Annullata la sentenza assolutoria se il giudice del merito non ha valutato la colpa dell’anestesista tra decreto Balduzzi e legge Gelli-Bianco.
Con la sentenza n.33405/2018, depositata il 18 luglio 2018, la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di responsabilità penale dei professionisti sanitari ed ha fornito interessanti spunti di riflessione in tema di colpa medica, segnatamente con riferimento all’incidenza della intervenuta successione delle leggi sulla regiudicanda.
Il caso clinico e lo svolgimento del processo.
All’imputato è stato contestato il reato di cui all’art. 589 c.p. perché, in qualità di medico anestesista, in cooperazione con altri medici di un ospedale pediatrico, nel cercare ripetutamente di incannulare le vene del collo del paziente, perforava la cupola pleurica, così provocando un sanguinamento che determinava il decesso del bambino sottoposto all’operazione.
Il giudice di primo grado condannava il prevenuto per il reato lui ascritto; viceversa, la Corte di Appello di Bari ha riformato tale pronuncia di condanna, ritenendo non sussistente il fatto di rteato addebitato al sanitario.
Avverso quest’ultima sentenza hanno interposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte distrettuale e le parti civili, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, in riferimento agli esiti della consulenza autoptica ed alle altre prove assunte nel giudizio di primo grado.
La decisione della Cassazione e il punto di diritto.
La Suprema Corte ha giudicato fondati i ricorsi e le relative censure denuncianti vizio dell’apparato logico-giuridico riscontrabile nella trama della sentenza resa in grado di appello.
La Corte di legittimità, in via di mera premessa in fatto, ha ripercorso il ragionamento del giudice del gravame, il quale ha ritenuto di dover escludere la colpa professionale sulla base delle risultanze delle relazioni peritali che hanno evidenziato come l’emotorace, causa della morte, possa verificarsi occasionalmente per cause non sempre attribuibili ad errori tecnici verificatisi nel corso della procedura di cannulamento venoso centrale e che non sussistono linee-guida che indichino il numero massimo di tentativi di cannulazione percutanea della vena giugulare, nel caso di specie tentato per sette volte.
La Corte, per lo scrutinio che gli compete, ha stigmatizzato l’evidente vizio di motivazione della sentenza impugnata dal PG e dalle parti civili, costituito dall’omesso esame del tema di diritto intertemporale afferente l’individuazione della normativa più favorevole da applicare alla fattispecie in esame, essendosi nel corso del processo ed a far data dal 2007 (epoca di consumazione del reato) ben due interventi legislativi (legge Balduzzi e legge Gelli-Bianco).
La individuazione della normativa più favorevole doveva costituire il primo passaggio dell’iter logico – giuridico che avrebbe dovuto seguire la Corte territoriale per poi sussumere la condotta concreta nel relativo paradigma per trarne un giudizio in ordine alla responsabilità penale.
Premesso quanto sopra, osserva la Corte, che entrambe le normative menzionate risultano essere più favorevoli rispetto alla disciplina ordinaria della responsabilità penale colposa in vigore nel 2007, in quanto sia il decreto Balduzzi che la legge Gelli-Bianco prevedono delle limitazioni di responsabilità del medico, mentre nell’originario impianto normativo precedente al 2012 la imputazione soggettiva dell’evento seguiva i criteri di individuazione della colpa ai sensi e per gli effetti dell’art. 43 cod. pen.
La S.C. proseguendo nell’analisi dei rapporti tra i mutati assetti normativi osserva che l’operatività dell’art. 590 sexies c.p. e la relativa esenzione di responsabilità penale del medico introdotta dalla Gelli-Bianco è subordinata, dato il tenore letterale della disposizione, all’emanazione di linee-guida nelle forme previste dall’art. 5 della l. 24/2017 e che, seguendo l’impostazione dettata dalle Sezioni Unite (sentenza Mariotti, n. 29 del 21.12.2017), la normativa fissata dal decreto Balduzzi è da ritenere più favorevole rispetto a quella introdotta con la Gelli-Bianco, sia in relazione a quelle condotte connotate da negligenza o imprudenza per colpa lieve non più scriminate dalla successiva legge, sia per l’ipotesi di imperizia nella scelta delle linee-guida dovuta anche a colpa lieve, mentre le due normative si equivalgono (fissando entrambe l’esenzione di responsabilità) nel caso di errore determinato da colpa lieve nella fase attuativa e di esecuzione dei precetti dettati dalle linee-guida, se correttamente selezionate.
