Responsabilità amministrativa degli Enti e provvedimenti cautelari reali: per la Cassazione il sequestro impeditivo si applica anche alle ipotesi di reato previste dal Dlgs. 231/2001.
Si segnala la recente sentenza di legittimità n.34293/2018, depositata in data 20 luglio, per l’interessante pronuncia in tema di responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. n. 231/2001 segnatamente per quanto concerne la misura cautelare del c.d. sequestro “impeditivo”.
Il fatto di reato, il decreto di sequestro ed il procedimento cautelare.
Il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Trani ordinava il sequestro preventivo di tre impianti fotovoltaici, della somma di € 7.907.245,44 nella disponibilità dei tre indagati e di una s.r.l. e delle ulteriori somme non ancora percepite dalla società e, in subordine, in caso di mancato reperimento di beni da aggredire con il sequestro diretto, eseguire il provvedimento ablatorio nelle forme del sequestro per equivalente in ordine al reato di truffa aggravata per l’ottenimento di erogazioni pubbliche ex art. 640 bis cod. pen..
Segnatamente, dalla lettura della sentenza in commento, si ricava che l’incolpazione provvisoria che ha attinto i giudicabili contesta loro di aver indebitamente percepito erogazioni pubbliche attraverso l’artificiosa creazione di tre serre fotovoltaiche, in realtà solo apparentemente dedicate a coltivazione agricola e a floricoltura, con correlativa induzione in errore del Ministero per lo Sviluppo Economico per il tramite del Gestore dei Servizi Economici (GSE), onde fa conseguire alla società l’ingiusto profitto del beneficio i tariffe incentivanti per un importo pari ad €7.134.326,38 e di €772.919,06 a titolo di ritiro dedicato (RID).
Proposta istanza di riesame, il Tribunale cautelare di Trani rigettava l’interposta impugnazione.
Contro l’ordinanza reiettiva la società sottoposta ad indagine ex artt. 5/1 lett. a) e 24 Dlgs n. 231/2001 – ha proposto ricorso per cassazione deducendo l’inammissibilità del sequestro c.d. impeditivo nei confronti dell’ente.
La decisione della Cassazione e il punto di diritto.
Per quanto di interesse per il presente commento, si segnala che la difesa della s.r.l. destinataria del provvedimento di sequestro ha dedotto, tra gli altri motivi di ricorso, l’inammissibilità del sequestro preventivo (c.d. impeditivo) di cui all’art. 321, comma 1, c.p.p. nei confronti degli enti sulla base di quanto previsto dalla lettera della disposizione dell’art. 53 del d.lgs. n. 231/2001, che richiama l’art.321 limitatamente ai commi 3, 3 bis e 3 ter, escludendo il riferimento al comma primo, censurandone, altresì, l’applicabilità al caso di specie anche a livello sistematico, considerato che le finalità precauzionali nei confronti di una persona fisica sarebbero del tutto estranee all’Ente per il quale il codice avrebbe previsto il sequestro solo funzionale alla successiva confisca, anche perché, ha osservato la difesa dell’Ente, se così non fosse si verrebbe a creare una sovrapposizione tra il sequestro impeditivo e l’interdizione dell’attività.
Per i giudici di legittimità la censura è infondata per le ragioni di seguito indicate.
“La legge n. 231/2001 prevede un complesso sistema di repressione degli illeciti commessi dall’ente, basato sulle sanzioni amministrative indicate nell’art. 9 che vengono applicate all’esito del processo che si concluda con la condanna dell’ente (art. 69). Non potendosi tuttavia, attendere sempre l’esito definitivo del processo, il legislatore ha previsto che, nel corso delle indagini o durante lo stesso processo (art. 47), all’ente si possano applicare delle misure cautelari (…).
Il sistema delle misure cautelari (art. 45) si basa, da una parte, sulle sanzioni interdittive di cui all’art. 9/2, e, dall’altra, sul sequestro preventivo (art. 53) e sul sequestro conservativo (art. 54).L’art. 53/1 dispone «1. Il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell’articolo 19. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 321, commi 3, 3-bis e 3-ter, 322, 322-bis e 323 del codice di procedura penale, in quanto applicabili». Il suddetto articolo, prevede testualmente che, nei confronti degli enti, si possa applicare il solo sequestro (del prezzo o del profitto del reato) a fini di confisca di cui all’art. 321/2 cod. proc. pen. Quindi, il sequestro preventivo di cui all’art. 53 non coincide con quello previsto nell’art. 321 cod. proc. pen. non solo perché non è previsto il sequestro impeditivo di cui al primo comma, ma anche perché il sequestro a fini di confisca non ha l’ampia latitudine di quello previsto dall’art. 321/2 cod. proc. pen. (“il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca”) essendo ristretto e limitato, in virtù del rinvio all’art. 19, al solo prezzo o profitto del reato (…)”.
