L’amministratore che subentra nella carica e non verifica la contabilità precedentemente prodotta dalla società risponde di omessa dichiarazione fiscale a titolo di dolo eventuale.
La III Sezione penale della Corte di Cassazione ha reso una interessante pronuncia (sentenza n.ro 39230/2018, depositata il 29.08.2018) in materia penale tributaria, affrontando, in particolare, il tema della responsabilità dell’amministratore di società di capitali.
Il caso e lo svolgimento del processo.
La Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecco, rideterminava la condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 5, d. lgs. n. 74 del 2000 (omessa dichiarazione), in 1 anno e 4 mesi di reclusione, riducendo la durata delle pene accessorie temporanee ex art. 12, d. lgs. n. 74 del 2000, in misura corrispondente a quella della pena principale, confermando pertanto, sul punto, la sentenza impugnata che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di omessa dichiarazione dei redditi IRES/IVA, nella qualità di amministratore e legale rappresentante di una s.r.l., relativamente all’anno di imposta 2011.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del ricorrente, deducendo che la motivazione della sentenza sarebbe censurabile laddove ha ritenuto sussistere il dolo specifico del reato di omessa dichiarazione. I giudici di merito, infatti, avrebbero trascurato, nel valutare gli elementi a sostegno della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, l’impossibilità per l’imputato di conoscere delle operazioni immobiliari poste in essere nel 2011 dal precedente socio ed amministratore.
La decisione della Cassazione e il punto di diritto.
La Corte giudica infondato il motivo dedotto dal ricorrente e pertanto rigetta il ricorso con le conseguenti statuizioni di legge.
Il giudice di legittimità condivide l’argomentazione proposta dai giudici di merito sulla sussistenza in capo all’imputato dell’elemento soggettivo del contestato reato di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali.
Particolarmente rilevante è la motivazione in punto di diritto, resa dalla S.C., relativamente al profilo della sussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000 nell’ipotesi di avvicendamento della carica di amministratore di società di capitali.
“Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in esame, la cui struttura materiale è rimasta immutata a seguito del d.lgs n. 158/2015, è necessaria, dunque, la rappresentazione e volizione della omessa dichiarazione e del superamento della soglia di punibilità e il dolo specifico di evasione in quanto il contribuente deve perseguire il “fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”.
Orbene, non possono esservi dubbi, da un lato, circa la rappresentazione e volizione della omessa dichiarazione, atteso che questi aveva già assunto la carica a far data dall’ottobre 2011 e l’obbligo dichiarativo correlato al periodo di imposta 2011 scadeva l’anno successivo, in particolare alla data del 29.12.2012, tenuto conto del termine di rilievo penale fissato in gg. 90 dopo la scadenza (30.09.2012). Di tale scadenza, all’evidenza, il ricorrente era perfettamente consapevole in quanto amministratore alla data della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione. Quanto, poi, alla prova del dolo specifico di evasione, convince la spiegazione fornita dalla Corte d’appello sul punto. Ed invero, è indubbio (come già affermato in altre circostanza da questa Corte, ad esempio in relazione al delitto di cui all’art. 10-ter, d. lgs. n. 74d del 2000: v., ad es. Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015 – dep. 18/08/2015, Alfieri, Rv. 264882), che il nuovo amministratore che subentra nella carica ha l’onere di verificare la contabilità, i bilanci e le ultime dichiarazioni dei redditi, perché qualora ciò non avvenga non solo sarà chiamato a rispondere del reato del mancato versamento delle imposte in precedenza non versate, ma anche del reato di omessa presentazione della dichiarazione fiscale, e, per l’assenza di tale preventivo controllo, deve ritenuto responsabile quantomeno a titolo di dolo eventuale. La responsabilità per i reati tributari è, di norma, attribuita all’amministratore pro-tempore, individuato secondo le norme civilistiche, che rappresenta e gestisce l’ente e, quindi, chi assume la carica di amministratore va ad accettare volontariamente anche le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Nel momento in cui si assume la rappresentanza legale di una società di capitali, è indispensabile che venga posta in essere un’attività ricognitiva finalizzata a rilevare almeno le più evidenti anomalie contabili e fiscali in modo da evitare, in futuro, contestazioni sull’operato altrui, ciò in particolar modo, per facili riscontri ictu oculi ovvero quelli per i quali un subentrante, con un minimo di diligenza, sia in condizione di poter facilmente verificare la sussistenza di omissioni quali, ad esempio, la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali per gli anni di imposta precedenti o la verifica dell’esistenza di redditi o operazioni imponibili.
