Art. 2 Dlgs. 74/2000: l’onere della prova a carico dell’Erario vale solo in sede tributaria e non salva il contribuente dalla condanna per la dichiarazione fraudolenta.

Con la sentenza n. 30874/2018, depositata il 09.07.2018 la Corte di Cassazione, III Sezione Penale, è tornata a pronunciarsi in materia penale-tributaria sulla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74/2000, con un interessante obiter dictum in punto di utilizzabilità delle presunzioni tributarie nell’ambito del processo penale per la prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Il caso e lo svolgimento del processo

L’imputato è stato tratto a giudizio quale firmatario delle dichiarazioni di una s.r.l. con l’accusa di avere indicato elementi passivi fittizi al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di una pluralità di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti tutte emesse da altra s.r.l..

In particolare, con riferimento al periodo di imposta 2011, si contesta all’imputato di avere indicato elementi fittizi pari, nella dichiarazione iva, a Euro 828.347,24 e, nella dichiarazione concernente l’imposta sui redditi, a Euro 3.972.846,76; quanto al periodo di imposta 2012, gli elementi passivi indicati ammontavano, nella dichiarazione iva, a 141.258,73 e, nella dichiarazione afferente l’imposta sui redditi, a Euro 704.228,73.

Il G.U.P. del Tribunale di Milano all’esito del giudizio abbreviato ha condannato l’imputato alla pena di 2 anni e 2 mesi di reclusione per le predette contestazioni, entrambe relative al reato di cui all’art. 2 del d. lgs. 74/2000.

La Corte di appello di Milano investita dell’impugnazione confermava la decisione di primo grado.

Avverso il provvedimento della Corte territoriale la difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando diversi motivi di impugnazione.

Per quanto di interesse per il presente commento vi è da segnalare che il ricorrente ha censurato la sussistenza  dell’elemento soggettivo del reato, adducendo che gli argomenti da cui il G.U.P. (poi validati dalla Corte distrettuale) aveva tratto la prova del dolo di evasione, ovvero gli stretti collegamenti tra le società coinvolte nell’operazione illecita, non erano sufficienti ad integrare la componente psicologica del delitto in contestazione,  potendo al più ravvisarsi un dolo di consentire a terzi l’evasione ma non già un dolo di evasione in capo all’imputato.

La decisione della Cassazione e il punto di diritto

La Suprema Corte giudica il ricorso infondato e rigetta le doglianze del ricorrente.

In relazione allo specifico motivo di ricorso che in questa sede interessa sulla componente soggettiva del reato ed i rapporti con il processo tributario la Corte richiamando un precedente arresto giurisprudenziale, ha statuito quanto segue: “Con riferimento all’elemento soggettivo del reato, la giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 19012 del 11/02/2015, Rv. 263745) ha infatti affermato che, nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, il dolo è ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l’iva versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima (in motivazione, la Corte ha precisato che il principio di diritto tributario, per il quale incombe sull’Erario l’onere di provare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento della detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, non può essere automaticamente trasposto in sede penale, attesa l’autonomia fra i relativi procedimenti, donde è esclusivamente al giudice penale che, sulla base degli elementi di fatto oggetto di libera valutazione ai fini probatori, compete accertare la configurabilità di eventuali illeciti penali). I giudici di merito hanno fatto buon governo di questo indirizzo ermeneutico, desumendo la consapevolezza dell’imputato degli intenti fraudolenti di (omissis), titolare delle società cartiere, dal ritrovamento presso la figlia della compagna di (omissis), (omissis), di una serie di documentazione comprovante l’esistenza di accordi tra le due società, tra cui una dichiarazione di compensazione e due cessioni di credito a favore di due società riconducibili a (omissis), una per 6 milioni di euro, l’altra per 86.000 euro, atti questi rispetto ai quali non è stata fornito alcun adeguato chiarimento da parte dell’imputato e che, alla luce dell’inesistenza di valide ragioni commerciali, sono stati spiegati nell’ottica di una cosciente compartecipazione da parte di (omissis), ben al di là del perimetro della colpa, alle dinamiche illecite perseguite da (omissis). Il giudizio espresso nelle sentenze di merito, in quanto ancorato alle risultanze investigative, disponibili e scevro da elementi di irrazionalità, non appare censurabile in questa sede”.

Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti:

Cassazione penale, sez. fer., 31/08/2017,  n. 47603

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile anche nel caso in cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da terzi, poiché la “ratio” del reato di frode fiscale risiede nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti al fine di abbattere l’imponibile, e non presuppone il concorso del terzo.

Cassazione penale, sez. III, 09/06/2017, n. 39541.

Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche l’inesistenza soggettiva.

Cassazione penale, sez. III, 21/04/2017, n. 34534.

Ai fini della configurabilità del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti, quando risulti provata dalla pubblica accusa la fittizietà dell’intestazione delle fatture, è onere del soggetto emittente dimostrare la corrispondenza fra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale tali rapporti sono attestati. (Nella specie, la Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto sprovvista di prova la mera allegazione difensiva circa l’esistenza di una delegazione di pagamento intercorsa fra l’intestatario delle fatture di vendita di alcune autovetture ed i diversi soggetti che avevano versato il relativo prezzo).

Cassazione penale, sez. III, 19/01/2017, n. 24307.

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Cassazione penale, sez. III, 30/11/2016, n. 14815.

Risponde di concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. n. 74 del 2000) il soggetto che, d’intesa con gli autori delle dichiarazioni, fornisca ai medesimi, nell’ambito dell’attività di “esperto contabile” prestata in loro favore, le fatture per operazioni inesistenti all’uopo fatte predisporre da terzi.

Cassazione penale, sez. III, 19/05/2016, n. 7941.

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 d.Lg. n. 74/2000, è integrati dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall’inserimento nella dichiarazione di imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità.