Art.10-ter d.lgs. n.74/2000: problemi applicativi e strategie processuali nella difesa del contribuente per il reato di omesso versamento dell’IVA.

Il reato di omesso versamento di IVA è disciplinato all’art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 (c.d. legge sui reati tributari) il quale sanziona la condotta di chiunque ometta di versare all’Erario l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale nei termini fissati per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.

  1. La norma dell’art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000

E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.

Elemento oggettivo: Soggetto attivo del reato, a dispetto della lettera della disposizione che utilizza il pronome “chiunque”, è esclusivamente il soggetto IVA (individuato dalle norme del Titolo I del D.P.R. n. 633/1972) che abbia presentato una dichiarazione annuale, ovviamente con saldo debitorio superiore ai 250.000 Euro.

Il delitto è qualificabile come reato a condotta mista, nel quale vi è una componente commissiva costituita dalla presentazione della dichiarazione IVA da parte del soggetto obbligato (da cui emerga un debito d’imposta superiore alla soglia di punibilità) e una componente omissiva rappresentata dal mancato versamento dell’IVA autoliquidata dal contribuente.

Occorre precisare che affinché possa ritenersi perfezionato il delitto ex art. 10-ter cit. si necessita la presentazione di una dichiarazione valida entro il termine fissato dalla norma, ossia il 27 dicembre dell’anno successivo alla dichiarazione. In caso contrario infatti sarà integrato il diverso delitto di Omessa dichiarazione previsto all’art. 5 del decreto, tenendo però presente, che al comma secondo questo prescrive che la dichiarazione presentata nei 90 giorni successivi alla scadenza del termine sopra menzionato sarà considerata come non omessa e pertanto, in caso questa venga presentata entro il termine dei 90 gg. e poi venga omesso il versamento, sarà comunque integrato il reato previsto all’art. 10-ter.

Elemento soggettivo: Il delitto necessita della componente del dolo generico, non essendo richiesta la finalità specifica di evadere le imposte o consentire l’evasione a terzi. La giurisprudenza è conforme nella valutazione della sussistenza del dolo se verificatesi le condotte sopra menzionate, non rilevando il fine specifico che ha mosso il soggetto attivo.

Dalla ricorrente casistica registrata in sede di legittimità e di merito, nonché dall’esperienza dello scrivente maturata in diversi processi nei quali risultavano contestati (alternativamente o contestualmente) gli artt. 10 bis e 10 ter del D. Lgs. 10 marzo 2000, emerge come comune denominatore la notevole difficoltà della difesa di provare la insussistenza dell’elemento psicologico del reato, ovvero la presenza di una causa di forza maggiore che abbia impedito al contribuente di porre il essere il comportamento giuridicamente richiesto, escludendo la possibilità di invocare la scriminante dello stato di necessità ex art. 54 c.p., ancorato alla semplice difficoltà economica dell’impresa.

Nello specifico, dalla disamina della tradizionale giurisprudenza si ricava che l’esimente di cui sopra non è stata ritenuta provata dall’impiego di risorse per scongiurare la perdita del posto di lavoro del personale impiegato dall’impresa, né dalla necessità di adempiere alle obbligazioni verso terzi per evitare la sentenza dichiarativa di fallimento in quanto, tali circostanze, non risultano idonee a giustificare un comportamento illecito ma imposto «al fine di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona» (Cass. Pen. Sez. III, n. 1725 del 2015; Cass. Pen., Sez. III, n. 7429 del 2015) rappresentando, di converso, indice rilevatore di una precisa scelta imprenditoriale che ha pretermesso gli interessi dell’Erario a vantaggio della continuità dell’impresa.

Tuttavia, a seguito della recente pronuncia della III Sezione penale, n. 6737/2018, si è registrata una importante apertura alla possibilità di un superamento delle sopra menzionate interpretazioni restrittive della fattispecie de quo. Invero, il Supremo collegio, ha censurato la condanna del legale rappresentante di una S.r.l. per il reato di omesso versamento delle ritenute certificate senza, però, aver analizzato in concreto la questione della sussistenza o meno di una crisi economica non imputabile e non affrontabile con misure idonee argomentando, inoltre, tramite l’asserto che il denaro per il versamento delle ritenute sarebbe stato disponibile in quanto l’imputato avrebbe scelto di pagare i propri dipendenti.