Non può, peraltro, essere esclusa la configurabilità del dolo eventuale nell’ipotesi in cui un amministratore abbia consapevolmente omesso di esercitare i doveri impostigli dalla legge con la previsione della conseguente mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali nel termine di legge ed abbia accettato il rischio che, anche a causa della sua condotta omissiva, venisse integrato il delitto di cui all’art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000. Nel dolo eventuale, infatti, si considerano voluti non solo i risultati che l’agente abbia posto come fine ultimo dell’azione, ma anche quelli che sono previsti quale conseguenza del proprio comportamento. Ciò avviene non solo ogni qualvolta tali risultati appaiono certi, ma altresì quando appaiono probabili. E, nel caso di specie, non solo era probabile ma era assolutamente certo che la condotta dell’imputato (non potendo certo essere ritenuta scusabile per essersi limitato a chiedere, senza successo, al precedente amministratore, i documenti amministrativo-contabili, atteso che questi, a fronte dell’inerzia” del precedente amministratore, avrebbe potuto/dovuto presentare denuncia nei confronti dello stesso), avrebbe determinato la compiuta integrazione del delitto di cui all’art. 5 citato. Tale condotta, punibile a dolo eventuale, del resto appariva altresì sorretta dal “curriculum” penale del reo, che, avendo al suo attivo una serie di precedenti penali in tema di reato societari, denotava in sostanza particolare dimestichezza con la materia così sorreggendo la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato; trattasi di affermazione che si sottare a censura, atteso che la configurabilità del dolo in relazione a peculiari tipologie di reato (come ad esempio, i reati finanziari, tributari, societari e fallimentari) ben può essere desunta dai precedenti penali specifici, che costituiscono indice della proclività del reo alla violazione della norma penale speciale. La responsabilità penale, tuttavia, con particolare riferimento alla materia penal-tributaria, ovviamente, impone il ricorso a parametri valutativi diversi nel caso di eventuali contestazioni di reati dichiarativi che non si risolvano nell’omesso versamento di tributi o nell’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali (ad esempio, nel caso del pregresso utilizzo di fatture false), in quanto in tali casi l’illecito non è parimenti individuabile con la medesima immediatezza e, quindi, in tale caso per l’incriminazione dell’amministratore subentrante dovrà necessariamente provarsi, oltre ogni ragionevole dubbio, anche la sua conoscenza delle violazioni contabili e fiscali commesse in precedenza”.
I consigli del legale
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha riaffermato principi ritenuti pacifici nella corrente interpretazione della disciplina del reato di omessa dichiarazione (art. 5 D.lgs. n.74/2000).
La concreta applicazione di tali principi di diritto al soggetto che assume la carica di amministratore, anche nel caso in cui non abbia svolto alcun ruolo gestorio nell’arco temporale in cui si è prodotto il debito tributario, secondo quanto ampiamente riportato nella motivazione sopra trascritta, in punto di diritto conduce all’assunzione di una rilevante responsabilità in capo al neo amministratore sia di natura penale per le comminatorie di legge, sia di natura patrimoniale, avendone quest’ultimo accettato il rischio (dolo eventuale).
Il consiglio del legale, tenuto conto della crescente attenzione da parte degli Uffici giudiziari ai reati tributari cui è conseguito un sensibile incremento dei provvedimenti cautelari reali finalizzati alla confisca, si colloca, necessariamente, nella fase della consulenza preventiva rispetto alla accettazione della formale nomina dell’amministratore di talché, il soggetto che dovrà ricoprire la carica, prima di assumerla, dovrà verificare (come indicato dalla corte di legittimità regolatrice) contabilità e bilanci della società per rendersi conto della sussistenza di eventuali debiti fiscali (segnatamente Ires ed Iva) ed in caso positivo, nel suo interesse, avrà l’onere di verificare l’esistenza nelle casse della società della liquidità necessaria a farvi fronte, pena l’assunzione del rischio di essere imputato delle condotte penalmente rilevanti poste in essere dai precedenti amministratori e del sacrificio del patrimonio personale in caso divenga destinatario di un provvedimento di sequestro che, per esperienza dello scrivente, spesso porta al tracollo finanziario personale e familiare.
