La sentenza di assoluzione per l’appropriazione indebita di somme da parte dell’amministratore di fatto esclude la bancarotta fraudolenta per distrazione.
Con la sentenza n. 25651/2018, depositata il 06.06.2018, la V Sezione Penale della Corte di Cassazione, è tornata ad occuparsi di reati fallimentari, fornendo importanti chiarimenti agli operatori di diritto sui rapporti tra il reato di bancarotta per distrazione e quello di appropriazione indebita alla luce dei recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale con specifico riferimento all’applicazione del principio del divieto di secondo giudizio.
Il fatto e lo svolgimento del processo
Gradi di merito: la Corte d’appello di Trieste aveva confermato la sentenza resa dal giudice di prime cure che aveva condannato l’imputato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, commessa quale amministratore di fatto di una società di capitali dichiarata fallita nel 2009.
Secondo la doppia conforme in punto di penale responsabilità, l’imputato, operando nella qualità sopradetta, aveva distratto somme per 35.000 euro con assegni corrisposti a terze persone per scopi diversi dall’adempimento di obbligazione sociali.
Contro la sentenza pronunciata dalla Corte territoriale l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione articolando diversi motivi, tra i quali, per quanto di interesse nel commento dell’articolo, la violazione dell’art. 649 c.p.p. giacché per il medesimo fatto (l’appropriazione della somma di Euro 35.000) il medesimo prevenuto era stato rinviato a giudizio per il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) giudicato e assolto dal Tribunale di Pordenone con sentenza passata in giudicato nel 201.2
La decisione della Cassazione e il punto di diritto
La questione posta dal ricorrente e ritenuta degna di accoglimento è rappresentata dal rapporto tra appropriazione indebita e “distrazione” (una volta dichiarato il fallimento) degli stessi beni e se in relazione alle due condotte penalmente rilevanti possa venire in rilievo il principio del divieto di secondo giudizio.
Come ricordato dai giudici di Piazza Cavour, per fornire una soluzione alla problematica posta dall’art. 649 c.p.p. relativamente al divieto di secondo giudizio, la giurisprudenza di legittimità è ricorsa alle figure del concorso formale e del reato complesso ed entrambi gli orientamenti hanno concluso per l’assenza di ostacoli – una volta intervenuto il fallimento, concluso il giudizio per il reato di cui all’art. 646 c.p. – alla celebrazione di un altro giudizio per bancarotta.
Ad avviso del collegio, tuttavia, ad oggi la questione è da risolversi alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 200 del 31.05.2016, la quale, sulla base dell’interpretazione dell’art.4 del Protocollo 7 della CEDU, ha sancito l’obbligo degli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem “in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest’ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell’agente”. Ha concluso la Consulta, come ricostruito nella parte motiva del provvedimento qui esaminato, nel senso che “l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass., SU, n. 34655 del 28/6/2005, rv 231799). Tanto, precisa la Corte costituzionale, a condizione che, nell’applicazione pratica, tutti gli elementi del reato siano assunti nella loro dimensione empirica, sicché anche l’evento non potrà avere rilevanza in termini giuridici, ma assumerà significato soltanto quale modificazione della realtà materiale conseguente all’azione o all’omissione dell’agente. In questo modo è assicurato il massimo dispiegarsi della funzione di garanzia sottesa all’art. 649 cod. proc. pen. – senza compromissione di altri principi di rilievo costituzionale – e si evita che la valutazione comparativa – cui è chiamato il giudice investito del secondo giudizio – sia influenzata dalle sempre opinabili considerazioni sulla natura dell’interesse tutelato dalle norme incriminatrici, sui beni giuridici offesi, sulla natura giuridica dell’evento, sul ruolo che ha un medesimo elemento all’interno delle fattispecie, sulle implicazioni penalistiche del fatto e su quant’altro concerne i singoli reati”.
Alla luce di tali criteri il giudice di legittimità nello scrutinio del caso di specie ha censurato la sentenza della Corte di appello di Trieste nella parte in cui ha escluso che un giudicato sulla appropriazione indebita possa ritenersi ostativo alla celebrazione di un secondo giudizio per bancarotta patrimoniale.
