La Cassazione enuncia i principi di diritto, funzione e limiti della disciplina della responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. n. 231/2001.
La Corte di Cassazione – Sezione VI penale, con la sentenza n. 39914/2018, depositata 04.09.2018 – ha fornito importanti precisazioni ed utili indicazioni agli operatori del diritto ed alle figure apicali delle persone giuridiche che, in adempimento agli obblighi di legge, devono occuparsi della predisposizione di modelli organizzativi per la prevenzione dei reati da cui discende la responsabilità amministrativa degli enti ex d.lgs. n. 231/2001.
Di seguito si riporta il passaggio della motivazione qui di interesse:
“In via preliminare, mette conto di rammentare brevemente come, con il d.lgs 8 giugno 2001, n. 231, il legislatore abbia introdotto nel nostro ordinamento processuale un sistema punitivo della responsabilità da reato a carico delle persone giuridiche con un’impronta prettamente preventiva, là dove ha prescelto sanzioni e misure cautelari volte, più che a sanzionare, a prevenire per il futuro la commissione dei reati attraverso la strutturazione regolativa dell’organizzazione capace di autocontrollarsi. La responsabilità degli enti non è ravvisabile in ordine a tutti i reati previsti dal codice penale e dalle leggi speciali, ma si correla alle specifiche fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 24 e seguenti dello stesso decreto (la cui rosa è stata ampliata nel tempo). Secondo il chiaro disposto dell’art. 5 del decreto, ai fini della responsabilità della persona giuridica che il reato-presupposto sia stato commesso “nel suo interesse o a suo vantaggio” da uno dei soggetti previsti dalla lettera a) della stessa norma, cioè in posizione apicale, ovvero da una persona sottoposta alla direzione o alla vigilanza di una persona in posizione apicale (lett. b). L’ente non è, tuttavia, responsabile se dette persone hanno agito “nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”. La persona giuridica è inoltre esente da responsabilità nei casi di cui agli artt. 6 e 7 del decreto, cioè in situazioni nelle quali – semplificando – niente sia ad essa rimproverabile in termini gestionali, organizzativi e/o preventivi.
Due sono le tipologie di sanzioni applicabili alle persone giuridiche: le sanzioni pecuniariee le sanzioni interdittive. Secondo l’espressa previsione dell’art. 10, comma 1, del decreto, per l’illecito amministrativo dipendente da reato è sempre applicata la sanzione pecuniaria, mentre l’applicazione delle sanzioni interdittive postula requisiti più rigorosi e può, pertanto, essere disposta in casi più circoscritti. La sanzione pecuniaria è determinata in un numero di quote (non inferiore a 100 e non superiore a 1000 ex art. 10, comma 2), il cui valore deve essere determinato dal giudice, nell’ambito della forbice edittale stabilita dal legislatore (da un minimo di 358 ad un massimo di 1.549 euro), alla luce del suo prudente apprezzamento. A tale fine, il giudice deve tenere conto dei criteri definiti dall’art. 11, e cioè della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente, dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti nonché delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione.
L’art. 12 prevede ipotesi specifiche nelle quali la sanzione pecuniaria può essere ridotta, sostanzianti elementi circostanziali specifici della responsabilità dell’ente. In particolare, la sanzione è ridotta qualora: 1) l’autore del reato abbia commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente abbia ricavato nessun vantaggio o un vantaggio minimo (comma 1 lett. a);2) il danno patrimoniale sia di particolare tenuità (comma 1 lett. b); 3) l’ente abbia risarcito il danno o eliminato le conseguente dannose o pericolose o si sia efficacemente adoperato in tale senso (comma 2 lett. a); 4) l’ente abbia adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione di reati della stessa specie (comma 2 lett. b). La circostanza attenuante si correla, per talune ipotesi, ad istituti tradizionali del diritto penale classico per la responsabilità delle persone fisiche, riportabili alla circostanza attenuante del lucro e del danno di lieve entità (art. 62, n. 4, cod. pen.), ovvero all’attenuante del risarcimento del danno (art. 62, n. 6, cod. pen.); per altre ipotesi, all’adozione di misure tese a prevenire la nuova commissione dei reati-presupposto, in linea con la connotazione non soltanto punitiva, ma anche special-preventiva del sistema sanzionatorio in materia.