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Giurisprudenza rilevante in tema di responsabilità penale dell’amministratore (ovvero del liquidatore) che subentra nella gestione della società.
Cassazione penale sez. III, 23/06/2015, sent.za n. 30492.
In tema di reati tributari, il liquidatore di una società di capitali può rispondere, in relazione alle dichiarazioni annuali presentate dopo il suo insediamento, dei reati di cui agli artt. 2 e 4 del d.lg. 10 marzo 2000, n. 74, purché emergano elementi dai quali poter desumere quanto meno la sussistenza del dolo eventuale, e dunque la conoscenza o conoscibilità, attraverso una diligente verifica della contabilità e dei bilanci, della fittizietà delle poste e della falsità delle fatture inserite nella dichiarazione.
Cassazione penale sez. III, 24/06/2015, sent.za n.ro 34927.
Risponde del reato di omesso versamento di IVA (art. 10-ter, D.Lgs. 74 del 2000), quanto meno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.
Cassazione penale sez. III, 29/10/2014, sent.za n. 5921
In tema di omesso versamento di i.v.a., non risponde del reato di cui all’art. 10 ter d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, per difetto dell’elemento soggettivo, il liquidatore di società che, a fronte di istanza di fallimento già presentata anteriormente alla scadenza del termine per il pagamento dell’imposta, ometta di adempiere l’obbligazione tributaria nel legittimo convincimento, erroneo quanto alla circostanza fattuale del non ancora intervenuto fallimento, che il versamento violi la regola della “par condicio creditorum” di cui agli art. 51 e 52 l.fall. ed integri, a determinate condizioni, il reato di bancarotta preferenziale.
Cassazione penale sez. III, 04/06/2014, sen.za n. 38687
In tema di omesso versamento di i.v.a., il soggetto che subentri ad altri nella carica di liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, risponde del reato di cui all’art. 10 ter d.lg. n. 74 del 2000 quantomeno a titolo di dolo eventuale.
Cassazione penale sez. III, 09/10/2013, sent.za n. 3636.
In tema di omesso versamento dell’i.v.a. da parte di una società a responsabilità limitata, versa in dolo eventuale, e non in mera colpa, il soggetto che, subentrando ad altri dopo la dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, abbia acquistato le quote sociali e abbia assunto la carica di amministratore, senza compiere il previo controllo, di natura puramente documentale, sugli ultimi adempimenti fiscali. (In motivazione, la Corte ha escluso il carattere “colposo” dell’addebito, attesa la particolare semplicità delle verifiche che avrebbero consentito di appurare l’incombenza dell’obbligo tributario).
Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di omessa dichiarazione:
Cassazione penale sez. III 18 dicembre 2017 n. 21639
In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto di omessa presentazione di dichiarazione Iva ( art. 5 d.lgs.30 ottobre 2000 n. 74 del 2000), qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, nelle determinazione del debito imponibile il giudice penale deve accertare l’ammontare della imposta evasa tenendo conto di tutti gli elementi – costi, ricavi, proventi e oneri – che concorrono alla sua formazione.
Cassazione penale sez. III 23 novembre 2017 n. 7000
Nel delitto di omessa dichiarazione, previsto dall’ art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente.
Cassazione penale sez. III 07 novembre 2017 n. 20856
In tema di reati tributari, il reato di cui all’ art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , come modificato dal d.lgs.24 settembre 2015, n. 158 , è configurabile con la sola omissione della presentazione della dichiarazione, non essendo necessaria la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria.
Cassazione penale sez. III 29 marzo 2017 n. 37849
Deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (fattispecie relativa alla contestazione nei confronti di un medico del reato di cui all’art. 5, d.lg. n. 74 del 2000, perché quale soggetto residente in Italia ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 917/86, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte dovute).
Cassazione penale sez. III 06 dicembre 2016 n. 4516
In tema di reati tributari, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 5 d.lg. n. 74 del 2000, per “imposta evasa” deve intendersi l’intera imposta dovuta, da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario. In tale ottica, è il giudice penale che ha il compito di accertare l’ammontare dell’imposta evasa mediante una verifica che può sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, potendo comunque legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari.
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