La Suprema Corte, infatti, utilizzando i suddetti principi fissati dalla Consulta, ha ritenuto di poter superare gli orientamenti giurisprudenziali antecedenti che, come anticipato, concludevano per la non rilevanza del bis in idem nei rapporti tra le due fattispecie di reato.
Infatti se la problematica del bis in idem va risolta secondo i criteri sopra enunciati, secondo cui il nuovo giudizio è consentito solo se il fatto che si vuole punire sia, naturalisticamente inteso, diverso, e non già perché con la medesima condotta sono state violate più norme penali ed offesi interessi giuridici diversi, allora non potrà farsi ricorso all’istituto del concorso formale per dirimere la vexata quaestio.
Sempre secondo la sentenza in commento non può neppure farsi riferimento, come vorrebbe altra giurisprudenza più recente, ad una diversità strutturale tra le fattispecie di bancarotta per distrazione e appropriazione indebita in quanto la prima avrebbe l’elemento ulteriore e specializzante dell’intervenuto fallimento. La Corte ricorda infatti che per generale opinione la dichiarazione di fallimento è conseguenza indipendente dalla volontà dell’agente in quanto correlata all’iniziativa dei creditori o del PM e legata alla valutazione del Tribunale. Dunque tale figura criminosa si perfeziona con la condotta distrattiva, seppure la punibilità è subordinata alla dichiarazione di fallimento.
Di tale valutazione giuridica, per l’importanza rivestita, si trascrive di seguito il passaggio motivazionale:
“Depurata, dunque, di questo elemento (id est, la dichiarazione di fallimento), la bancarotta per distrazione non si differenzia in nulla dall’appropriazione indebita (quando, beninteso, abbiano lo stesso oggetto), sicché non presenta la diversità necessaria a superare il divieto del bis in idem. La profonda diversità della bancarotta per distrazione, rispetto all’appropriazione indebita, sta, in realtà, nell’offesa che essa reca all’interesse dei creditori, per la diminuzione della garanzia patrimoniale che è ad essa collegata; ma si tratta dì una diversità che, stando al dictum della Corte Costituzionale, non rileva ai fini della identificazione del “fatto”, perché attiene – insieme all’oggetto giuridico, alla natura dell’evento, ecc. – ad elementi della fattispecie che, per la loro opinabilità, non devono concorrere a segnare l’ambito della garanzia costituzionale e convenzionale del ne bis in idem”.
Tra l’altro, osserva la Corte, che nel caso di specie, alla medesima conclusione si perverrebbe, comunque, prendendo in considerazione l’istituto del giudicato parziale, in applicazione del quale è stato costantemente affermato che la preclusione dell’art. 649 c.p.p. trova applicazione, onde evitare che vengano emesse pronunce contraddittorie sulle medesime circostanze di fatto, allorché venga dichiarata nel primo giudizio l’insussistenza del fatto o la mancata commissione di questo da parte dell’imputato.
Anche su questo punto che attiene al rito penale, si trascrive il passaggio motivazionale:
“Pur ammettendo (in ipotesi) che, agli effetti dell’art. 649 cod. proc. pen., appropriazione indebita e bancarotta siano fatti diversi, per la presenza, nella bancarotta, di un elemento naturalisticamente diverso dall’appropriazione, deve riconoscersi che l’unica condotta che ha dato origine ad entrambi i procedimenti era stata, prima dell’avvio del procedimento per il reato fallimentare, oggetto di accertamento in sede penale, con esito liberatorio per l’imputato, sicché su di esso si era formato il giudicato. Anche per tale motivo, quindi, la seconda azione penale non avrebbe potuto essere promossa”.
Per le ragioni in diritto ed in rito sopra riportate il Supremo collegio ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata in quanto l’azione penale non poteva essere promossa per precedente giudicato.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di bis in idem e bancarotta per distrazione:
Cassazione penale sez. V, 29 gennaio 2018 n. 18089.
