di omesso versamento delle ritenute, l’ambito di applicazione della interpretazione offerta in tema di dolo potrebbe trovare applicazione anche alla fattispecie disciplinata dall’art. 10 ter di omesso versamento IVA per la sostanziale omogeneità della condotta omissiva e di valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie
- La prescrizione
In quanto reato istantaneo, l’omesso versamento delle ritenute si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione di sostituto d’imposta, ossia il 31 luglio dell’anno successivo a quello di riferimento, senza che siano state versate le ritenute certificate (Cass., Sez. III, n. 25875/2010).
Al reato va applicata la disciplina ordinaria della prescrizione, fissata dall’art. 157 c.p. in sei anni (che diventano sette e mezzo per effetto di un evento interruttivo), tenuto conto delle nuove ipotesi di sospensione introdotte dalla c.d. riforma Orlando del 2017.
- La causa di non punibilità prevista all’art. 13 d.lgs. n. 74/2000
Il D. Lgs. 158/2015 ha apportato una significativa modifica all’art. 13 del D. Lgs. 74/2000, a norma del quale, i delitti previsti dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, «non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso».
La norma in esame prevede dunque una vera e propria «preclusione procedimentale» per la concreta applicazione della nuova causa di non punibilità, essendo attualmente devoluta al pagamento integrale del debito tributario, non più una semplice funzione attenuante, così come previsto dalla precedente formulazione dell’art. 13, ma una vera e propria funzione estintiva del reato, purché il pagamento venga effettuato prima dell’apertura del dibattimento.
Da segnalare, in merito, la sentenza n. 40314 del 2016, il cui principio di diritto è stato successivamente riconfermato in diverse pronunce (Sez. III n. 15237/2017; Sez. III n. 30139/2017), con la quale la Corte di Cassazione, proprio in considerazione della nuova natura assegnata dal legislatore al pagamento del debito tributario, ha ritenuto la nuova disposizione applicabile anche ai procedimenti in corso al 22 Ottobre 2015, data di entrata in vigore del D. Lgs. 158/2015, anche se già aperto il dibattimento in primo grado.
Operativamente, quindi, secondo l’interpretazione dei Giudici di legittimità, la nuova disciplina normativa che ha novellato il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 risulta applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto (22 ottobre 2015) anche se superata la fase dell’apertura del dibattimento , sempre che non sia intervenuta sentenza di condanna definitiva. In tale situazione processuale il Giudice che procede (Tribunale monocratico o Corte di Appello) in caso di comprovata rateizzazione, di fronte all’istanza di rinvio dalla difesa che avrà l’onere di allegare il fatto avente ad oggetto l’adesione al piano di rateizzo ed il pagamento delle rate già scadute depositando prova conforme, sarà tenuto a concedere un termine di tre mesi per consentire l’estinzione del debito, con facoltà di prorogare tale termine solo una volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario.
- Misure cautelari e confisca
Ferma restando la possibilità da parte del PM di richiedere per questa fattispecie le misure cautelari personali, sempre che ne ricorrano i presupposti dei gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari (come riformate dalla l. n. 47/2015), una notevole rilevanza, nella materia trattata, assumono le misure cautelari di natura reale. Nell’ambito dei reati tributari, infatti, le Procure sono solite richiedere, ed ottenere dal GIP l’emissione di provvedimenti ablatori finalizzati all’apposizione di un vincolo di indisponibilità sui beni del soggetto indagato per l’omesso versamento, nella forma del sequestro preventivo finalizzato alla confisca (art. 321 c.p.p.).
In caso di condanna, il giudice disporrà la confisca dei beni che sono prezzo o profitto del reato (c.d. confisca diretta) e, nelle ipotesi di impossibilità di insistere direttamente su tali beni, di quelli di valore equivalente nella disponibilità del reo.
Occorre sottolineare che nella materia cautelare reale non trovano applicazione i principi di natura civilistica sulla separazione tra il patrimonio della persona fisica e della persona giuridica, nel caso il reato tributario coinvolga gli organi di un ente dotato di autonomia patrimoniale perfetta. Difatti, la giurisprudenza di legittimità già da tempo ha stabilito la possibilità di aggredire attraverso lo strumento del sequestro per equivalente i beni dell’imputato persona fisica (amministratore di diritto o di fatto, o anche membro del CDA o di altri organi societari) “sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta” (Cass., Sez. III, n. 42966/2015).
Qualora il prezzo o il profitto del reato sia costituito da denaro, il sequestro di tali somme viene qualificato come diretto in virtù della natura fungibile del bene (cfr. Cass., Sez. III, n. 5780/2018) e le SS.UU. hanno già sancito l’applicabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca su denaro o altri beni fungibili direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica a vantaggio della società, se nella disponibilità della persona giuridica medesima (SS.UU., n. 10561/2014, Gubert). Nel caso, però, in cui il sequestro diretto non sia possibile nei confronti dell’ente per impossibilità di reperire i beni confiscabili, non sarà possibile procedere con il sequestro per equivalente nei confronti della società stessa, a meno che essa non costituisca un mero apparato fittizio (Sez. III, n.1256/2012; SS.UU., n. 10561/2014; Sez. III, n. 5780/2018), in quanto i reati tributari non rientrano, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, nella lista di quelli che consentono il sequestro per equivalente nei confronti di una persona giuridica.
