L’importanza del giudizio controfattuale nell’accertamento del nesso di causalità nei reati di evento ascrivibili al sanitario.

Con la sentenza n.21036/2018 depositata l’11.05.2018 che si segnala per l’interessante riflessione sul tema del nesso di causalità sempre centrale nell’accertamento del fatto di reato nei processi per lesioni od omicidio colposo a carico del medico, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema del giudizio controfattuale e sul conseguente onere di motivazione che grava sul giudice del merito.

Il caso clinico e l’imputazione.

L’imputato è stato tratto a giudizio per il reato di omicidio colposo perché, in qualità di medico di bordo in servizio su una nave da crociera in navigazione nelle acque della Groenlandia, veniva accusato di non aver effettuato la corretta diagnosi, non avere somministrato idonea terapia e non avere disposto il tempestivo trasferimento del paziente presso centro attrezzato; condotta omissiva che secondo la Procura di Milano era da considerare causa efficiente della morte del paziente colpito da ischemia cerebrale acuta a bordo del natante (preceduta da due episodi di attacchi ischemici transitori – T.I.A.), poi deceduto per tale patologia presso il nosocomio Niguarda di Milano ove era stato trasferito d’urgenza con elisoccorso.

Lo svolgimento del processo.

Il Tribunale di Milano ha giudicato colpevole l’imputato, mentre la Corte territoriale ha riformato la sentenza di primo grado assolvendolo con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, valutando la correttezza della scelta diagnostica del medico e della terapia farmacologica somministrata

Hanno proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di appello il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano e la parte civile, con censure sostanzialmente afferenti il mancato riconoscimento della sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, sia specifica, per violazione delle linee guida, sia generica per l’omesso allertamento del paziente e della di lui moglie sulle condizioni di salute del primo, nonché per la mancata predisposizione di un rapido ed efficace trasporto presso un centro attrezzato per l’evenienza.

La decisione della Suprema Corte e il punto di diritto.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso ed annullato la sentenza resa in grado di appello per un nuovo giudizio di merito rimettendo gli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.

In via di premessa, osservano i giudici di legittimità che la ricostruzione del fatto operata dal primo giudice è sostanzialmente conforme a quella operata dalla Corte d’appello che ha riformato quella del Tribunale di Milano in punto di diritto, per un diverso giudizio espresso sulla  ritenuta conformità della condotta del medico sia alle linee guida nazionali ed internazionali rispetto al verificarsi del T.I.A. e dello stroke nelle condizioni date per il caso di specie, sia  ai necessari canoni di prudenza, data la peculiare situazione concreta che il sanitario è stato chiamato a fronteggiare.

La Corte territoriale, infatti, diversamente dal primo giudice, conduce il suo ragionamento partendo dalla decisione del medico di somministrare i farmaci previsti per il caso di T.I.A, correttamente selezionati dopo avere svolto sul paziente esami ematici, elettrocardiogramma, valutazione pressoria ed avendolo mantenuto sotto osservazione per cinque ore complessivamente.

L’immediata somministrazione della terapia, secondo la Corte territoriale, in un’ipotesi in cui il paziente non poteva essere immediatamente avviato alla trombolisi, costituiva l’unico rimedio efficace in quel momento, trovandosi la nave in piena navigazione, lontana dai porti più vicini.

Per decidere diversamente e cioè per scegliere di avviare il paziente presso centro attrezzato, ove fosse possibile effettuare la diagnosi differenziale dall’emorragia cerebrale ed eventualmente sottoporlo a trombolisi, il medico di bordo avrebbe dovuto essere certo di riuscire ad organizzare entro un tempo brevissimo i soccorsi, perché la stessa trombolisi, per avere buone probabilità di successo,  va iniziata entro le tre ore dalla manifestazione dei sintomi.

Egli, secondo la Corte di appello, avendo scelto di intervenire somministrando subito la terapia, anziché trasferire su altri la responsabilità dell’intervento, che in tal modo poteva rivelarsi intempestivo, aveva optato per la migliore delle soluzioni, l’unica che consentiva il trattamento immediato in quelle condizioni spazio-temporali.

A questo punto, però, la S.C. sviluppa il proprio ragionamento in diritto.

Condiviso quest’ultimo assunto, fondato su un ragionamento del tutto logico, dovendosi verificare la congruenza del ragionamento della Corte rispetto al primo episodio di T.I.A, deve concordarsi sul fatto che la questione da risolvere non è tanto quella della scelta fra la somministrazione della terapia e quella del trasferimento in sé e per sé, ma quella fra la somministrazione ed il trasferimento tempestivo per dar modo ad altri medici, non tanto di fare una diagnosi differenziale- già correttamente operata- ma di provvedere eventualmente ed in tempo utile alla trombolisi, terapia cui pacificamente non era possibile dar corso né sulla nave, né in ospedale non all’uopo attrezzato”.

