Sussiste responsabilità penale per il consulente fiscale che utilizza fraudolentemente lo strumento della compensazione fiscale a vantaggio dei propri clienti.
Con la interessante sentenza n.37094/2018, depositata il 01.08.2018 la Corte di Cassazione, III Sezione Penale, si è pronunciata sulla configurabilità del reato di indebita compensazione fiscale p. e p. dall’art.10 quater Dlgs.74/2000 per una fattispecie che coinvolgente la responsabilità del consulente fiscale che si interpone nella operazione fraudolenta consistita nella compensazione di crediti tributari inesistenti realizzata mediante la trasmissione telematica di modelli F/24.
L’operazione illecita consisteva nel risparmio di imposta realizzato da imprese domiciliate presso la società di consulenza fiscale posto in essere mediante operazione di accollo di debito fiscale riferito a terzi soggetti.
Per quanto di interesse, in riferimento alla natura della norma incriminatrice ed agli elementi costituitivi della fattispecie, si riporta la motivazione della sentenza resa sul punto di diritto:
“….occorre preliminarmente ricordare che, introdotta dall’art. 35, comma 7, del D.L. n. 223 del 4 luglio 2006 (convertito con L. 4 agosto 2006, n. 248), la fattispecie prevista dall’art. 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000, secondo quanto indicato dalla stessa relazione governativa al decreto- legge, è diretta a reprimere non tanto le condotte evasive realizzate nella fase di presentazione delle dichiarazioni tributarie, quanto piuttosto i comportamenti rientranti nel pernicioso fenomeno della cd. evasione da riscossione, alla cui repressione sono finalizzate le fattispecie contigue, ma differenti dal punto di vista strutturale e funzionale, previste dagli artt. 10-bis e ter dello stesso d.lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento delle ritenute certificate e dell’Iva dovuta). E non a caso, nella sua originaria formulazione, l’art. 10-quater prevedeva l’equiparazione, dal punto di vista sanzionatorio, con quelle due fattispecie. Con il diffondersi dello strumento del pagamento unificato di cui all’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, introdotto per agevolare il contribuente consentendogli di effettuare non soltanto un unico pagamento dei debiti assunti anche con enti diversi dall’Erario (quali, ad esempio, l’Inps, l’Inail ecc.), ma anche la compensazione di tali debiti con i crediti vantati nei confronti di diversi soggetti pubblici. Tuttavia, a seguito del reiterato manifestarsi, nel tempo, delle condotte illecite dei contribuenti realizzate con lo strumento della compensazione, il legislatore ha introdotto il citato l’art. 10-quater, congegnando una fattispecie consistente, nella sua originaria formulazione, nella punizione del soggetto che non versasse le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti o inesistenti. Tale configurazione è stata, poi, modificata, con il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, nel senso della introduzione di soglie di punibilità, individuate in un importo annuo superiore a cinquantamila euro, nonché di differenti trattamenti sanzionatori a seconda che la compensazione abbia interessato crediti “non spettanti” ovvero “inesistenti”; modifica che, però, non ha inciso sulla presente vicenda. Tale fattispecie si configura come reato a condotta mista, caratterizzata, da un lato, da una condotta di tipo commissivo, consistente nell’invio di un modello F24 contenente l’indicazione della illecita compensazione (cfr. Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, dep. 14/04/2015, Chiarolla, Rv. 263051, relativo ad una fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato in quanto l’imputato non aveva compilato alcun modello F24 in cui avrebbe dovuto indicare il credito, inesistente o non spettante, da portare in compensazione); e, dall’altro lato, dalla condotta omissiva, realizzata contestualmente alla prima, consistente nel mancato conferimento della delega per il pagamento delle somme dovute, ove superiori alla ricordata soglia. Il reato in questione, come anticipato, è posto a tutela dell’interesse pubblico alla tempestiva ed efficace riscossione delle imposte, dei contributi e degli altri crediti riferibili alla pubblica amministrazione, interessati dal meccanismo di auto-liquidazione realizzato in sede di pagamento unificato (ex plurimis Sez. 3, n. 42462 del 11/11/2010, dep. 30/11/2010, Ragosta e altri, Rv. 248754, secondo cui il reato è configurabile sia nel caso di compensazione verticale, ossia riguardante crediti e debiti afferenti la medesima imposta, sia in caso di compensazione orizzontale, ossia riguardante crediti e debiti di imposta di natura diversa). Ne