La pronuncia in questione riporta alla luce quei principi necessari in materia penale che da tempo sembravano essere stati messi da parte dalla giurisprudenza in materia penale-tributaria.

Si legge infatti nella motivazione che la piena consapevolezza della illiceità della condotta non può mancare nel dolo (generico) in un reato come quello in esame (di natura omissiva); e per l’appunto la Corte richiama quanto stabilito nella sentenza Schirosi (Cass. Pen., Sez. III, n. 8352 del 2015) laddove si osserva che il dolo non viene integrato dall’omesso pagamento di per sé, ma da una scelta consapevole, appunto, della illiceità della condotta rappresentata dall’omesso pagamento.

Pertanto, alla luce anche della pronuncia in commento, che sembra aprire ad una meno restrittiva valutazione dei principi di diritto fissati in tema di valutazione dell’elemento psicologico del reato per il reato di omesso versamento delle ritenute, l’ambito di applicazione della interpretazione offerta in tema di dolo potrebbe trovare applicazione anche alla fattispecie disciplinata dall’art. 10 ter di omesso versamento IVA per la sostanziale omogeneità della condotta omissiva e di valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie.

  1. La prescrizione

In quanto reato istantaneo, l’omesso versamento delle ritenute si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione di sostituto d’imposta, ossia il 31 luglio dell’anno successivo a quello di riferimento, senza che siano state versate le ritenute certificate (Cass., Sez. III, n. 25875/2010).

Al reato va applicata la disciplina ordinaria della prescrizione, fissata dall’art. 157 c.p. in sei anni (che diventano sette e mezzo per effetto di un evento interruttivo), tenuto conto delle nuove ipotesi di sospensione introdotte dalla c.d. riforma Orlando del 2017.

 

  1. La causa di non punibilità prevista all’art. 13 d.lgs. n. 74/2000

Il D. Lgs. 158/2015 ha apportato una significativa modifica all’art. 13 del D. Lgs. 74/2000, a norma del quale, i delitti previsti dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, «non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso».

La norma in esame prevede dunque una vera e propria «preclusione procedimentale» per la concreta applicazione della nuova causa di non punibilità, essendo attualmente devoluta al pagamento integrale del debito tributario, non più una semplice funzione attenuante, così come previsto dalla precedente formulazione dell’art. 13, ma una vera e propria funzione estintiva del reato, purché il pagamento venga effettuato prima dell’apertura del dibattimento.

Da segnalare, in merito, la sentenza n. 40314 del 2016, il cui principio di diritto è stato successivamente riconfermato in diverse pronunce (Sez. III n. 15237/2017; Sez. III n. 30139/2017), con la quale la Corte di Cassazione, proprio in considerazione della nuova natura assegnata dal legislatore al pagamento del debito tributario, ha ritenuto la nuova disposizione applicabile anche ai procedimenti in corso al 22 Ottobre 2015, data di entrata in vigore del D. Lgs. 158/2015, anche se già aperto il dibattimento in primo grado.

Operativamente, quindi, secondo l’interpretazione dei Giudici di legittimità, la nuova disciplina normativa che ha novellato il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 risulta applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto (22 ottobre 2015) anche se superata la fase dell’apertura del dibattimento , sempre che non sia intervenuta sentenza di condanna definitiva. In tale situazione processuale il Giudice che procede (Tribunale monocratico o Corte di Appello) in caso di comprovata rateizzazione, di fronte all’istanza di rinvio dalla difesa che avrà l’onere di allegare il fatto avente ad oggetto l’adesione al piano di rateizzo ed il pagamento delle rate già scadute depositando prova conforme, sarà tenuto a concedere un termine di tre mesi per consentire l’estinzione del debito, con facoltà di prorogare tale termine solo una volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario.