Il tema dei profili di diritto intertemporale è stato ritenuto totalmente pretermesso nella motivazione della sentenza di primo grado che avrebbe dovuto esaminare i profili di analisi critica della condotta del sanitario secondo il percorso tracciato dalla Corte di legittimità: “La regiudicanda in esame richiede dunque che si stabilisca: se l’atto medico sub iudice costituisse, all’epoca in cui è stata posta in essere la condotta, oggetto di linee-guida; cosa queste ultime prescrivessero, con particolare riguardo ai pazienti dell’età e delle condizioni fisiche della vittima; in mancanza, se vi fossero, al riguardo, buone pratiche clinico assistenziali; se l’imputata si sia determinata sulla base di linee guida o di buone pratiche clinico-assistenziali adeguate al caso concreto; nell’affermativa, se la (omissis) si sia attenuta ad esse o meno; se sia configurabile, nel suo operato una colpa; se quest’ultima sia da considerare lieve o grave”.
A parere della Suprema corte regolatrice, quindi, la mancata risposta da parte della Corte di Appello di Bari ai suddetti quesiti si è riflessa in un vizio di palese carenza di motivazione che, come tale, ha giustificato il giudizio rescindente conseguente l’annullamento.
Inoltre la Suprema corte ha ritenuto di dover annullare la sentenza anche per l’ulteriore vizio di motivazione insito nella contraddizione logico-giuridica intrinseca nel percorso argomentativo seguito dal giudice dell’appello che è pervenuto ad una decisione ampiamente liberatoria, malgrado quanto riportato in motivazione, di seguito riportato:
“È poi contraddittorio affermare, da un lato, che non è certo possano ravvisarsi profili di colpa, a titolo di imperizia, a carico della (omissis) e, dall’altro, che la lesione delle cupole pleuriche che ha cagionato l’emotorace rientra statisticamente fra le complicanze fatali più frequenti: proprio per questa ragione, infatti, la possibilità di produrre la predetta lesione avrebbe dovuto essere ben nota al medico, il quale avrebbe, quindi, dovuto prevederla ed utilizzare ogni cautela per evitarla”.
La Corte di cassazione per le ragioni sopra riportate, rilevando la intervenuta prescrizione del reato, ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio agli effetti penali, annullandola anche agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per il proseguo del giudizio sull’azione civile fatta salva dall’annullamento della pronuncia assolutoria.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di responsabilità penale del medico anestesista:
Cassazione penale, sez. IV, 02/12/2016, n. 3312
È configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta (nella fattispecie, relativa a responsabilità professionale di un medico anestesista, la Corte ha annullato la sentenza di condanna ritenendo non approfondito il tema dell’interruzione del nesso causale tra l’errore omissivo addebitato all’imputato e il decesso del paziente, in presenza del comportamento parimenti colposo di altro medico anestesista, successivamente intervenuto, che in concreto aveva eseguito la manovra di intubazione risultata poi letale, tale da assumere decisivo rilievo eziologico e, comunque, tale da interrompere il nesso causale fra la condotta dell’imputato e l’evento mortale).
Cassazione penale, sez. IV, 05/05/2015, n. 33329
In tema di concorso di cause l’operatività del disposto di cui all’art. 41, comma 3, c.p. (secondo cui “le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”), può riconoscersi, sulla base della c.d. “teoria del rischio”, quando il rischio creato dalla condotta originariamente posta in essere dal primo soggetto agente (e nel quale vanno ricompresi anche gli eventuali effetti lesivi già prodottisi), possa dirsi interamente soppiantato dal maggior rischio derivante dalla condotta successivamente posta in essere da altro soggetto. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di merito con la quale, in un caso di colpa medica, era stato ritenuto che la condotta gravemente colposa posta in essere, nella fase di preparazione di un intervento chirurgico, dal medico anestesista e dalla quale era derivata, come conseguenza diretta, la morte del paziente, non fosse idonea ad interrompere il nesso di causalità rispetto alla condotta colposa posta precedentemente in essere da altri sanitari e consistita nella mancata effettuazione degli opportuni approfondimenti strumentali volti alla esatta individuazione ed al monitoraggio della patologia da cui il paziente era affetto).