Riassumendo, il sequestro preventivo:
- è consentito, nei confronti della persona giuridica, se finalizzato alla confisca di denaro o altri beni fungibili o di beni costituenti profitto del reato tributario (confisca c.d. diretta) se il delitto è commesso dagli organi della persona giuridica stessa e se i beni siano nella disponibilità patrimoniale della medesima persona giuridica;
- non è consentito se finalizzato alla confisca per equivalente, nei confronti della persona giuridica, nel caso non sia stato reperito il profitto del reato tributario commesso dagli organi della stessa persona giuridica (non ricompreso nelle ipotesi previste dal d.lgs. n. 231/2001); è consentito, invece, nell’ipotesi in cui l’ente giuridico sia un mero schermo fittizio per attività illecite di persone fisiche;
- è consentito nei confronti delle persone fisiche che hanno commesso il reato tributario a vantaggio dell’ente collettivo, se nella loro disponibilità rientrano quei beni costituenti profitto del reato o denaro ed altri beni fungibili; è consentito altresì anche nella forma per equivalente, nei confronti della persona fisica, nel caso non vi sia possibilità di confiscare beni nei confronti della persona giuridica.
Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di omesso versamento di ritenute dovute o certificate:
Cassazione penale sez. III 12 luglio 2017 n. 3647
In tema di reati tributari, il delitto di omesso versamento di ritenute dovute o certificate di cui all’ art. 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 differisce da quello previsto dall’art. 10-ter del medesimo d.lgs. per l’oggetto, che solo nel primo caso è costituito da somme già nella disponibilità del debitore; ne consegue che, in caso di carenza di liquidità di impresa, se l’omesso versamento dell’iva può astrattamente derivare dall’inadempimento altrui, l’impossibilità di adempiere all’obbligazione di versamento delle ritenute non può essere giustificata, ai sensi dell’ art. 45 cod. pen. , dalla insolvenza dei debitori, essendo di pertinenza del sostituto d’imposta la decisione di distrarre a scopi diversi le somme di denaro dovute all’erario.
Cassazione penale sez. III 11 maggio 2017 n. 34362
La modifica dell’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 ad opera dell’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 158 del 2015, che ha escluso la rilevanza penale dell’omesso versamento di ritenute dovute o certificate sino all’ammontare di E. 150.000,00, ha determinato una “abolitio criminis” parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente.
Cassazione penale sez. III 16 dicembre 2016 n. 23784
In tema di reati tributari, la competenza per territorio per il delitto di omesso versamento delle certificate ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti (art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000) appartiene al giudice del luogo dove si compie, alla scadenza del termine previsto, l’omissione di cui al precetto normativo, luogo che di regola corrisponde, per le società, a quello in cui si trova la sede effettiva dell’impresa, intesa come centro della prevalente attività amministrativa e direttiva di organizzazione, coincidente o meno con la sede legale. (In motivazione, la S.C. – annullando la decisione di merito che, ritenendo erroneamente di dover applicare la regola fissata dall’art. 1182 cod. civ., aveva affermato la competenza del giudice del territorio ove era sita la Direzione provinciale della Agenzia delle Entrate destinataria del pagamento omesso – ha osservato che le fattispecie di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, in quanto non comprese nei reati di cui al capo I del titolo II del D.Lgs. n. 74 del 2000, non partecipano della speciale disciplina della competenza a questi ultimi riservata dal secondo comma dell’art. 18 dello stesso decreto).
Cassazione penale sez. III 26 ottobre 2016 n. 6591
In tema di reati tributari, va esclusa la configurabilità del delitto di omesso versamento delle ritenute d’imposta dovute e certificate, in presenza di una transazione fiscale concordata ai sensi dell’art. 182-ter legge fallimentare, ove omologata prima della consumazione del reato coincidente con la data di scadenza prevista per il versamento omesso. (In motivazione, la S.C. ha osservato che l’accordo transattivo tempestivamente omologato muta gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, incidendo sia sul termine di pagamento, che può essere dilazionato ovvero frazionato in più rate, sia sull’importo stesso del tributo che, nel caso di imposte diverse dall’Iva e di quelle armonizzate, può essere addirittura ridotto per effetto dell’accordo, con eventuale rimodulazione del debito al di sotto della soglia di punibilità; di modo che il titolo di pagamento non è più costituito dalla dichiarazione annuale di sostituto di imposta o dai certificati rilasciati ai sostituiti, bensì dalla transazione fiscale, il cui eventuale successivo inadempimento comporta la revoca della transazione stessa, ma non anche la reviviscenza del reato).
Cassazione penale sez. III 28 aprile 2016 n. 21987
In tema di reati tributari, il liquidatore di società risponde del delitto di omesso versamento delle ritenute certificate, previsto dall’art. 10-bis del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non per il mero fatto del mancato pagamento, con le attività di liquidazione, delle imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, ma solo qualora distragga l’attivo della società in liquidazione dal fine di pagamento delle imposte e lo destini a scopi differenti. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che tali conclusioni sono imposte dalle limitazioni fissate, dall’art.36 del d.P.R. 602 del 1973, alla responsabilità in proprio del liquidatore, che sussiste solo qualora egli non provi di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci e creditori ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari).
Cassazione penale sez. III 30 marzo 2016 n. 40314
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento.
Quadro giurisprudenziale di riferimento relativo all’applicabilità dell’art. 13 d.lgs. n. 74/2000 ai processi in corso:
Cassazione penale sez. III, sentenza 30/03/2016, n.40314.
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento.
Cassazione penale sez. III, sentenza 12/04/2017 n. 30139.
Nei reati tributari la causa di non punibilità ex art. 13 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come modificato ad opera della d.lgs.158 del 2015, trova applicazione ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore e ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento di primo grado se i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, risultano essere stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie.
Cassazione penale sez. III, 01/02/2017 n. 15237.
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. n.74 del 2000).
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