Omesso versamento dell’Iva: la cassazione conferma l’orientamento rigoroso sulla prova liberatoria a carico del contribuente.
La III Sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente in materia tributaria, relativamente al reato di omesso versamento dell’IVA, con la sentenza n. 38594/2018, depositata il 13.08.2018.
La pronuncia si pone nell’alveo di una sedimentata giurisprudenza di legittimità chiamata ad interpretare l’elemento soggettivo del reato in relazione al rapporto tra mercato, crisi di impresa e punibilità penale.
Il caso e lo svolgimento del processo.
L’imputato ricorre alla S.C. per l’annullamento della sentenza resa dalla Corte di appello di Trento che, in parziale riforma di quella di primo grado del Tribunale di Rovereto, impugnata da lui e dal pubblico ministero, lo ha assolto dal reato di cui all’art. 10-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, ha rideterminato nella misura di un anno, un mese e dieci giorni di reclusione la pena per il residuo reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento della somma di 2.114.417 euro dovuta a titolo di imposta sul valore aggiunto per l’anno 2011), ha ordinato la confisca dei beni mobili ed immobili e dei crediti dell’imputato per un valore corrispondente all’importo evaso, ha disposto la pubblicazione della sentenza e ha confermato nel resto la sentenza del giudice di prime cure.
Tra i motivi del ricorso, per quanto di interesse per il presente commento, la difesa del ricorrente deduce la materiale impossibilità di far fronte al pagamento dell’imposta a causa delle difficoltà economiche nelle quali versava la società rappresentata, eccependo, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea interpretazione degli artt. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 e 42 cod. pen., e vizio di motivazione mancante in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
La decisione della Cassazione e il punto di diritto.
La Corte di legittimità giudica il ricorso infondato e pertanto lo rigetta.
Relativamente al profilo della crisi di impresa, assunta dal ricorrente quale elemento idoneo ad escludere la colpevolezza la Corte si pronuncia nei seguenti termini.
“Il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte;
la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto;
il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
Sviluppando e riprendendo il tema della -crisi di liquidità- d’impresa quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, tema solo accennato nella sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano comunque assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190)”.
Relativamente, poi, al profilo dell’elemento soggettivo del delitto de quo, la Corte riafferma quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità.
“Il dolo del reato in questione è integrato, dunque, dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato.
I1 reato di cui all’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 è unisussistente, di natura omissiva e istantanea. Il che significa che, ai fini dell’integrazione del reato, sono necessarie e sufficienti la coscienza e la volontà dell’azione che devono sussistere nel momento esatto in cui matura il tempo (lungo) dell’obbligazione tributaria, non un attimo prima, non un attimo dopo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263126).
Questa Corte ha da tempo affermato il principio secondo il quale la coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta non è una componente del dolo, per la cui sussistenza è necessario soltanto che l’agente abbia la coscienza e volontà di commettere una determinata azione. D’altra parte, essendo la conoscenza della legge penale presunta dall’art. 5 cod. pen., quando l’agente abbia posto in essere coscientemente e con volontà libera un fatto vietato dalla legge penale, il dolo deve essere ritenuto sussistente, senza che sia necessaria la consapevolezza dell’agente di compiere un’azione illegittima o antisociale sia nel senso di consapevolezza della contrarietà alla legge penale sia nel senso di contrarietà con i fini della comunità organizzata (Sez. 1, n. 15885 del 01/03/2007, Re, Rv. 236432; Sez. 1, n. 9691 del 17/06/1992, Toia, Rv. 191874).
Nel caso di specie, la consapevolezza di ledere o comunque pregiudicare gli interessi dell’Erario non è nemmeno posta in discussione. In ogni caso, si tratta di aspetto ben diverso, come detto, dalla specifica intenzione di evadere l’imposta, requisito esplicitamente preteso, invece, ai fini della integrazione dei reati di cui agli artt. 2, 3, 4, 8, 10 e 11, d.lgs. n. 74 del 2000. Sicché, pretendere che la volontà dell’azione cosciente consista nell’intenzione di violare il precetto equivale ad attribuire al dolo generico un contenuto non necessario e non richiesto ai fini dell’integrazione del reato, per la cui consumazione, come detto, è necessario e sufficiente che il debitore di imposta ometta volontariamente il versamento dell’imposta nella consapevolezza della sussistenza dell’obbligo; la coscienza e la volontà dell’omissione devono sussistere al momento della scadenza del termine per l’adempimento.
In ultima analisi, la volontarietà dell’azione o dell’omissione, pretesa dall’art. 42, comma primo, cod. pen., quale requisito imprescindibile per la punibilità del suo autore, è cosa ben diversa dalla volontarietà dell’evento o dall’intenzione di violare il precetto, tant’è vero che anche la condotta colposa è (necessariamente) volontaria, benché non supportata dall’intenzione di cagionare l’evento o di ledere il bene giuridico”.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di elemento soggettivo nel reato di omesso versamento dell’IVA:
Cassazione penale sez. III 01 febbraio 2017 n. 15235
Il reato di omesso versamento i.v.a., previsto dall’art. 10 ter d.lg. n. 74 del 2000, è integrato, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, dal dolo generico, quale coscienza e volontà di non versare all’erario l’i.v.a. relativa al periodo considerato. In tale contesto, l’agente può invocare l’assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri probatori concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi di liquidità che ha investito l’azienda, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale.
Cassazione penale sez. III 05 novembre 2015 n. 3098
L’elemento soggettivo del reato di omesso versamento di IVA, previsto dall’art. 10-ter del d.lg. n. 74 del 2000, è il dolo generico, da estendersi anche alla consapevolezza del superamento della soglia di punibilità, individuata, a seguito delle modifiche apportate dal d.g. n. 158 del 2015, in 250.000 euro dalla disposizione incriminatrice.
Cassazione penale sez. III 23 settembre 2015 n. 45033
L’elemento soggettivo necessario ai fini della configurabilità dell’illecito di omesso versamento di Iva è il dolo generico, essendo sufficienti, ad integrare la fattispecie, la coscienza e la volontà di presentare una dichiarazione Iva, omettendo il versamento delle somme indicate nella stessa, entro il termine previsto. Determinante è la consapevolezza che l’imposta evasa supera la soglia di punibilità individuata dalla legge.
Cassazione penale sez. III 11 novembre 2014 n. 52039
Per la integrazione del reato di omesso versamenti Iva sotto l’aspetto dell’elemento soggettivo del reato è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario l’imposta dovuta, in quanto la prova del dolo è insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta e che deve, quindi, essere saldato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte.
Cassazione penale sez. III 24 giugno 2014 n. 8352
In tema omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico. (Fattispecie, nella quale la Corte ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità).
Cassazione penale sez. III 09 ottobre 2013 n. 5905
Può essere esclusa la colpevolezza dell’imprenditore che omette di versare le ritenute operate, se non dispone della provvista necessaria per aver utilizzato le sole risorse finanziarie disponibili per pagare gli stipendi ai dipendenti. In tale caso l’onere probatorio o meglio di allegazione della situazione di insolvenza incombe sull’imputato.
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