Responsabilità penale dell’oncologo: la Cassazione nega la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello se risulta completa quella svolta in primo grado.

La Corte di Cassazione con la sentenza 42478/2018, depositata il 27.092018, ha affrontato la ricorrente questione della richiesta rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nei processi incardinati a carico dei sanitari nei quali, notoriamente, la ricostruzione della responsabilità del personale medico o paramedico tratto a giudizio si fonda sulle acquisizioni probatorie delle consulenze tecniche articolate dalle parti processuali (PM, difesa dell’imputato, difesa della parte civile) ed ove ritenuta necessaria ai fini del decidere dalla perizia ammessa dal Tribunale.

Il caso clinico, l’imputazione ed il processo di merito.

Il caso sottoposto allo scrutinio di legittimità dalla difesa dal giudicabile riguardava la condotta di un oncologo ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo per aver cagionato la morte di una paziente sottoposta alle sue cure.

Nel capo di imputazione, in particolare, si addebitava al giudicabile quale primario del reparto di medicina dell’ospedale in cui veniva svolto anche il servizio di oncologia, di aver compiuto un errore diagnostico inescusabile ed in particolare di avere, sulla base del solo referto diagnostico Tac, senza disporre  i necessari approfondimenti clinici e di laboratorio (di tipo biochimico, immunosierologico, oncologico e bioptico) e, senza mai convalidare la diagnosi con una biopsia e il conseguente esame citologico e istologico, omettendo, altresì, di verificare la presenza di altri parametri indicativi di una patologia tumorale del fegato (quali la presenza di marcatori oncologici aspecifici e specifici per patologia epatica maligna), effettuato una diagnosi errata di epatocarcinoma e sottoposto la paziente a un lunghissimo protocollo chemioterapico dall’agosto 2004 al 2007,non tenendo conto nemmeno, nel corso del trattamento, dei dati comunque idonei a mutare il quadro iniziale, pur in presenza di indicazioni specifiche quali l’assenza di alone iperdenso, che consigliava ulteriori approfondimenti diagnostici e clinici.

Condannato in primo grado dal Tribunale, in sede di appello, la Corte territoriale di Lecce evidenziava, così come in precedenza ritenuto dal Giudice di prime cure, che il trattamento chemioterapico era avvenuto attraverso la somministrazione di dosi totali di mitoxantrone, nettamente superiori alla soglia prevista per il genere umano, pari a 120 -140 mg di farmaco per metro quadro di superficie corporea, e che, stante anche il periodo prolungato di somministrazione, alla luce degli accertati studi scientifici internazionali, la suddetta terapia aveva agito con effetto mielotossico ed era stata causa diretta rilevante dell’insorgenza della patologia di mielodisplasia del tipo di leucemia mieloide, diagnostica alla paziente alcuni mesi dopo la sospensione del trattamento chemioterapico e rapidamente evoluta nella forma di leucemia mieloide acuta, le cui complicanze avevano portato successivamente alla morte della paziente, malgrado l’intervento di trapianto osseo presso il nosocomio di Pavia.

 

Il giudizio di legittimità.

Contro la sentenza resa in grado di appello ricorre per cassazione l’imputato deducendo tra, l’altro, vizio di motivazione in relazione al mancato accoglimento del motivo di impugnazione con il quale era stata richiesta (e rigettata dalla Corte territoriale) la richiesta rinnovazione dibattimentale dell’istruttoria con richiesta di perizia che, nella prospettiva difensiva, avrebbe potuto fugare i dubbi causali avanzati dalle tesi del consulenti tecnici indotti dal difensore dell’imputato, escussi in dibattimento.

In particolare, la perizia, secondo la prospettazione difensiva, avrebbe potuto far acquisire quanto segue:

(i) che la mielodisplasia latente sia stata preesistente alla errata diagnosi e che la paziente si fosse giovata della terapia con mitoxantrone;

(ii) che la morte sia stata causata dalla scelta e dalle relative complicanze del trapianto del midollo operato presso l’ospedale di Pavia, interrompendo così il nesso causale tra condotta dell’inputato e l’exitus.

