Sussiste il reato di omessa dichiarazione ai fini Iva se l’impresa esterovestita ha stabile organizzazione in Italia.

Con la sentenza n. 20856/2018, depositata l’11.05.2018, la III Sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in riferimento al reato di omessa dichiarazione commesso  da parte del legale rappresentante di società esterovestita.

Il caso e lo svolgimento del processo.

La Corte d’appello di Ancona ha parzialmente riformato la sentenza resa dal Tribunale di Pesaro limitatamente al trattamento sanzionatorio con la quale l’imputato era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia  per il reato di cui all’art. 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, perché, in qualità di legale rappresentante di una società con sede legale in San Marino e residenza fiscale in Italia, attribuita dalla Agenzia delle entrate e coincidente con la sede legale ed operativa di altra società, al fine di evadere l’Iva, ometteva la presentazione della dichiarazione annuale per detta imposta per l’anno 2007 per euro 572.772,00.

Avverso la sentenza della Corte territoriale la difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

In particolare la difesa ha contestato che, al di là della esterovestizione della società, non vi era stata alcuna evasione dell’Iva, perché tale imposta indiretta incide in modo definitivo ed in via generale, esclusivamente sui consumatori finali, non potendosi configurare né come un costo, né come un ricavo, ma solo come una componente economica neutrale. Secondo quanto sostenuto dalla difesa, sia che la società fosse stata collocata fiscalmente in Italia, sia nel caso di specie, in cui è stata collocata fiscalmente all’estero, lo Stato italiano, nei vari passaggi che portano il prodotto al consumatore finale, ha effettivamente o avrebbe effettivamente riscosso la stessa somma attraverso le altre società che partecipavano al ciclo produttivo senza determinare danno erariale.

Conseguentemente, ha sostenuto il ricorrente, che il reato punito all’art. 5 del d.lgs. n. 74/2000 sarebbe fattispecie di reato di danno, per la cui sussistenza sarebbe necessaria l’effettiva dimostrazione del danno, da escludersi a priori nel caso di specie, in forza di quanto con il primo motivo di ricorso, attesa la sostanziale neutralità del tributo.

La decisione della Cassazione e il punto di diritto

La Corte ha giudicato il ricorso manifestamente infondato, dichiarandone la inammissibilità.

Innanzitutto i giudici di legittimità rilevano come la difesa non abbia contestato affatto la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, secondo cui la società altro non fosse che un mero schermo utilizzato a fini di interposizione fittizia, essendo la sua attività tutta sostanzialmente riconducibile ad altra società, con la quale condivideva sede operativa e rispetto alla quale non aveva alcuna autonomia funzionale o gestionale.

Partendo dalla premessa di cui sopra, la Suprema corte, in punto di diritto, ha osservato quanto segue: “Sussiste, dunque, l’obbligo di presentazione di una dichiarazione annuale dei redditi da parte della società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione rileva ai fini del reato previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000; tale obbligo, in particolare, sussiste se l’impresa abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano nel territorio nazionale la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi. Assume rilevanza, perciò, il fatto che la società straniera abbia affidato, anche in via di fatto, la cura dei propri affari in territorio italiano ad un’altra struttura, sia questa munita o meno di personalità giuridica (ex multis, sez. 3, 21 febbraio 2013, n. 32091, rv. 257043; sez. 3, 24 gennaio 2012, n. 7080, rv. 252102; sez. 3, 26 maggio 2010, n. 29724, rv. 248109)”.

Per quanto concerne, poi, la doglianza relativa alla natura del delitto de quo, la Corte, dopo aver ripercorso l’evoluzione legislativa della disposizione dell’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000 rileva che “oggetto del precetto penale è la semplice omissione della presentazione della dichiarazione da parte del soggetto che vi è tenuto, al fine di evadere l’imposta, senza che assuma alcuna rilevanza la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria. Ed è pacifico che la società (omissis), pur avendo sede legale nella Repubblica di San Marino, fosse effettivamente tenuta alla presentazione della dichiarazione Iva in Italia. Quanto, poi, al dolo specifico di evasione, lo stesso risulta pienamente configurato dall’esterovestizione, meccanismo utilizzato proprio allo scopo di sottrarre la società all’obbligo di presentazione della dichiarazione e corresponsione dell’imposta. E non assume alcuna rilevanza la circostanza che l’Iva sia un’imposta a carattere sostanzialmente neutro, perché, ai fini del dolo specifico del reato per cui si procede, è sufficiente verificare la finalità di evasione dell’imposta da parte del soggetto formalmente obbligato alla presentazione della dichiarazione, senza che assuma alcuna rilevanza la circostanza che detta imposta sia in concreto dichiarata e corrisposta ad altri soggetti. Nel caso di specie, peraltro, neanche la difesa assume che l’imposta evasa dalla società dell’imputato sia stata in concreto dichiarata corrisposta dalle altre società coinvolte nel meccanismo fraudolento”.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di esterovestizione ed omessa dichiarazione:

Cassazione penale sez. III  22 gennaio 2015 n. 19007.

Deve ritenersi “esterovestita”, cioè con sede all’estero fittizia, la società spagnola interamente controllata da società italiana, priva di una propria struttura organizzativa, che non ha mai sostenuto costi per il personale, né per la quotidiana attività aziendale, il cui amministratore unico era titolare di uno studio di consulenza di diritto spagnolo, che utilizzava per la propria contabilità programmi di elaborazione di proprietà della società controllante italiana. La esterovestizione non è esclusa dal fatto che la costituzione della società formalmente estera fosse stata pensata ad altri fini (il collocamento sul mercato di olio di qualità inferiore rispetto a quella dichiarata). Il legale rappresentante della società italiana controllante, quale amministratore di fatto della società spagnola “esterovestita”, può rispondere pertanto del delitto di cui all’art. 5 d.lg. n. 74 del 2000.

Cassazione penale sez. III  24 ottobre 2014 n. 43809. 

In materia tributaria, il delitto di omessa dichiarazione dei redditi o Iva è reato omissivo proprio, che può essere commesso solo da chi, secondo la legislazione fiscale, è obbligato alla relativa presentazione; con la conseguenza che, salve le ipotesi di costringimento fisico e di errore determinato dall’altrui inganno, il concorso nel reato è ipotizzabile solo in forma morale, quando cioè chi vi è obbligato ha omesso di presentare la dichiarazione perchè istigato o rafforzato nelle sue intenzioni o in attuazione di un accordo intercorso con altri soggetti. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la responsabilità di terzi, a titolo di concorso nel reato di cui all’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000, per la collaborazione, con i soggetti sottoposti all’obbligo dichiarativo, nella “esterovestizione” di società cui imputare i profitti da sottrarre alla imposizione fiscale).

Cassazione penale sez. III  21 febbraio 2013 n. 32091.

L’impresa controllata da società italiana, pur avendo residenza fiscale all’estero, è obbligata a presentare la dichiarazione annuale dei redditi in Italia qualora sia priva di stabile organizzazione, di autonomia contabile, finanziaria e decisionale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente l’obbligo di presentare in Italia le dichiarazioni dei redditi per un’impresa operante nel settore orafo, integralmente controllata da società italiana, costituita in Tunisia con lo scopo di aggirare il regime dei dazi doganali imposti dagli USA).

Cassazione civile sez. trib.  07 febbraio 2013 n. 2869. 

Ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, nell’ipotesi di esterovestizione, ossia di fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, non è necessario accertare la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma, invece, occorre verificare se il trasferimento in realtà vi è stato, o no, cioè se l’operazione sia meramente artificiosa, consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica.

Cassazione penale sez. III  24 gennaio 2012 n. 7080.

L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato previsto dall’art. 5 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi. (Fattispecie relativa a sequestro probatorio di documenti di natura tributaria facenti capo a società svolgente attività di assistenza a piattaforme petrolifere nell’Oceano Atlantico ed avente residenza fiscale localizzata in territorio portoghese, in cui la Corte ha ravvisato la sussistenza del fenomeno di esterovestizione della residenza fiscale).

Cassazione penale sez. III  26 maggio 2010 n. 29724.

L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale i.v.a. da parte di società avente residenza fiscale all’estero sussiste se questa ha stabile organizzazione in Italia, che ricorre anche quando la società straniera abbia affidato, anche di fatto, la cura dei propri affari in territorio italiano ad altra struttura munita o meno di personalità giuridica, prescindendosi dalla fittizietà o meno dell’attività svolta all’estero dalla società medesima. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni facenti capo a società avente residenza fiscale localizzata in territorio diverso dall’Italia, cosiddetta esterovestizione della residenza fiscale).

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