Tuttavia, la Corte rileva che il sequestro impeditivo ha una finalità differente dalle misure interdittive e dunque un autonomo ambito applicativo rispetto a queste.
“Il sequestro impeditivo, ha, quindi, una finalità che la misura interdittiva non ha: impedire l’utilizzo di singoli beni ed evitare, sottraendoli alla disponibilità dell’ente, che possano continuare – nonostante la misura interdittiva – quantomeno ad “agevolare la commissione di altri reati” con conseguente pericolo per la collettività”.
Pertanto, i Giudici di legittimità, così concludono:
“A livello sistematico, l’applicazione del sequestro impeditivo si può, innanzitutto, giustificare laddove si tenga presente che si tratta di un istituto generale (in quanto previsto nel cod. proc. pen.) che non trova ostacolo di natura logica-giuridica, per quanto si è ampiamente illustrato, ad essere applicato anche agli enti (…).
A livello letterale, la norma che consente di applicare il sequestro impeditivo anche agli enti, va rinvenuta nell’amplissimo disposto dell’art. 34 a norma del quale «per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato si osservano [….] in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271».
D’altra parte, non appare superfluo evidenziare che solo un’interpretazione costituzionalmente orientata – come quella alla quale si ritiene di dover pervenire – può fugare i dubbi di costituzionalità che sorgerebbero laddove si volesse teorizzare per l’ente un regime privilegiato rispetto a quello generale previsto dal codice di rito e, quindi, privare la collettività di un formidabile ed agile strumento di tutela finalizzato ad eliminare dalla circolazione beni criminogeni. Ovviamente, nulla vieta, come pure è stato proposto in dottrina, di disporre il sequestro impeditivo nei confronti della persona fisica indagata o imputata che utilizzi il bene “criminogeno” di proprietà dell’ente che, quindi, sia pure in modo indiretto, ne verrebbe privato: ma si tratta di una possibilità che va ritenuta aggiuntiva o alternativa ma non sostitutiva.
Il che significa, in ultima analisi che, oltre all’espressa e speciale ipotesi prevista dall’art. 53, del sequestro preventivo del prezzo o del profitto del reato, nei confronti dell’ente deve ritenersi ammissibile (in virtù del rinvio alle disposizioni del cod. proc. pen. “in quanto compatibili”) anche la normativa generale del sequestro preventivo di cui all’art. 321/1 cod. proc. pen., spettando al Pubblico Ministero individuare, di volta in volta, quello più funzionale all’esigenza cautelare che intenda conseguire”.
Ulteriore passaggio motivazionale rilevante è quello relativo al quantumsequestrabile.
La Corte, nel trattare il suddetto profilo, preliminarmente si rifà a quanto stabilito dalle Sezioni Unite, 26 giugno 2015 n. 31617 secondo cui: «in tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, il profitto del reato oggetto della confisca diretta di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 231 del 2001 si identifica non soltanto con i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche con ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa»
Venendo, poi, al caso di specie, per risolvere la questione dell’ammontare del profitto sequestrabile, i giudici riportano la nota distinzione – come ricostruita dalle SS.UU. – tra “reato contratto” e “reato in contratto”.