Alla luce di tale situazione di fatto, dunque, “non può essere rimproverata all’imputato, che operò solo con una valutazione clinica, alcuna forma di imperizia, avendo egli correttamente diagnosticato la patologia”. Ciò posto, nondimeno, la S.C. precisa che sia doveroso altresì analizzare il diverso profilo dell’imprudenza.

Sebbene sia fuor di dubbio che le condizioni in cui si trovò ad operare l’imputato fossero condizioni di reale difficoltà, i giudici di Piazza Cavour ritengono necessaria una precisazione, poiché il comportamento posto in essere dal medico di bordo deve essere valutato alla stregua delle particolari condizioni soprattutto logistiche nelle quali si sono prodotti gli eventi. Da un lato, considerando le difficoltà dell’intervento e dall’altro, avuto riguardo a criteri di prudenza che proprio in quelle condizioni di difficoltà debbono essere tenute presenti per salvaguardare la salute del paziente.

Fatte queste premesse, vengono richiamati alcuni principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, che definiscono il contenuto del c.d. giudizio controfattuale cioè di quell’operazione logica che eliminando dalla realtà (contro i fatti) la condizione costituita da una determinata condotta umana (anche omissiva), verifica se il fatto oggetto del giudizio sarebbe egualmente accaduto, con la conseguenza che nell’ipotesi di indifferenza della condotta nella produzione dell’evento, deve escludersi che essa ne costituisca una causa, mentre, al contrario, laddove senza quella condotta l’evento non si sarebbe prodotto essa è condizione causale dell’evento.

Secondo l’elaborazione scaturita dalla nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 30328 del 10/07/2002, Franzese- ulteriormente declinati nelle ipotesi di responsabilità medica, anche nella giurisprudenza successiva- il nesso causale va ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica-, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. L’ipotesi accusatoria sulla sussistenza del nesso causale, nondimeno, non può trovare automatica conferma solo sulla considerazione del coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto, in modo che all’esito del ragionamento probatorio, una volta esclusa l’interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto grado di credibilità razionale”.

(…) Ed invero “In tema di responsabilità medica è indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o posticipato (Cass., Sez. 4, n. 43459 del 4.10.2012, Rv. 255008; in precedenza sull’imprescindibilità dell’accertamento di tutti gli elementi fattuali e scientifici ai fini dell’analisi sotto il profilo controfattuale Sez. 4, n. 25233 del 25/05/2005 – dep. 12/07/2005, Lucarelli, Rv. 23201301).

Ricorda ancora la recente pronuncia supra richiamata che “nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale” (richiama Cass.,Sez.4,n. 30649 del 13-6- 2014, Rv. 262239). Va, quindi, affermata la sussistenza “del nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, (cfr. Cass., Sez. 4, n. 7659 del 16.11.2017 dep. 16.11.2018, Sartori).

La Corte territoriale non è giunta, tuttavia, ad affrontare compiutamente la problematica suesposta, ossia l’effettiva percorribilità di una diversa strategia per verificare se la sua adozione avrebbe potuto evitare l’evento morte, limitandosi, invece, a ritenere prudente il comportamento del medico che la escluse.

Non opera, cioè, quella ricostruzione della sequenza fattuale che ha condotto all’evento, su cui innestare il giudizio controfattuale, valutando innanzitutto la fattibilità concreta di quell’alternativa terapeutica che richiedeva l’intervento esterno. Si tratta di un passaggio motivazionale che manca del tutto e che è, nondimeno, indispensabile proprio tenendo in considerazione quella situazione di difficoltà di intervento- ben chiarita dalla sentenza- causata dalla “lontananza” della nave da un utile approdo e quindi dalla necessità di un lasso di tempo considerevole per disporre utilmente l’ospedalizzazione. Perché se, come si è detto, la situazione logistica influisce sulla valutazione del comportamento del medico, che deve essere nella reale condizione di effettuare una scelta, esse influiscono anche sull’idoneità della scelta operata dal sanitario ad assicurare le più ampie probabilità di scongiurare l’evento lesivo. Dunque, per valutare se la scelta di curare farmacologicamente il paziente, ciò costituendo una delle opzioni previste dalle linee guida in una situazione di normalità fosse priva di alternative in una situazione che impediva un rapido intervento in caso di repentino peggioramento- ipotesi non probabile tenuto conto dello score medio-basso, ma certamente possibile- occorreva innanzitutto verificare se effettivamente il medico potesse pianificare un intervento diverso. E’ chiaro, infatti, che le condizioni di rapido accesso ad una struttura attrezzata condizionano le scelte terapeutiche e che l’opzione meno invasiva è preferibile, laddove presentandosi un peggioramento sia possibile agire con tempestività assicurando tutto ciò che può salvaguardare la vita e la salute del paziente (indipendentemente dalla trombolisi), mentre la stessa opzione può risultare fatale dove non sia possibile un simile accesso. Sicché è chiaro che per valutare se curare un paziente con T.I.A. immediatamente con la somministrazione di farmaci, o predisporre un rapido trasporto, occorre prima verificare se il trasporto fosse possibile. Solo una volta positivamente verificata questa possibilità può essere approfondita l’ulteriore questione circa la regola prudenziale da applicare al caso concreto – cioè sulla base delle circostanze del fatto- in ordine alla scelta della terapia e quindi verificare la sussistenza del nesso causale fra la condotta tenuta e l’evento, avuto riguardo al giudizio controfattuale per verificare se “risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto grado di credibilità razionale””.