In materia di reati fallimentari, non sussiste la possibilità di ritenere assorbito il reato di insolvenza fraudolenta e quello di bancarotta impropria se i fatti che sono alla base delle imputazioni sono diversi. Non può sostenersi, infatti, che vi sia identità delle condotte se manca la corrispondenza storico naturalistica. Ad affermarlo è la Cassazione che respinge il ricorso dell’imputato contro la sentenza della corte d’appello che aveva negato la possibilità di assorbire il reato di insolvenza fraudolenta in quello di bancarotta impropria. Per la Corte però nella fattispecie non c’è ne bis in idem, in quanto manca l’identità tra le due condotte che scatta quando c’è una “corrispondenza storico naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo di luogo e di persona”.
Cassazione penale sez. V, 06 ottobre 2017 n. 4400.
In tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, la sentenza dichiarativa di fallimento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, poiché si pone come evento estraneo all’offesa tipica e alla sfera di volizione dell’agente.
Cassazione penale sez. V, 20 gennaio 2016 n. 11918
La preclusione del “ne bis in idem” non opera ove tra i fatti già irrevocabilmente giudicati e quelli ancora da giudicare sia configurabile un’ipotesi di concorso formale di reati, potendo in tal caso la stessa fattispecie essere riesaminata sotto il profilo di una diversa violazione di legge, salvo che nel primo giudizio sia stata dichiarata l’insussistenza del fatto o la mancata commissione di esso da parte dell’imputato. (Fattispecie in tema di sentenza passata in giudicato per truffa e successiva condanna per il reato di sostituzione di persona, costituente la modalità di attuazione del raggiro).
Cassazione penale sez. V, 17 febbraio 2016 n. 13399.
La pronuncia definitiva per il reato di appropriazione indebita previsto dall’art. 646 c.p. non rende improcedibile la bancarotta fraudolenta, né tantomeno contrasta con il principio del “ne bis in idem”, determinando invece l’assorbimento dell’appropriazione indebita nell’imputazione di bancarotta fraudolenta ex art. 84 c.p.
Cassazione penale sez. V, 07 marzo 2014 n. 32352.
Ai fini della preclusione connessa al principio del “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza di un rapporto di identità del fatto tra condotte di bancarotta fraudolenta impropria ex art. 223, comma 2 n. 1, e n. 2, l. fall., relative a false comunicazioni sociali, e ad “operazioni dolose” causative del dissesto rispetto a condotte già giudicate per i reati di aggiotaggio, fraudolenta certificazione di bilanci e ostacolo alle funzioni di vigilanza).
Cassazione penale sez. V, 09 luglio 2010 n. 37298.
Non sussiste il concorso formale dei reati di bancarotta fraudolenta ed appropriazione indebita (nella specie con riferimento a beni oggetto di locazione finanziaria), quando oltre ad esservi perfetta identità della cosa su cui si sono concentrate le rispettive attività criminose e simultaneità delle attività stesse, unica risulti la destinazione data dal soggetto attivo ai beni da lui appresi indebitamente, in quanto la condotta dell’apprensione di beni di cui il fallito abbia la disponibilità, pur essendo astrattamente riconducibile alle due distinte ipotesi delittuose in questione, ricade sotto la previsione dell’art. 84 c.p., con la conseguenza che il reato meno grave di appropriazione indebita è assorbito da quello di bancarotta fraudolenta.
Cassazione penale sez. un. 28 giugno 2005 n. 34655.
In tema di divieto di un secondo giudizio, le situazioni di litispendenza che non trovino soluzione nell’ambito dei conflitti positivi di competenza di cui all’art. 28 c.p.p. devono essere risolte dichiarando nel secondo processo, pur in mancanza di una sentenza irrevocabile, l’impromovibilità dell’azione penale in virtù della preclusione fondata sul principio generale del “ne bis in idem”, sempre che i due processi abbiano ad oggetto il medesimo fatto attribuito alla stessa persona, siano stati instaurati ad iniziativa dello stesso ufficio del p.m. e siano devoluti, anche se in fasi o in gradi diversi, alla cognizione di giudici della stessa sede giudiziaria.