“In quest’ultima categoria rientra proprio la truffa, relativamente alla quale le SSUU cit.(sez. un. 27 marzo 2008 n. 26654, ndr) hanno chiarito «che non integra un “reato contratto”, considerato che il legislatore penale non stigmatizza la stipulazione contrattuale, ma esclusivamente il comportamento tenuto, nel corso delle trattative o della fase esecutiva, da una parte in danno dell’altra”.Trattasi, quindi, di un “reato in contratto” e, in questa ipotesi, il soggetto danneggiato, in base alla disciplina generale del codice civile, può mantenere in vita il contratto, ove questo, per scelta di carattere soggettivo o personale, sia a lui in qualche modo favorevole e ne tragga comunque un utile, che va ad incidere inevitabilmente sull’entità del profitto illecito tratto dall’autore del reato e quindi dall’ente di riferimento. (…)
Quindi, in sostanza, ove ci si trovi di fronte ad un reato in contratto, il profitto (confiscabile) dev’essere commisurato alla differenza fra l’intero valore del contratto e l’utilità effettivamente conseguita dalla controparte, ossia calcolato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato dal reato: ex plurimis Cass. 20506/2009 rv. 243198; Cass. 8339/2014 rv. 258787; Cass. 53430/2014 rv. 261841; Cass. 9988/2015 rv. 262794; Cass.23013/2016 rv. 267065”.
Per i motivi suesposti la Corte ritiene errata la conclusione alla quale è pervenuto il Tribunale che ha ritenuto confiscabile l’intera somma percepita dalla ricorrente a titolo di RID: in realtà, il GSE ha comunque commercializzato l’energia cedutale dalla società ricorrente, ricavandone, quindi, un guadagno. Di conseguenza, per stabilire l’entità del profitto confiscabile occorre calcolare l’effettiva utilità conseguita dal ricorrente. Pertanto, la Corte annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla somma sequestrata di € 772.919,06 con rinvio al Tribunale del riesame di Trani per il ricalcolo del profitto confiscabile.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di sequestro disposto nei confronti degli enti:
Cassazione penale sez. II 28 marzo 2018 n. 23896
In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, laddove il reato presupposto sia integrato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, l’eventuale utilità conseguita dal danneggiato a fronte dell’esecuzione – da parte dell’ente – di prestazioni contrattuali dovute non può essere considerata ‘profitto confiscabile’ e, conseguentemente, non concorre alla quantificazione del valore oggetto di ablazione.
Cassazione penale sez. IV 24 gennaio 2018 n. 10418
In caso di reati tributari commessi dall’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
Cassazione penale sez. III 12 luglio 2017 n. 45552
In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una società, può essere disposto il sequestro preventivo per equivalente sui beni della persona fisica laddove il profitto non risulti nella disponibilità dell’ente (nella specie, la situazione di oggettiva illiquidità della società risultava da una comunicazione dell’Agenzia delle Entrate relativa alla decadenza della persona giuridica dalla rateizzazione del debito tributario a causa del pagamento di una sola rata).
Cassazione penale sez. un. 26 giugno 2015 n. 31617
Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito.
Cassazione penale sez. II 29 maggio 2013 n. 35813
In tema di responsabilità da reato degli enti, il decreto di sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato presupposto non deve contenere l’indicazione specifica dei beni che devono essere sottoposti a vincolo, potendo procedere alla loro individuazione anche la polizia giudiziaria in sede di esecuzione del provvedimento, ma deve indicare la somma sino a concorrenza della quale il sequestro deve essere eseguito.
Cassazione penale sez. VI 17 giugno 2010 n. 35748
In tema di responsabilità delle persone giuridiche, per profitto derivante da reato, suscettibile di sequestro preventivo ai sensi degli art. 19 e 53 d.lg. n. 231 del 2001 funzionale alla confisca, si intende il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato, concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente. Il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche crediti vantati dalla persona giuridica nei confronti dell’ente, purché questi siano certi, liquidi ed esigibili e costituiscano effettivamente il profitto del reato presupposto. Il perimetro della cautela reale è segnato, infatti, dagli stessi limiti riconosciuti dalla legge per il provvedimento definitivo di ablazione.
Cassazione penale sez. un. 27 marzo 2008 n. 26654
Nel procedimento per l’accertamento dell’illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, è ammissibile sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, dei beni riferibili a un indagato per l’intero importo relativo al profitto del reato anche in presenza di una pluralità di concorrenti, siano essi persone fisiche o enti, qualora la misura della quota di profitto attribuibile a ciascuno non sia individuata o chiaramente individuabile, purché non si realizzino duplicazioni e nel rispetto dei canoni di solidarietà interna tra i concorrenti (nella specie, la Corte ha confermato il provvedimento cautelare nella parte in cui aveva disposto il sequestro per l’intero del profitto dell’illecito amministrativo nei confronti di tutti gli indagati, appartenenti a un’associazione temporanea di imprese).
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