 

  1. Misure cautelari e confisca

Ferma restando la possibilità da parte del PM di richiedere per questa fattispecie le misure cautelari personali, sempre che ne ricorrano i presupposti dei gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari (come riformate dalla l. n. 47/2015), una notevole rilevanza, nella materia trattata, assumono le misure cautelari di natura reale. Nell’ambito dei reati tributari, infatti, le Procure sono solite richiedere, ed ottenere dal GIP l’emissione di provvedimenti ablatori finalizzati all’apposizione di un vincolo di indisponibilità sui beni del soggetto indagato per l’omesso versamento, nella forma del sequestro preventivo finalizzato alla confisca (art. 321 c.p.p.).

In caso di condanna, il giudice disporrà la confisca dei beni che sono prezzo o profitto del reato (c.d. confisca diretta) e, nelle ipotesi di impossibilità di insistere direttamente su tali beni, di quelli di valore equivalente nella disponibilità del reo.

Occorre sottolineare che nella materia cautelare reale non trovano applicazione i principi di natura civilistica sulla separazione tra il patrimonio della persona fisica e della persona giuridica, nel caso il reato tributario coinvolga gli organi di un ente dotato di autonomia patrimoniale perfetta. Difatti, la giurisprudenza di legittimità già da tempo ha stabilito la possibilità di aggredire attraverso lo strumento del sequestro per equivalente i beni dell’imputato persona fisica (amministratore di diritto o di fatto, o anche membro del CDA o di altri organi societari) “sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta” (Cass., Sez. III, n. 42966/2015).

Qualora il prezzo o il profitto del reato sia costituito da denaro, il sequestro di tali somme viene qualificato come diretto in virtù della natura fungibile del bene (cfr. Cass., Sez. III, n. 5780/2018) e le SS.UU. hanno già sancito l’applicabilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca su denaro o altri beni fungibili direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica a vantaggio della società, se nella disponibilità della persona giuridica medesima (SS.UU., n. 10561/2014, Gubert). Nel caso, però, in cui il sequestro diretto non sia possibile nei confronti dell’ente per impossibilità di reperire i beni confiscabili, non sarà possibile procedere con il sequestro per equivalente nei confronti della società stessa, a meno che essa non costituisca un mero apparato fittizio (Sez. III, n.1256/2012; SS.UU., n. 10561/2014; Sez. III, n. 5780/2018), in quanto i reati tributari non rientrano, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, nella lista di quelli che consentono il sequestro per equivalente nei confronti di una persona giuridica.

Riassumendo, il sequestro preventivo:

  • è consentito, nei confronti della persona giuridica, se finalizzato alla confisca di denaro o altri beni fungibili o di beni costituenti profitto del reato tributario (confisca c.d. diretta) se il delitto è commesso dagli organi della persona giuridica stessa e se i beni siano nella disponibilità patrimoniale della medesima persona giuridica;
  • non è consentito se finalizzato alla confisca per equivalente, nei confronti della persona giuridica, nel caso non sia stato reperito il profitto del reato tributario commesso dagli organi della stessa persona giuridica (non ricompreso nelle ipotesi previste dal d.lgs. n. 231/2001); è consentito, invece, nell’ipotesi in cui l’ente giuridico sia un mero schermo fittizio per attività illecite di persone fisiche;
  • è consentito nei confronti delle persone fisiche che hanno commesso il reato tributario a vantaggio dell’ente collettivo, se nella loro disponibilità rientrano quei beni costituenti profitto del reato o denaro ed altri beni fungibili; è consentito altresì anche nella forma per equivalente, nei confronti della persona fisica, nel caso non vi sia possibilità di confiscare beni nei confronti della persona giuridica.

quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di omesso versamento IVA:

Corte giustizia UE grande sezione  20 marzo 2018 n. 524  

L’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale in forza della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta entro i termini di legge, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi del citato articolo 50, purché siffatta normativa sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari, contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti, e preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti (la Corte si è così pronunciata nell’ambito di un procedimento penale nei confronti di un imputato cittadino italiano relativo a reati in materia di imposta sul valore aggiunto).

