Anche il trasferimento di immobile al coniuge dedotto nell’accordo di separazione personale omologata può configurare il reato di cui all’art. 11 D.lgs. 74/2000.
La Corte di Cassazione con la sentenza n.ro 38684/2018 – depositata il 21.08.2018, si è espressa favorevolmente in ordine alla possibilità di definire con richiesta di applicazione pena il giudizio penale incardinato per i reati di omesso versamento delle ricevute certificate, omesso versamento Iva ed indebita compensazione.
Il caso di specie ed il processo di merito.
Il caso scrutinato dalla Suprema Corte riguardava il reato di omesso versamento dell’Iva (art. 10 ter D.lgs74/2000) pari ad €441.012,00 contestato al legale rappresentante di una società a responsabilità limitata; il contribuente aveva definito il relativo processo penale con richiesta di applicazione pena applicata dal Tribunale di Livorno
Contro la sentenza di primo grado proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Firenze che, con unico motivo, ha sostenuto l’illegalità della pena inflitta ai sensi dell’art. 13 D.lgs74/2000 che subordinerebbe la possibilità di accedere al rito alternativo al pagamento integrale del debito tributario in ordine al quale nulla avrebbe disposto la sentenza impugnata.
L’esito del giudizio di legittimità ed il principio di diritto.
La Suprema Corte, ha ritenuto inammissibile il ricorso perché interposto al di fuori degli stretti presupposti previsti dall’art. 448 c.p.p ed interpretando sistematicamente il D.lgs 74/2000, come novellato dal D.lgs 158/2015, ha ritenuto legittima la definizione del giudizio penale con “patteggiamento” con ampia ed interessante motivazione che di seguito si riporta: “L’art. 13 bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art.12 del d.lgs. n. 158 del 2015, prevede che, per i delitti dello stesso decreto, l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. possa essere chiesta dalle parti “solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2”. A propria volta, il comma 1, richiamato espressamente dal suddetto comma 2, prevede che, sempre per i delitti dello stesso decreto, fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto siano diminuite fino alla metà e non si applichino le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”. Sicché, in altri termini, in forza del combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 13 bis cit., condizione per l’applicazione della pena apparentemente per tutti delitti tributari contemplati dal d. Igs. n. 74 del 2000 verrebbe ad essere rappresentata dall’intervenuto integrale pagamento del debito, delle sanzioni e degli interessi nonché dal ravvedimento operoso. Tale è infatti l’assunto del ricorrente che, includendo nella lettera apparentemente generalizzata della norma anche l’implicito riferimento al reato di cui all’art. 10 ter cit., invoca l’illegittimità del rito speciale praticato nel giudizio de quo, stante l’indimostrata presenza dei presupposti richiesti dalla disposizione. Una siffatta lettura (come del resto già segnalato nella relazione dell’Ufficio del Massimario all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015) appare tuttavia contraddetta dalla coesistenza, all’interno dello stesso decreto, dell’art. 13, comma 1 (non a caso espressamente richiamato dalla parte finale del comma 2 dell’art. 13 bis) che, all’evidente fine di restringere il proprio ambito di applicabilità, prevede che i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, non siano punibili se “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso”. Proprio tale coesistenza significa infatti (pena, diversamente ragionando, una insanabile contraddizione interna del sistema) che, rappresentando il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento (ovvero entro lo stesso termine ultimo previsto per richiedere il rito speciale), in via radicale e pregiudiziale, causa di non punibilità dei reati ex artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo, per queste stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili. Sicché, in altri termini, o l’imputato provvede, entro l’apertura del dibattimento, al pagamento del debito, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l’applicazione della pena per i medesimi reati; e tale alternativa è, a ben vedere, implicitamente condensata nella clausola di salvezza contenuta, come appena detto sopra, nella parte finale dell’art. 13 bis laddove in particolare lo stesso richiama il contenuto dell’art. 13 comma 1 cit.. Ne consegue come nessuna illegalità della pena, presupposto per la stessa ammissibilità del ricorso, sia ravvisabile nella specie”.
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