Equipe medica e colpa penale: va condannato l’assistente che non segnala al chirurgo operante l’errore in sala operatoria.
Con la sentenza n. 39733/2018, depositata il 04.09.2018, la IV Sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di colpa medica e responsabilità d’équipe, in relazione all’ipotesi di grave errore nello svolgimento di intervento chirurgico.
Il caso clinico e l’imputazione penale.
La Corte di Appello di Genova ha confermato la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Savona nei confronti dell’imputato, medico-chirurgo, in ordine al delitto di lesioni colpose (590 cod. pen.).
Al predetto, in cooperazione colposa con il primo operatore, si contesta, nella sua qualità di secondo operatore, di avere provocato lesioni gravissime al paziente a seguito di intervento chirurgico eseguito erroneamente; ciò in quanto nel corso di intervento laparoscopico di rimozione di una cisti splenica, veniva erroneamente realizzata una nefrectomia con asportazione del rene sinistro in paziente monorene.
Il Collegio ha sottolineato che il profilo di colpa che si rinviene nella condotta dell’imputato è qualificabile come negligenza, per difetto di attenzione nella visione del campo operatorio. Ciò in quanto l’imputato non si accorse del fatto che il primo operatore stava asportando il rene, pur essendo deputato a visionare il campo operatorio mediante telecamera.
La decisione della Cassazione e il punto di diritto
La Corte di legittimità rigetta il ricorso, condividendo la motivazione della Corte territoriale:
“La Corte di Appello ha premesso che la tecnica laparoscopica utilizzata dagli operatori rendeva dirimente il corretto uso della telecamera, trattandosi dell’unico presidio che consentiva ai medici la visione del campo operatorio. (…) Tanto chiarito, il Collegio ha sottolineato che il profilo di colpa che si rinviene nella condotta dell’imputato è qualificabile come negligenza, per difetto di attenzione nella visione del campo operatorio, ovvero di imperizia, per incapacità di identificare il rene: ciò in quanto (omissis) non si accorse del fatto che il primo operatore stava procedendo alla asportazione del rene, anziché della cisti splenica. (…) In sentenza si rileva, in particolare: che tra i compiti del secondo chirurgo vi è proprio quello di facilitare la visione e l’esposizione delle strutture anatomiche; che il primario non praticò l’avulsione del rene improvvisamente; e che l’aiuto chirurgo doveva essere ritenuto responsabile dell’esito infausto dell’intervento, essendo venuto meno ai doveri di diligenza o perizia nello svolgimento delle mansioni affidategli. Sulla scorta di tali insindacabili rilievi, la Corte di Appello ha osservato che l’aiuto chirurgo (omissis) avrebbe dovuto segnalare quanto stava avvenendo. Al riguardo, il Collegio ha precisato che l’aiuto non doveva affatto sostituirsi al primario, ma garantire con la telecamera la visione del campo chirurgico, durante un accesso laparoscopico, come quello in esame. La Corte territoriale ha in particolare considerato che (omissis) ben avrebbe potuto accorgersi di quanto stava avvenendo, nel contesto fattuale sopra descritto; ed ha rilevato che, a fronte dell’errore evidente in cui stava incorrendo il primario, (omissis) aveva colposamente omesso di segnalare cosa stava realmente avvenendo, a causa della negligente disattenzione nella visione del campo operatorio ovvero per un elevato grado di imperizia, che gli aveva impedito di identificare il rene, quale reale organo obiettivo del primo operatore”.
In punto di diritto la Corte, poi, si sofferma sull’applicabilità della causa di non punibilità inerente lo svolgimento della professione sanitaria di cui all’art. 590-sexies c.p. al caso di specie.
“… nel caso in esame, i giudici di merito hanno accertato la ricorrenza di profili di colpa per negligenza a carico del secondo operatore dott. (omissis), come sopra si è ampiamente chiarito. Da tanto consegue l’inapplicabilità della novella alla fattispecie per cui è giudizio, che involge profili di colpa estranei dall’ambito applicativo della invocata causa di non punibilità, ex art. 590-sexies, cod. pen. Del resto, le Sezioni Unite hanno chiarito che l’art. 590-sexies cod. pen., prevede una causa di non punibilità applicabile ai fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse. Ai fini di interesse, si osserva in particolare che secondo diritto vivente la suddetta causa di non punibilità non è applicabile ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né in ipotesi di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse(Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 22/02/2018, Mariotti, Rv. 27217401). Conclusivamente sul punto, si osserva che la causa di non punibilità introdotta dall’art. 590-sexies, cod,. pen., di cui la difesa lamenta la mancata applicazione da parte della Corte territoriale, non risulta applicabile al caso di specie per plurime ragioni. Da un lato, sono stati accertati a carico dell’imputato (omissis) profili di colpa per negligenza esecutiva, per disattenzione nell’assolvimento dei compiti assegnati, in seno all’equipe chirurgica, evenienza di per sé ostativa all’operatività del nuovo istituto. Dall’altro, la Corte di Appello ha evidenziato che il grado della colpa doveva ritenersi elevato, circostanza che, come detto, esclude del pari l’operatività della richiamata causa di non punibilità”.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di cooperazione tra medici e attività d’équipe:
Cassazione civile sez. III 29 gennaio 2018 n. 2060
Nel caso di erronea esecuzione di intervento chirurgico, il secondo aiuto di una equipe medica non può andare esente da ogni responsabilità solo per aver compiuto correttamente le mansioni a lui direttamente affidate, proprio per il principio del controllo reciproco che esiste in relazione al lavoro in équipe, secondo il quale l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali: rientra infatti negli obblighi di diligenza che gravano su ciascun componente di una equipe chirurgica, sia esso in posizione sovra o sottordinata, quello di prendere visione, prima dell’operazione, della cartella clinica del paziente contenente tutti i dati atti a consentirgli di verificare, tra l’altro, se la scelta di intervenire chirurgicamente fosse corretta e fosse compatibile con le condizioni di salute del paziente.
