Rifiuto di atti d’ufficio per l’operatore del 118 che non si adegua ai protocolli di servizio per la gestione delle richieste d’emergenza.

La Corte di Cassazione – Sezione VI penale con la sentenza n. 40799/2018, depositata il 13.09.2018, ha affrontato il tema della responsabilità dell’operatore 118 imputato per il reato di rifiuto di atti d’ufficio (in ambito sanitario), fornendo importanti chiarimenti in ordine all’accertamento della natura indebita del rifiuto.

All’imputata, nella qualità di incaricato di pubblico servizio in quanto operatore della Centrale operativa del 118, veniva contestato di aver indebitamente rifiutato un atto del suo ufficio che per ragioni di sanità doveva essere compiuto senza ritardo. In particolare, le veniva addebitato  di avere violato, nel corso di tre conversazioni telefoniche intercorse nel giro di pochi minuti, le regole di condotta previste nelle Linee Guida – protocolli e procedure di servizio S.U.E.S. 118 Sicilia, non raccogliendo i dati necessari e sufficienti stabiliti dal protocollo operativo e non procedendo alla cosiddetta “intervista”, i cui contenuti sono elencati nelle suddette linee-guida, e di non aver attribuito un codice di criticità/gravità adeguato alla richiesta di intervento.

Il Collegio di legittimità ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputata confermando la interpretazione giuridica posta a sostegno della condanna riportata dalla giudicabile nel doppio grado di merito sulla scorta del seguente apparato argomentativo:

“… va osservato che il rifiuto di atti professionali, dovuti – come nel caso in esame – per ragioni sanitarie, deve essere verificato avendo riguardo alla sua natura di delitto doloso, ossia con riferimento alla consapevolezza del contegno omissivo, senza tracimare in violazioni sulla colpa professionale sanitaria, che esula dalla struttura psicologica del reato (Sez. 6, n. 1602 del 6/12/95, Rv. 204468). Orbene, nella fattispecie in esame i giudici del gravame, in sintonia con gli enunciati principi hanno correttamente esaminato e valutato le emergenze processuali alla stregua dei rilievi e delle censure formulate nell’atto di appello e sono pervenuti alla conferma del giudizio di colpevolezza con puntuale e adeguato apparato argomentativo, ritenendo anzitutto estraneo al giudizio sulla condotta dell’imputata la circostanza che il tempestivo intervento dell’autoambulanza non avrebbe salvato la vita di (omissis), deceduto poco dopo l’arrivo in ospedale, trattandosi di profilo rilevante per la sussistenza del diverso (ed eventualmente concorrente) delitto di omicidio colposo. La sentenza impugnata giustifica inoltre puntualmente la ritenuta sussistenza nel caso di specie della connotazione indebita, tanto sotto il profilo oggettivo che soggettivo, attribuibile al rifiuto, là dove indica che la ricorrente non ha esercitato malamente una discrezionalità tecnica, ciò che avrebbe potuto ricondurre la valutazione dell’elemento psicologico della condotta all’ambito della colpa professionale sanitaria, ma si è al contrario semplicemente, consapevolmente e reiteratamente sottratta alla valutazione dell’urgenza dell’atto d’ufficio, peraltro del tutto evidente fin dalla prima chiamata dei familiari del (omissis) (Sezione 6, n. 39745 del 27/09/2012, Rv. 253547), come fatto palese nella specie dall’ostinata mancanza del mirato approfondimento telefonico imposto dalle pertinenti linee-guida e dal meccanico, reiterato ed assolutamente inappropriato invito di rivolgersi alla guardia medica, risultando peraltro smentita la carenza di ambulanze disponibili opposta dalla stessa ricorrente alla seconda e terza chiamata (pp. 8-9). Il Collegio osserva al riguardo che in ogni caso per individuare il carattere indebito del rifiuto è nei poteri del giudice di merito controllare la discrezionalità tecnica da parte del sanitario (Sez. 6, n. 35526 del 06/07/2011, Rv. 250876), con la possibilità di concludere che essa trasmoda in arbitrio, ove, come nella vicenda in esame, il relativo esercizio non risulta sorretto da un minimo di ragionevolezza ricavabile dal contesto e dai protocolli vigenti per il servizio 118, sicché congruamente giustificata risulta nella sentenza impugnata la volontarietà ed irragionevolezza dell’accertato rifiuto della prestazione doverosa (Sez. 6, n. 6475 del 04/03/1983, Rv. 159898)”.