Le sanzioni interdittive elencate all’art. 9, comma 2, del decreto (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca di provvedimenti autorizzativi, divieto di contrattare con la P.A., esclusione o revoca di finanziamenti o agevolazioni, divieto di pubblicizzare beni o servizi) comportano l’applicazione di provvedimenti direttamente incidenti sull’attività dell’ente, con conseguenze più o meno invasive e penalizzanti della relativa operatività. Proprio perché estremamente “impattanti”, là dove condizionano direttamente la vita, il funzionamento e la gestione della persona giuridica, sono soggette a requisiti di applicabilità più rigorosi delle sanzioni pecuniarie. In particolare, secondo quanto dispone l’art. 13 d.lgs n. 231 del 2001, ai fini dell’applicazione di una sanzione interdittiva è necessario: a) che si tratti di un illecito amministrativo che consenta espressamente l’adozione di siffatta tipologia di sanzione; b) che l’ente abbia tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato-presupposto sia stato commesso da soggetti qualificati, in posizione apicale o da soggetti sottoposti all’altrui direzione in caso di gravi carenze organizzative ovvero – in alternativa – che vi sia reiterazione degli illeciti; c) che non ricorrano le condizioni di cui all’art. 12, comma 1, cioè che non si tratti di reato-presupposto commesso dall’agente nel prevalente interesse proprio o di terzi e che l’ente abbia ricavato nessun vantaggio ovvero un vantaggio minimo ovvero che il danno patrimoniale sia di particolare tenuità; d) che non ricorrano le condizioni di cui all’art. 17, cioè che l’ente, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, abbia dato corso alle condotte riparatorie e/o risarcitorie previste dalla norma”.
*****
Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di responsabilità amministrativa ex d.lgs. n. 231/2001:
Cassazione penale, sez. VI, 25/07/2017, n. 49056.
La natura unipersonale della Srl non salva dall’applicazione della norma sulla responsabilità da reato dell’ente. Lo afferma la Cassazione chiarendo che il Dlgs 231/2001 si applica anche in tal caso, in quanto la società, anche se unipersonale, è soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote. Per la Corte, una lettura corretta delle disposizioni in materia di responsabilità delle imprese, impone, infatti, di escludere che il legislatore abbia scelto un criterio di imputazione di “rimbalzo” dell’ente rispetto alla persona fisica.
Cassazione penale, sez. VI, 22/06/2017, n. 41768.
L’illecito amministrativo non si estingue quando il reato presupposto si è prescritto dopo la contestazione dell’addebito all’ente. L’estinzione del reato infatti non impedisce al Pm di proseguire l’azione se il procedimento nei riguardi dell’ente fosse già stato incardinato (articolo 16, del Cpp; articoli 11 e 36, del Dlgs 231/2001).
Cassazione penale, sez. VI, 12/02/2016, n. 11442.
In tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001 – che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configurando un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza – grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Cassazione penale, sez. VI, 09/02/2016, n. 12653.
In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 prevede che il fatto, in grado di consentire l’addebito a carico dell’ente, sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni apicali ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale. I due criteri di imputazione sono alternativi o concomitanti: quello costituito dall’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn).
Cassazione penale, sez. VI, 10/11/2015, n. 28299.
In tema di responsabilità da reato degli enti, nella ipotesi di mancata identificazione dell’autore del reato presupposto, può essere affermata la responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n.231 del 2001, solo quando sia, comunque, individuabile a quale categoria, tra quelle indicate, agli artt. 6 e 7 del medesimo decreto, appartenga l’autore del fatto, e sia, altresì, possibile escludere che questi abbia agito nel suo esclusivo interesse.
Cassazione penale, sez. VI, 23/07/2012, n. 30085.
La normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi.
Cassazione penale, sez. V, 26/09/2012, n. 44824.
Il fallimento della società non è equiparabile alla morte del reo e quindi non determina l’estinzione della sanzione amministrativa prevista dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.
©RIPRODUZIONE RISERVATA