Per tali motivi viene ravvisata una grave carenza della motivazione della Corte territoriale che giustifica la decisione di annullare il provvedimento impugnato.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di accertamento del nesso di causalità e giudizio controfattuale nella colpa medica:

Cassazione penale sez. IV, 07 gennaio 2016 n. 1846.  

In tema di colpa medica – in considerazione della posizione di garanzia che il medico assume nei confronti del paziente con l’instaurazione della relazione terapeutica – il sanitario che, avendo in cura il paziente per stati di ansia o sindrome depressiva, in presenza di apprezzabili indici significativi di un atteggiamento di negazione di patologie di diversa natura, ometta di approfondire le condizioni cliniche generali dell’assistito e di assumere le necessarie iniziative per indurlo alla cura di tale patologia, è responsabile per le prevedibili conseguenze lesive derivate dalla patologia medesima. (Nella specie la Corte ha confermato la sentenza che aveva escluso la responsabilità di un neurologo in relazione al decesso di una sua paziente affetta da patologia oncologica non ritenendo adeguatamente provati né il presupposto di fatto dell’omesso approfondimento delle condizioni generali della paziente, che era stata comunque avviata ad una visita specialistica, né il nesso causale, essendo incerto il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia).

Cassazione penale sez. IV, 18 marzo 2015 n. 18080.  

Non ricorre la penale responsabilità del medico per la morte di un paziente affetto da una rarissima patologia qualora gli omessi esami biologici necessari per la sua diagnosi, anche se espletati, non avrebbero consentito un intervento tempestivo.

 

Cassazione penale sez. V, 04 luglio 2014 n. 52411.  

In tema di responsabilità professionale medica, allorché il sanitario si trova di fronte ad una sintomatologia idonea a formulare una diagnosi differenziale, la condotta è colposa quando non si proceda alla stessa, e ci si mantenga, invece, nell’erronea posizione diagnostica iniziale; ciò, sia nelle situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale è già in atto, sia laddove è prospettabile che vi si debba ricorrere nell’immediato futuro a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare della situazione già esistente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata per aver giudicato configurabile la responsabilità del ginecologo, che non aveva eseguito un monitoraggio intermittente sulle condizioni del feto, nonostante dai tracciati emergessero segni di sofferenza fetale ai quali era seguita, come sviluppo prevedibile, la morte del nascituro).

 

Cassazione penale sez. IV, 12 dicembre 2012 n. 1716.  

Versa in colpa – per imperizia, nell’accertamento della malattia, e negligenza, per l’omissione delle indagini necessarie, sia al fine di dissipare dubbi circa la esatta diagnosi del male portato dal paziente, sia per individuare la terapia di urgenza più confacente al caso – il medico il quale, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie, comunque, pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente.

 

Cassazione civile sez. III,  29 novembre 2012 n. 21233.  

Nel caso di diagnosi differenziale, la sospensione della terapia per una delle possibili patologie ipotizzate può essere giustificata solo dalla raggiunta certezza che una di queste patologie possa essere esclusa; ovvero, in caso di trattamenti terapeutici incompatibili, può essere sospeso il trattamento riferito alla patologia che, in base all’apprezzamento di tutti gli elementi conosciuti o conoscibili condotto secondo le regole dell’arte medica, potesse essere ritenuto meno probabile e sempre che, nella valutazione comparativa del rapporto tra costi e benefici, la patologia meno probabile non avesse caratteristiche di maggior gravità e potesse quindi essere ragionevolmente adottata la scelta di correre il rischio di non curarne una che, se esistente, avrebbe però potuto provocare danni minori rispetto alla mancata cura di quella più grave.

Cassazione penale sez. IV  27 settembre 2011 n. 37043.  

In tema di responsabilità professionale medica, nel caso in cui il sanitario si trovi di fronte ad una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, la condotta è colposa quando non vi si proceda, mantenendosi nell’erronea posizione diagnostica iniziale. E ciò vale non soltanto per le situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale sia già in atto, ma anche quando è prospettabile che vi si debba ricorrere nell’immediato futuro, a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare del quadro già esistente.

Cassazione penale sez. un.  10 luglio 2002 n. 30328.  

Non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, all’esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”.