consegue, dunque, che attraverso tale fattispecie non viene sanzionato il mero inadempimento dell’obbligo di pagamento, come avviene nel caso previsto dagli artt. 10-bis e 10-ter, quanto piuttosto l’omesso versamento realizzatosi a mezzo di una indebita compensazione, ovvero di uno strumento assai più insidioso, in quanto di non immediata percezione per l’Erario, il quale potrà avvedersi del vulnus recato dalla condotta illecita soltanto quando abbia verificato l’insussistenza (ovvero la non spettanza) del credito posto in compensazione, all’esito di una non semplice istruttoria (consistente nella individuazione di coloro i quali abbiano utilizzato, in maniera significativa, la compensazione in maniera non marginale, nella successiva attività ispettiva finalizzata alla verifica delle tracce documentali;dell’esistenza e della spettanza del credito compensato)”
Nel novero dei soggetti attivi dal reato la Suprema Corte fa rientrare anche il debitore accollante che proceda alla realizzazione di operazioni di compensazione di crediti inesistenti realizzata mediante la trasmissione telematica degli F/24
“Alla luce delle considerazioni che precedono, va affrontata la prima questione posta dalla difesa del ricorrente: ovvero la possibilità che il soggetto attivo del delitto in contestazione vada necessariamente identificato nel “contribuente”, ovvero nell’originario debitore tributario. Tale soluzione ermeneutica parrebbe doversi imporre in considerazione del meccanismo della compensazione delineato dall’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, a mente del quale “i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle Regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”: Tuttavia, tale opzione interpretativa va armonizzata, da un lato, con quanto stabilito dall’art. 8, comma 2, della legge n. 212 del 2000 (cd. Statuto del Contribuente), secondo cui “è ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario”; norma che, ad onta del rinvio operato dallo stesso art. 8 alla disciplina regolamentare delle relative disposizioni di attuazione, è stata ritenuta applicabile, dal giudice di legittimità, anche in assenza di un intervento attuativo da parte dell’amministrazione finanziaria, secondo i principi generali civilistici in materia di compensazione (Cass. civ., Sez. 5, n. 22872 del 25/10/2006, Rv. 595451 – 01), con conseguente affermarsi, nella realtà economica, dell’accollo di debiti tributari e della compensazione operata dall’accollante, attraverso la semplice trasmissione telematica del modello F24, recante l’indicazione del debitore soggetto passivo quale intestatario e l’accollante come soggetto che procede alla compensazione. E, dall’altro lato, dalla formulazione aperta dello stesso art. 10-quater, che individua la categoria di soggetti attivi alla stregua della configurabilità di una situazione debitoria che li legittimi alla realizzazione di operazioni con l’uso di modelli F24, per mezzo dei quali operare la compensazione ovvero la delega di pagamento. Nel caso di specie, invero, tale posizione soggettiva doveva pacificamente riconoscersi anche in capo al coobbligato, ovvero ad un soggetto che, sia pure in virtù di un accordo tra privati, aveva assunto un obbligo di adempimento non soltanto nei confronti dell’originario debitore tributario accollato, ma anche nei confronti della stessa amministrazione creditrice. Ciò è risultato, pacificamente, dall’accertamento in fatto compiuto dal tribunale del riesame, il quale ha richiamato, come sopra ricordato, la concreta configurazione degli F24, i quali prevedevano la specificazione, in apposite caselle, di tale qualità del dichiarante e la classificazione della relativa operazione alla stregua di speciali codici identificativi. Prova troppo, invero, l’affermazione difensiva secondo cui, accedendo alla tesi qui accolta, si arriverebbe al paradosso che egli non possa accedere al beneficio previsto dall’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 anche quando il contribuente originario abbia pagato integralmente il debito tributario, posto che in realtà, in una siffatta evenienza, non potrebbe in ogni caso procedersi alla misura ablativa, pena una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa. Consegue alle osservazioni fin qui svolte che in assenza, quantomeno alla data odierna, di una regolamentazione che inibisca il ricorso alla compensazione di crediti da parte del coobbligato in virtù di un accollo tributario, deve certamente ritenersi riconducibile al novero dei soggetti attivi del delitto contestato anche il debitore accollante che proceda alla realizzazione, attraverso i menzionati modelli F24, di operazioni di compensazione di crediti inesistenti”.