La Suprema corte decidendo in linea con il consolidato orientamento di legittimità sedimentato sul punto ha dichiarato inammissibile il ricorso statuendo quanto segue in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello:

La prima censura, che contesta la mancata disposizione in appello della perizia, è manifestamente infondata. E’ nota la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6 n. 8936 del 13.01.2015, rv.262620) secondo cui nel giudizio d’appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603 comma primo, cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti e che tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato come nel caso di specie. La Corte territoriale ha argomentato che” le consulenze delle parti forniscono chiari e univoci dati informativi che consentono di ricostruire le cause della morte della paziente evidenziando la completezza del quadro probatorio non solo dall’acquisizione, in primo grado su accordo delle parti delle relazioni dei consulenti tecnici del P.M., della difesa e della parti civili ma anche della sentenza irrevocabile pronunciata dal GUP all’esito del giudizio abbreviato nei confronti di  (omissis) coimputati”.

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Riferimenti normativi.

Art. 603 cod. proc. pen.

 

Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

 

  1. Quando una parte, nell’atto di appello [581] o nei motivi presentati a norma dell’articolo 585, comma 4, ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o l’assunzione di nuove prove il giudice, se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
  2. Se le nuove prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall’articolo 495, comma 1.
  3. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è disposta di ufficio [190] se il giudice la ritiene assolutamente necessaria [507] 1.

3-bis. Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale 2.

  1. [Il giudice dispone, altresì, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quando l’imputato, contumace in primo grado, ne fa richiesta e prova di non essere potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore o per non avere avuto conoscenza del decreto di citazione, sempre che in tal caso il fatto non sia dovuto a sua colpa, ovvero, quando l’atto di citazione per il giudizio di primo grado è stato notificato mediante consegna al difensore nei casi previsti dagli articoli 159, 161, comma 4, e 169, non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento.] 3
  2. Il giudice provvede con ordinanza, nel contraddittorio delle parti.
  3. Alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, disposta a norma dei commi precedenti, si procede immediatamente. In caso di impossibilità, il dibattimento è sospeso [477] per un termine non superiore a dieci giorni.

 

 

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello:

 

Cassazione penale, sez. VI, 13/01/2015, n. 8936.

Nel giudizio d’appello, la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma 1, c.p.p., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza di appello in ragione della mancata acquisizione di una prova documentale in astratto fondamentale per valutare se la condotta abusiva posta in essere da un p.u. per conseguire una somma di denaro da un privato implicasse comunque la successiva realizzazione di un indebito tornaconto per quest’ultimo, e quindi se fosse ravvisabile un fatto di concussione o, invece, di induzione indebita).

Cassazione penale, sez. V, 12/04/2018, n. 32379.

In tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello.

Cassazione penale, sez. VI, 28/11/2013, n. 1256.

In tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello.

Cassazione penale, sez. VI, 22/10/2014, n. 1400.

In tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello. (Fattispecie in tema di giudizio abbreviato).

Cassazionepenale,sez.II,5/09/2015,n.48630
In tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata assunzione in appello, in sede di giudizio abbreviato non condizionato, di prove richieste dalla parte solo qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello.

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 03, del 19/09/2012, n. 1256

In senso conforme: Cass. Pen., sez. 06, del 22/10/2014, n. 1400

In senso difforme: Cass. Pen., sez. 02, del 17/10/2013, n. 44947

Vedi anche: n. 7485 del 2008

Vedi anche: Cass. Pen., sez. 02, del 18/01/2011, n. 3609

Vedi anche: Cass. Pen., sez. 01, del 23/05/2012, n. 35846

Vedi anche: Cass. Pen., sez. 03, del 18/03/2014, n. 20262

Vedi anche: Cass. Pen., sez. 01, del 18/06/2014, n. 37588

Vedi anche Sezioni Unite: Cass. Pen., sez. UU, del 13/12/1995, n. 930.

Rassegna giurisprudenziale delle pronunce di legittimità relative a processi conclusi con sentenza di condanna del medico imputato per omessa o ritardata diagnosi di patologie tumorali:

 

Cassazione penale, sez. IV, 19/07/2017, n. 50975.

Non può escludersi la responsabilità penale del medico che colposamente non si attivi e contribuisca con il proprio errore diagnostico a che il paziente venga a conoscenza di una malattia tumorale, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, “laddove, nel giudizio contro fattuale, vi è l’alta probabilità logica che il ricorso ad altri rimedi terapeutici, o all’intervento chirurgico, avrebbe determinato un allungamento della vita, che è un bene giuridicamente rilevante anche se temporalmente non molto esteso”. La Cassazione ribadisce così le regole di accertamento del nesso causale dei reati omissivi annullando la sentenza della corte d’appello che aveva scagionato il medico accusato di non aver diagnosticato per tempo una gravissima forma tumorale. Per i giudici di legittimità, è “inspiegabile” la scelta della corte di merito di definire “al di fuori della tipicità penale” il caso in questione;

In tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalità tra l’intempestiva diagnosi di una malattia tumorale e il decesso del paziente, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, laddove dal giudizio controfattuale risulti l’alta probabilità logica che la diagnosi tempestiva avrebbe consentito il ricorso a terapie atte a incidere positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che la morte si sarebbe verificata in epoca posteriore o con minore intensità lesiva.

 

 

 

 

 

Cassazione penale, sez. IV, 14/10/2009, n. 2474 dep. 2010, Vancheri ed altro, Rv. 246161.

Il prolungato stato di alterazione organica e di sofferenza fisica, conseguente al colpevole ritardo nella diagnosi, rientra nella nozione di malattia cui fa riferimento l’art. 582 c.p., a sua volta richiamato dall’art. 590 c.p. Infatti, in tale nozione devono farsi rientrare tutte le alterazioni, anche non riconducibili a una lesione anatomica, che incidano in maniera tangibile sulla salute e sull’integrità fisica della persona, o che comunque determinino una significativa, seppur non definitiva, limitazione funzionale dell’organismo (da queste premesse, la Corte ha ritenuto che correttamente era stata ricondotta nell’ambito dell’art. 590 c.p. la condotta degli imputati cui era stata addebitata l’omessa diagnosi di una malattia tumorale, poi successivamente diagnosticata e curata efficacemente presso altro presidio ospedaliero: la mancata tempestiva diagnosi e, quindi, l’omesso ricorso ai necessari trattamenti chirurgici e farmacologici, se pure non avevano determinato l’insorgere o l’aggravamento della patologia tumorale, avevano comunque causato e prolungato per un tempo significativo le correlate alterazioni funzionali e uno stato di complessiva sofferenza, di natura fisica e morale, per il paziente, che, invece, a fronte di una diagnosi corretta e tempestiva, sarebbero stati evitati o almeno contenuti)

 

Cassazione penale, Sez. IV, n. 3380 del 15/11/2005 dep. il 2006, Fedele, Rv. 233237.

In tema di responsabilità per colpa medica di tipo omissivo, il riconoscimento del necessario nesso di causalità tra condotta ed evento, se da una parte non può basarsi su dati meramente statistici in ordine alle ipotetiche probabilità di successo dei mancati interventi diagnostici o terapeutici, non può, d’altra parte, neppure postulare il conseguimento di una certezza oggettiva risultante da elementi probatori assolutamente inconfutabili, dovendosi invece ritenere necessaria e sufficiente una certezza processuale, che il giudice può conseguire valorizzando tutte le circostanze del caso concreto, secondo un procedimento logico analogo a quello che presiede alla valutazione della prova indiziaria, prevista dall’art. 192 comma 2 c.p.p., si da poter affermare la validità del proprio convincimento “al di là di ogni ragionevole dubbio”. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la sussistenza del nesso di causalità tra la ritardata diagnosi di una formazione tumorale e la morte del paziente che, pur se inevitabile, sarebbe stata apprezzabilmente ritardata da una diagnosi tempestiva, seguita dagli opportuni interventi terapeutici) – Cassazione Penale Sez. 4, n. 38334 del 3/10/2002, Albissini, Rv. 222862, ****** “La causalità omissiva ha la medesima struttura della causalità attiva e ne differisce esclusivamente per la necessità di far ricorso ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico anziché fondato sui dati della realtà. È di natura omissiva il comportamento del medico che, in forza di un errore diagnostico, causa un evento lesivo ponendo in essere una condotta diversa da quella doverosa secondo le regole della comune prudenza, perizia e diligenza. (La Corte ha nella specie ritenuto omissivo il comportamento del medico che, in presenza di un esame mammografico dal quale risultavano sintomi di probabile patologia neoplastica, non dispose l’esame istologico ma prescrisse un ulteriore controllo mammografico da effettuarsi a distanza di un anno, così contribuendo alla progressione del male)

 

Cassazione penale, sez. IV, 21/01/2003, n. 17379.

In tema di nesso causale nei reati omissivi, non può escludersi la responsabilità del medico il quale non si attivi e non porti il paziente a conoscenza della recidiva di una malattia tumorale, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, laddove, nel giudizio controfattuale, vi è l’altissima probabilità che il ricorso ad altri rimedi terapeutici (oltre a quello, radioterapico, già praticato all’esordio della malattia) avrebbe determinato un allungamento della vita, che è un bene giuridicamente rilevante anche se temporalmente non molto esteso.

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