Cassazione penale, sez. IV, 23/10/2014, n. 1832
In tema di colpa medica, il medico chirurgo operatore è titolare di un’ampia posizione di garanzia nei confronti del paziente, in virtù della quale egli è tenuto a concordare con l’anestesista il percorso anestesiologico da seguire – avute presenti anche le condizioni di salute del paziente e le possibili implicazioni operatorie legate ad esse – nonché a vigilare sulla presenza in sala operatoria del medesimo anestesista, deputato al controllo dei parametri vitali del paziente per tutta la durata dell’operazione.
Cassazione penale, sez. VI, 03/06/2014, n. 38354
Risponde del delitto di rifiuto di atti d’ufficio il medico anestesista che, subito dopo l’esecuzione di un intervento chirurgico di adenotonsillectomia, si sia allontanato senza attendere il regolare risveglio del paziente, senza accertarsi delle sue condizioni, senza lasciar detto dove andava e dove poter essere rintracciato, rendendosi irreperibile e irraggiungibile per oltre quaranta minuti, pur nella consapevolezza di aver lasciato senza la doverosa e cogente assistenza un paziente appena operato, nei fatti quindi rifiutando un atto del suo ufficio che doveva essere compiuto senza ritardo per ragioni di sanità.
Cassazione penale, sez. IV, 15/12/2011, n. 33615
Al chirurgo compete la verifica delle condizioni di adeguata preparazione anestesiologica del paziente, nel complesso delle valutazioni da compiersi in vista dell’esecuzione dell’intervento. Sicché, l’apposizione di un sondino naso-gastrico – quale presidio terapeutico indispensabile -, l’omesso differimento dell’intervento chirurgico e la mancanza di altri accorgimenti atti ad evitare l’ingestione di materiale gastro-enterico determinano la responsabilità del chirurgo per omissione, anche per le attività più propriamente riconducibili alle competenze del medico anestesista (nella specie, una donna ricoverata per dolori addominali e quindi sottoposta agli esami diagnostici del caso era stata sottoposto ad un intervento chirurgico d’urgenza; nel corso degli atti preliminari dell’intervento, però, la paziente, che era soggetta a rigetto di succhi gastrici, era stata colta da più attacchi di vomito, che avevano causato problemi respiratori fino al decesso della donna).
Cassazione penale, sez. IV, 21/12/2004, n. 10212
In tema di responsabilità per colpa medica, sussiste rapporto di causalità tra la condotta e l’evento allorquando la condotta colposa contestata costituisca di per sè, in termini di “alto grado di credibilità razionale”, “condicio sine qua non” del verificarsi dell’evento che, con l’adozione di tecniche consigliate dalla letteratura medica, non si sarebbe verificato. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità per omicidio colposo del medico anestesista che, nella fase preparatoria di un intervento chirurgico, aveva omesso di intervenire tempestivamente procedendo ad intubazione del paziente).
Cassazione penale, sez. IV, 05/07/2004, n. 41674
È immune da vizi logici la motivazione della sentenza con cui il giudice di merito ha ritenuto il medico-anestesista responsabile di omicidio colposo per aver somministrato ad un paziente, che risultava allergico alla penicillina, un farmaco anestetico (trachium) ad alto rischio di reazioni allergiche, provocandogli così uno shock anafilattico, in conseguenza del quale, nel tentativo di fronteggiare le difficoltà respiratorie insorte, provocava un pneumotorace iperteso, non diagnosticato perché non veniva eseguita alcuna radiografia al torace, con conseguente omissione di manovre terapeutiche utili per salvare la vita del paziente, che decedeva.
Cassazione penale, sez. IV, 17/09/2002, n. 22341
Nel reato colposo omissivo, l’accertamento scientificamente e giuridicamente corretto del rapporto di causalità tra la condotta e l’evento da parte del giudice è, complessivamente, un accertamento con alto grado di probabilità, giacché il giudice si sofferma su una sola condizione dell’evento, e cioè sulla condotta umana, non essendo in grado, sul piano scientifico, di ricostruire l’intero meccanismo di produzione dell’evento. Mentre il rapporto tra la condizione-condotta che il giudice conosce e l’evento deve essere accertato con certezza, con quella certezza che è consentita, allo stato, dalla ricerca. (Fattispecie nella quale si è ritenuta la responsabilità per omicidio colposo del medico anestesista che aveva omesso di trattenere in osservazione un paziente operato di appendicectomia il cui risveglio dalla narcosi non aveva avuto fin dall’inizio corso regolare, disponendone il trasferimento nel reparto di degenza e così cagionandone la morte che si sarebbe potuta evitare, con alto grado di probabilità, mediante tempestivo intervento diagnostico e terapeutico).
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