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Riferimenti normativi

Articolo 328 c.p. Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblicao di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di rifiuto di atti d’ufficio in ambito sanitario.

Cassazione penale sez. VI  13 aprile 2018 n. 24162  

Deve essere confermata la responsabilità per rifiuto di atti d’ufficio per il medico in servizio presso il pronto soccorso che indebitamente si era rifiutato di accettare un paziente giunto in codice rosso con patologia cardiologica, eccependo una interruzione del servizio di radiodiagnostica, atteso che tale rifiuto risultava ingiustificato sia in relazione al previsto rispristino del servizio di radiologia, che sarebbe avvenuto pochi minuti dopo l’arrivo della paziente, , sia pure in relazione alla essenzialità di detto servizio, rispetto ad una serie di accertamenti che potevano prescindere da esso.

Cassazione penale sez. VI  12 luglio 2017 n. 43123  

Integra il delitto di rifiuto di atti d’ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di recarsi al domicilio di un paziente malato terminale per la prescrizione di un antidolorifico per via endovena e si limiti a formulare per via telefonica le sue valutazioni tecniche e a consigliare la somministrazione di un altro farmaco di cui il paziente già dispone, trattandosi di un intervento improcrastinabile che, in assenza di altre esigenze del servizio idonee a determinare un conflitto di doveri, deve essere attuato con urgenza, valutando specificamente le peculiari condizioni del paziente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto, in virtù delle peculiari condizioni in cui versava il paziente, che il medico sarebbe dovuto intervenire con urgenza per evitare che si consumassero le ragioni della sua necessità.).

 

Cassazione penale sez. VI  29 maggio 2017 n. 35233  

Il reato di rifiuto di atti d’ufficio è un reato di pericolo; la violazione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice ricorre tutte le volte in cui viene negato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze protette e considerate dall’ordinamento, a prescindere dall’esito concreto dell’omissione (confermata la condanna per l’imputato che, in qualità di medico di base, aveva rifiutato di prescrivere dei farmaci di cui una donna aveva bisogno, tentando, fra l’altro, di spingerla fuori dallo studio).

Cassazione penale sez. VI  30 marzo 2017 n. 21631  

Nel valutare la sussistenza del reato di rifiuto di atti di ufficio di cui all’art. 328, comma 1, c.p., il Giudice di merito ben può controllare l’esercizio della discrezionalità tecnica da parte del sanitario e concludere che esso trasmoda in arbitrio, se tale esercizio non risulta sorretto da un minimo di ragionevolezza ricavabile dal contesto e dai protocolli medici per esso richiamabili (nello specifico la Corte ha confermato la condanna per rifiuto di atti d’ufficio comminata ad un medico di guardia presso una struttura ospedaliera che, senza motivo, non era intervenuto per una visita diretta ad un paziente ricoverato in una situazione di oggettivo rischio dopo che il personale infermieristico gli aveva segnalato la progressiva ingravescenza delle condizioni di salute del paziente medesimo e, quindi, il peggioramento che, nel volgere di poche ore, lo avevano condotto alla morte).

Cassazione penale sez. III  17 febbraio 2015 n. 9809  

Non è configurabile il delitto di omissione di atti d’ufficio, di cui all’art. 328 c.p., a carico del medico di guardia medica non intervenuto al domicilio del paziente, poi deceduto, qualora non sussista alcun collegamento eziologico tra l’omissione contestata al medico di guardia e il decesso del paziente.

Cassazione penale sez. VI  11 novembre 2014 n. 49537  

Si configura il delitto di rifiuto di atti d’ufficio anche in assenza di un danno prodotto dall’indebito comportamento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Si tratta, infatti, di un reato di pericolo, per la cui realizzazione non è richiesto necessariamente il rifiuto di un atto urgente richiesto od ordinato da altri, bensì è sufficiente la reiezione di un atto dovuto senza ritardo quando le circostanze sostanziali ne richiedano il compimento (fattispecie relativa al rifiuto opposto da due infermieri professionali, in servizio nel reparto psichiatria, di prestare assistenza ad una paziente con disturbi mentali – che lamentava forti emicranie e capogiri, a causa dei quali era anche caduta riportando lesioni all’arcata sopraccigliare – nonché di allertare il medico di turno per vagliarne eventuali patologie).

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