Oltre ai segnalati passi della motivazione la lettura della sentenza è anche nei passaggi motivazionali relativi al mancato accoglimento delle censure afferenti i denunciati vizi di violazione di legge e carenza di motivazione dell’ordinanza emessa dal Tribunale cautelare di Milano (che aveva accolto l’appello del PM proposto contro il provvedimento di mancata emissione della misura custodiale da parte del Gip) in tema di gravi indizi di colpevolezza, esigenze cautelari, adeguatezza e proporzionalità della misura.
Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di art.10 quater Dlgs.74/2000:
Cassazione penale sez. III 14 novembre 2017 n. 1999
In tema di reati tributari, integra il delitto di indebita compensazione di cui all’ art. 10-quater del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito di accollo fiscale compiuto attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale, in quanto l’ art. 17 del d.lgs 9 luglio 1997 n. 241 non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti del rapporto d’imposta.
Cassazione penale sez. III 04 febbraio 2016 n. 7557
L’art. 10-quater del d.lg. n. 74 del 2000 è riferibile anche alle compensazioni riguardanti crediti previdenziali. Tra la fattispecie di compensazione illecita di cui all’art. 10-quater d.lg. n. 74 del 2000 e quella di truffa aggravata ai danni dello Stato esiste un rapporto di specialità, essendovi nella norma tributaria di parte speciale un elemento specializzante, che si individua nella natura dell’artificio consistente nella compensazione mediante crediti inesistenti o non dovuti e nella individuazione del soggetto passivo attraverso il rinvio recettizio ai soggetti creditori indicati nell’art. 17 d.lg. n. 241 del 1997.
Cassazione penale sez. III 22 gennaio 2015 n. 48211
In tema di indebita compensazione, non può ritenersi sussistente l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 10 quater d.lg n. 74 del 2000 (dolo generico) nel mero accertamento della condotta del contribuente che si limiti alla mancata vigilanza sull’operato del commercialista (che sarebbe incorso in un errore contabile) e non presti attenzione all’anomalo accrescimento del volume di affari, che lo avrebbe dovuto indurre a ritenere che tale evento era imputabile solo a quella erronea compensazione.
Cassazione penale sez. III 21 gennaio 2015 n. 5177
Integra il reato di indebita compensazione ex art. 10 quater d.lg. n. 74 del 2000, e non quello di truffa aggravata, il comportamento fraudolento di porre in compensazione, ex art. 17 d.lg. n. 241 del 1997, partite debitorie in favore dell’lnps con crediti inesistenti, sussistendo tra le fattispecie un rapporto di specialità unilaterale.
Cassazione penale sez. III 16 gennaio 2015 n. 15236
In tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiede, sotto il profilo oggettivo, che il mancato versamento di imposta risulti formalmente “giustificato” da una illegittima compensazione, ex art. 17 D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, operata tra le somme spettanti all’erario e i crediti vantati dal contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato in quanto l’imputato non aveva compilato alcun mod. F24 in cui avrebbe dovuto indicare il credito, inesistente o non spettante, da portare in compensazione).
Cassazione penale sez. III 08 maggio 2014 n. 30267
In materia di reati tributari, non è applicabile il principio di specialità di cui all’art. 19 d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, tra il delitto di indebita compensazione, previsto dall’art. 10 quater del decreto medesimo e l’illecito amministrativo introdotto dall’art. 27 comma 18 d.l. 29 novembre 2008 n. 185 (conv. con modif. in l. 28 gennaio 2009 n. 2), che punisce l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute, in quanto la fattispecie penale ha riguardo alla condotta, diversa ed ulteriore, consistente nell’omesso versamento dell’imposta dovuta.
Cassazione penale sez. III 14 dicembre 2011 n. 7662
Il reato di indebita compensazione di crediti tributari di cui all’art. 10 quater del d.lg. n. 74 del 2000 ha natura speciale rispetto al reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto che la condotta di indebita compensazione posta in essere anteriormente all’entrata in vigore del d.lg. n. 74 del 2000 fosse già prevista dalla legge come reato, ricadendo nella sfera di applicazione dell’art. 316 ter c.p.).
© RIPRODUZIONE RISERVATA