Cassazione penale sez. IV 23 gennaio 2018 n. 22007
L’equipe medica deve essere considerata come un’entità unica e compatta e non come una collettività di professionisti in cui ciascuno si limita ad eseguire i propri compiti, sicché ogni medico dell’equipe dovrà, oltre a rispettare le leges artis della propria sfera di competenza, verificare che gli altri colleghi abbiano eseguito correttamente la propria opera. Detto controllo dovrà esercitarsi anche sugli errori altrui, evidenti e non settoriali, tali da poter essere rilevati con l’ausilio delle conoscenze del professionista medio.
Cassazione penale sez. IV 21 dicembre 2017 n. 2354
In applicazione del principio di affidamento, per individuare la responsabilità penale del singolo sanitario che presta il proprio intervento in equipe medica, è necessario verificare l’incidenza avuta dalla sua condotta nella causazione dell’evento lesivo.
Cassazione penale sez. IV 13 dicembre 2017 n. 7667
In tema di colpa medica, deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del medico – ginecologo per il decesso di una paziente a seguito di emorragia conseguente a intervento di parto cesareo, per aver omesso di valutare e contrastare, nonostante la assoluta gravità delle condizioni in cui versava la persona offesa, la decisione del collega più anziano di non procedere ad intervento di isterectomia).
Cassazione penale sez. IV 25 maggio 2016 n. 34503
Con riferimento all’attività medico chirurgica di equipe, al dovere del chirurgo capo dell’equipe di controllo del conteggio dello strumentario operato dal collaboratore si accompagna l’obbligo di diligenza nel controllo del campo operatorio, onde prevenire la derelizione in esso di cose facenti parti di quello strumentario. La diligenza esigibile nell’esecuzione di tali compiti da parte del chirurgo capo va valutata alla luce delle particolari condizioni operative.
Cassazione penale sez. IV 15 maggio 2014 n. 35953
In tema di colpa medica, deve considerarsi negligente il comportamento del chirurgo il quale, in ragione della sola maggiore anzianità di servizio di altro medico componente la medesima equipe, si fidi acriticamente delle scelte operate da quest’ultimo, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità.
Cassazione penale sez. IV 11 ottobre 2012 n. 44830
In tema di responsabilità medica in équipe, il capo-équipe e il direttore di reparto, nonché secondo chirurgo, rispondono del decesso di un paziente, avvenuto nella fase post-operatoria, per non aver adeguatamente organizzato misure adeguate per fronteggiare eventuali rischi respiratori. È responsabile, inoltre, anche l’anestesista-rianimatore in virtù del suo ruolo e delle sue specifiche competenze. In ogni caso, in presenza di un rischio grave, evidente e macroscopico, afferente le competenze professionali proprie di ciascun medico, rispondono tutti i componenti dell’equipe, a prescindere dalle specifiche competenze di ognuno.
Cassazione penale sez. IV 15 dicembre 2011 n. 33615
Anche al chirurgo incombe la verifica delle condizioni dell’adeguata preparazione anestesiologica del paziente ai fini dell’esecuzione dell’intervento, fermo l’obbligo, in caso contrario, alla stregua del corretto svolgimento dell’attività medico-chirurgico in équipe, di procrastinarlo o comunque di soprassedere dallo stesso. (Nella specie, relativa a condanna per il reato di omicidio colposo, è stato rigettato il ricorso anche del medico chirurgo cui era stato addebitata, unitamente all’anestesista, la morte di una paziente deceduta dopo il tentativo di sottoporla a intervento chirurgico, evidenziandosi che la diagnosi di occlusione intestinale avrebbe dovuto imporre l’apposizione alla paziente, prima dell’operazione, del sondino naso-gastrico quale ineludibile presidio terapeutico idoneo a evitare l’ingestione nelle vie aeree di materiale gastrico al momento dell’anestesia: evenienza poi verificatasi e risultata tale da avere determinato la morte).
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