Per archiviare un procedimento per diffamazione a mezzo Facebook non è sufficiente il diniego dei gestori social network sulle generalità dell’autore del post.

Si segnala ai lettori del blog che la Corte di Cassazione l’interessante sentenza n. 42630/2018 con la quale il Collegio di legittimità ha annullato l’ordinanza di archiviazione emessa de planodal Giudice per le Indagini Preliminari di S. Maria Capua Vetere con la quale era stata dichiarata inammissibile l’opposizione alla richiesta di archiviazione formulata dal PM che aveva ritenuto di non poter esercitare l’azione penale nei confronti dell’indagata per diffamazione aggravata (art. 593, terzo comma cod. pen.), stante la mancata indicazione da parte del gestore del social network delle esatte generalità del soggetto che aveva pubblicato i messaggi diffamatori, potenzialmente conoscibili ad un numero indeterminato di persone.

L’arresto giurisprudenziale in commento riveste una indubbia utilità per tutte le persone offese dal reato di diffamazione aggravata che, non infrequentemente, pur avendo subito un sensibile pregiudizio alla propria reputazione, non riescono ad ottenere la incardinazione di un processo penale a carico dell’autore del reato, causa la richiesta di archiviazione motivata unicamente sulla mancata collaborazione dei social network nel fornire i dati anagrafici, quasi sempre opposta alla richiesta di collaborazione formulata dall’Autorità giudiziaria italiana.

Di seguito si riporta il passaggio motivazionale di maggior rilievo per il presente commento perché indica come la richiesta di individuazione dell’autore del reato tramite IP costituisce un valido spunto investigativo che non può essere ignorato dal magistrato inquirente:

Nell’atto di opposizione, infatti, la persona offesa aveva chiesto di verificare gli indirizzi IP da cui erano partiti i messaggi asseritamente diffamatori, profilo che appare non convergente con il riserbo delle autorità statunitensi circa le generalità degli iscritti a Facebook che il Giudice per le indagini preliminari vi ha contrapposto nel dichiarare inammissibile l’opposizione.

Né il Giudice dell’archiviazione ha chiarito le ragioni, legate a profili tecnici o ad altri dati evincibili dagli atti del procedimento, di un’eventuale interdipendenza tra i due aspetti che potesse rendere ragione della sua scelta di negare alla persona offesa il contraddittorio”.

L’annullamento dell’ordinanza di archiviazione con l’indicazione al Giudice per le Indagini Preliminari di procedere all’ulteriore corso (il Gip dovrebbe, quindi, fissare l’udienza camerale ed all’esito indicare al PM di svolgere ulteriori investigazioni per individuare l’autore del reato tramite l’IP) costituisce una importante indicazione sia per opporsi alla inazione penale, sia, soprattutto, per indicare sin dall’atto di denuncia-querela la necessità di individuare subito l’Internet Protocol (IP)  consentendo così al PM, tramite delega alla Polizia Postale, di svolgere utilmente le indagini preliminari, individuarne l’attore ed esercitare l’azione penale, per consentire alla persona offesa l’azione di danno – patrimoniale e non patrimoniale – mediante la costituzione di parte civile.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di diffamazione a mezzo social network:

Cassazione penale, sez. V, 04/12/2017, n. 5175.

La legge n. 48 del 2008 (Ratifica della convenzione di Budapest sulla criminalità informatica) non introduce alcun requisito di prova legale, limitandosi a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza tuttavia imporre procedure tipizzate. Ne consegue che il giudice potrà valutarle secondo il proprio libero convincimento (fattispecie relativa alla pubblicazione di un post ingiurioso su Facebook).

Cassazione penale, sez. V, 19/10/2017, n. 101.

Si configura il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici se i commenti diffamatori, pubblicati tramite post sul social network Facebook, possono, pur in assenza dell’indicazione di nomi, riferirsi oggettivamente ad una specifica persona, anche se tali commenti siano di fatto indirizzati verso i suoi familiari. 

Cassazione penale, sez. V, 29/05/2017, n. 39763.

In tema di diffamazione, l’individuazione del destinatario dell’offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione dell’offesa, sulla base di un criterio oggettivo, non essendo consentito il ricorso ad intuizioni o soggettive congetture di soggetti che ritengano di potere essere destinatari dell’offesa (esclusa, nella specie, la configurabilità del reato per la condotta dell’imputato, che, in un post su Facebook, aveva espresso il suo sdegno per le modalità con cui erano state celebrate le esequie di un suo caro parente).

Cassazione penale, sez. V, 23/01/2017, n. 8482.

La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47 del 1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.

Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50.

È del tribunale penale la competenza a giudicare la condotta consistente nella diffusione di messaggi minatori e offensivi attraverso il social network Facebook, configurando i reati di minacce e diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 c.p.

Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50.

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante.

Cassazione penale, sez. V, 14/11/2016, n. 4873.

Ove taluno abbia pubblicato sul proprio profilo Facebook un testo con cui offendeva la reputazione di una persona, attribuendole un fatto determinato, sono applicabili le circostanze aggravanti dell’attribuzione di un fatto determinato e dell’offesa recata con un qualsiasi mezzo di pubblicità, ma non quella operante nell’ipotesi di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato.

Cassazione penale, sez. V, 07/10/2016, n. 2723.

La divulgazione di un messaggio di contenuto offensivo tramite social network ha indubbiamente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, proprio per la natura intrinseca dello strumento utilizzato, ed è dunque idonea ad integrare il reato della diffamazione aggravata (fattispecie relativa all’inserimento di un messaggio offensivo sul profilo Facebook della persona offesa).

Cassazione penale, sez. V, 13/07/2015, n. 8328.

La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, sicché, se tale commento ha carattere offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.

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