Cassazione penale sez. III  13 marzo 2018 n. 15172  

La nuova fattispecie di reato di cui all’ art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000 , come modificata dall’ art. 8, d.lgs. n. 158 del 2015 , che ha elevato a Euro 250.000,00 la soglia di punibilità, ha determinato l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, e in considerazione dell’abrogazione parziale trovano applicazione gli art. 2, comma secondo, cod. pen. (e non il quarto comma dell’ art. 2, cod. pen. ), e 673, comma primo, cod. proc. pen.

Cassazione penale sez. III  23 gennaio 2018 n. 6220  

In tema di omesso versamento dell’ IVA, il reato omissivo previsto dall’ art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 consiste nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di “IVA per cassa”, è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate.

Cassazione penale sez. III  23 novembre 2017 n. 4750  

In caso di omesso versamento, la confisca va disposta anche se non risultano disponibilità di beni da parte dell’imputato. A ricordarlo è la Cassazione che ha accolto il ricorso della pubblica accusa contro la scelta del Tribunale di condannare l’imputato per violazione dell’ articolo 10-ter del Dlgs 74/2000 , senza disporre, però, la confisca per insussistenza dei mezzi. Si tratta, infatti di un preciso obbligo di legge che sfugge a qualunque considerazione da parte del giudice, potendo essere colpiti anche beni futuri. L’applicazione di tale confisca, in sostanza, è sottratta alla discrezionalità del giudice.

Cassazione penale sez. IV  17 ottobre 2017 n. 52542  

Non è corretto attribuire prevalenza alla norma penale che sanziona l’omesso versamento dell’IVA rispetto al contrapposto divieto di versamento dell’IVA, imposto da un legittimo ordine del giudice (divieto di eseguire pagamenti per crediti anteriori alla richiesta di ammissione alla procedura concorsuale di concordato), che deriva da precise norme giuridiche aventi pari valore ed efficacia rispetto alla normativa tributaria.

Cassazione penale sez. III  12 aprile 2017 n. 39503  

Deve essere confermata la condanna per omesso versamento di IVA se l’imputato non dimostra che la crisi finanziaria sia stata imprevedibile, repentina e che egli, da amministratore, abbia fatto tutto quanto nelle sue disponibilità per evitare l’omissione del versamento.

Cassazione penale sez. III  15 febbraio 2017 n. 35786  

Solo l’omologazione, e non anche la semplice ammissione al concordato preventivo – sia pure intervenuta antecedentemente alla scadenza del termine per il versamento dell’imposta -, può escludere il reato di omesso versamento i.v.a. ex art. 10 ter d.lg. n. 74 del 2000.

Cassazione penale sez. III  15 febbraio 2017 n. 35786  

Ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rispettivamente in tema di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e dell’IVA, è sufficiente il consapevole inadempimento, da parte del contribuente, dell’obbligazione tributaria così come risultante dalle dichiarazioni annuali dal medesimo presentate, non essendo necessario che egli sia preventivamente messo a conoscenza della pretesa avanzata dagli organi accertatori in sede amministrativa né che detta pretesa abbia un positivo riconoscimento, attesa l’autonomia del procedimento penale dal procedimento e dal processo tributario.

quadro giurisprudenziale di riferimento relativo all’applicabilità dell’art. 13 d.lgs. n. 74/2000 ai processi in corso:

Cassazione penale sez. III, sentenza 30/03/2016, n.40314.      
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento.

Cassazione penale sez. III, sentenza 12/04/2017 n. 30139.      
Nei reati tributari la causa di non punibilità ex art. 13 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come modificato ad opera della d.lgs.158 del 2015, trova applicazione ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore e ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento di primo grado se i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, risultano essere stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie.

Cassazione penale sez. III, 01/02/2017 n. 15237.           
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la valutazione circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. n.74 del 2000).

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