Le condotte fraudolente del medico della ASL che opera in intramoenia escludono la particolare tenuità del fatto.

Con la sentenza n. 48555/2018, depositata il 24.10.2018, la Corte di Cassazione, ha reso una interessante pronuncia in materia di reati commessi da sanitari nell’esercizio della professione ed applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Nel caso di specie allo scrutinio di legittimità è stata devoluta la condotta di un medico che svolgeva attività libero professionale in regime di “intramoenia” presso i locali del Policlinico di Bari, al quale era stato contestato di aver continuato ad utilizzare un bollettario di cui aveva falsamente denunziata l’avvenuta sottrazione non provvedendo, nel contempo, a versare alla ASL la quota di competenza dell’Ente sui corrispettivi percepiti dai pazienti per le prestazioni da lui rese.

Il giudice di primo grado aveva riconosciuto l’imputato responsabile dei reati di cui agli artt. 367 cod.pen. (per avere, con denunzia diretta ai Carabinieri affermato falsamente l’avvenuta sottrazione, ad opera di ignoti, del bollettario per ricevute dell’Azienda Policlinico di Bari, che aveva invece continuato ad utilizzare anche in data successiva), 81 e 640, comma 2, n. 1 cod. pen. (per avere, utilizzando le ricevute di cui aveva falsamente denunziato il furto, indotto in errore l’ente ospedaliero trattenendo per sé anche il 23,50% delle somme ivi indicate) e di peculato ex art.314 cod. pen. (per avere, operando in regime di “intramoenia”, omesso di versare all’ente ospedaliero la quota parte dovuta in relazione alle somme incassate dai pazienti).

In sede di gravame la Corte di Appello di Bari aveva riformato quella del primo giudice ed assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 314 c.p. e dichiarato prescritto il delitto di simulazione di reato (art. 367 c.p.), rideterminando, di conseguenza, la pena inflitta dal Tribunale barese.

Deduceva nei motivi di ricorso, la difesa del suddetto imputato, l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla mancata applicazione da parte del giudice del merito dell’art. 131-bis c.p. quanto alla residua condanna di truffa aggravata

La S.C. ha dichiara manifestamente inammissibile il ricorso.

Di seguito, si riportano i passaggi della motivazione qui di interesse che ha riguardo all’applicabilità della causa di non punibilità con richiamo alla giurisprudenza sedimentata intorno all’istituto introdotto con D.L.vo 16 marzo2015, n.28:

Come è noto, inoltre, le SS.UU., con la sentenza “Tushaj”, hanno spiegato che il fatto “particolarmente tenue” va così qualificato alla stregua di caratteri riconducibili a tre indici: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza.

(…) In definitiva, come si è ben chiarito (cfr., Cass. Pen., 3, 28.6.2017 n. 893, PM in proc. Gallorini) la particolare tenuità del “fatto” è il risultato di una valutazione positiva tanto delle modalità della condotta nella sua componente oggettiva (avuto riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalità dell’azione ex articolo 133, connma 1, n. 1) del codice penale) e nella sua componente soggettiva (avuto riguardo all’intensità del dolo o al grado della colpa ex articolo 133, comma 1, n. 3) del codice penale), quanto del danno o del pericolo (avuto riguardo all’entità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato ex articolo 133, comma 1, n. 2) del codice penale). Il giudizio finale di particolare tenuità dell’offesa richiede, allora, e necessariamente, un esito positivo della valutazione di tutte le componenti richieste per l’integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel primo comma dell’articolo 131bis del codice penale sono in realtà cumulativi per pervenire ad un giudizio di particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità ed invece alternativi quanto al diniego, nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi (cfr., d’altra parte, il tenore letterale dell’articolo 131bis del codice penale, nella parte del primo comma, che qui interessa, laddove prevede che la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità).

Fatta questa premessa, si deve allora prendere atto che la Corte, sia pure in maniera sintetica, ha evocato in primo luogo la “qualità” dell’imputato, ovvero il fatto di essere costui dipendente della ASL nei cui confronti ed in danno della quale ha posto in essere la condotta di reato, così violando – nel contempo – l’integrità patrimoniale ed il rapporto fiduciario di natura pubblicistica che lo lega all’ente pubblico titolare dell’interesse leso; per altro verso, ha fatto riferimento alle modalità della condotta truffaldina, posta in essere mediante la realizzazione di una altra ipotesi di reato, ovvero la falsa denunzia che, pur estinto per intervenuta prescrizione, ben può essere considerato proprio ai fini del giudizio complessivo circa la (non) particolare tenuità del fatto (…)”.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di esercizio dell’attività professionale del medico-chirurgo in intramoenia e delitto di peculato:

Cassazione penale sez. VI  19 giugno 2018 n. 40908  

Il medico che opera in regime di ‘intra moenia’ assume la veste di agente contabile, con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia, che di custodirli e restituirli. Gli importi corrisposti al sanitario nell’esercizio di detta attività acquistano infatti natura pubblica, in virtù della convenzione tra la ASL e il medico dipendente. Integra pertanto il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, non dia giustificazione certa – secondo le norme generali della contabilità pubblica ovvero quelle derogative previste nella singola fattispecie – del loro impiego, in caso di incameramento delle somme.

Cassazione penale sez. II  24 aprile 2018 n. 25976  

Commette il reato di peculato il medico ospedaliero che percepisce compensi dai pazienti per visite “intramoenia, senza formale autorizzazione e senza versare alla struttura la quota prevista per legge, a nulla rilevando circa la configurabilità del delitto il fatto che l’azienda fosse a conoscenza di quanto accaduto”. Lo ha ribadito la Cassazione confermando la condanna inflitta ad un medico. Nel caso di specie, si trattava di un cardiologo, assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale, che per due anni aveva svolto attività intramuraria senza aver richiesto la specifica autorizzazione e senza lasciare nelle casse del nosocomio la quota del 52% di quanto percepito dai pazienti.

Cassazione penale sez. VI  16 marzo 2017 n. 29782  

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria “allargata” (per tale intendendosi l’attività svolta presso il proprio studio privato), dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, ometta di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene. (Fattispecie in cui il medico era autorizzato alla riscossione diretta dell’onorario ed al rilascio di fattura su apposito bollettario consegnato dalla Asl, per poi riversare all’ente le somme percepite mensilmente nella misura del 50%).

Cassazione penale sez. VI  16 marzo 2017 n. 29782  

In ordine alla attività professionale svolta intra moenia, integra il reato di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria allargata, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni mediche erogate secondo tale regime, ometta poi di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene.

Cassazione penale sez. III  24 febbraio 2017 n. 36784  

Il professore universitario che lavori presso un’azienda ospedaliera in regime di intramoenia deve ritenersi pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 357 c.p. (confermata la condanna di un professore universitario per violenza sessuale aggravata ex art. 61 n. 9 c.p. per aver commesso i fatti con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione da lui rivestita, come medico professore universitario erogante un’attività assistenziale presso un azienda ospedaliera in base ad una convenzione tra i due enti).

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