Doppio binario penale – tributario: se il contribuente subisce la sanzione tributaria il giudice penale deve valutare se sussiste la violazione del principio del ne bis in idem.
Si segnala ai lettori del blog per l’importanza che può rivestire nella difesa tecnica penale la sentenza n. 52142/2018, depositata il 20.11.2018, che apre nuovi spazi difensivi in merito alla nota questione della liceità del doppio binario sanzionatorio penale – tributario.
I Giudici di legittimità, chiamati allo scrutinio di diritto sulla posizione del giudicabile tratto a giudizio per il reato di omesso versamento IVA, hanno richiamato una serie di principi giurisprudenziali già introdotti in sede comunitaria (Corte EDU, grande Camera, sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia) e poi confermati recentemente anche in sede nazionale dalla Corte Costituzionale (sent. 43/2018), la cui applicabilità era stata denunciata con l’atto di appello ma non adeguatamente affrontati dalla Corte territoriale di Brescia.
Invero, con unico motivo, l’imputato deduceva la erronea applicazione della legge penale e tributaria, nonché della legge processuale penale in relazione all’art. 649 cod. proc. pen., interpretato alla luce dell’art. 4, prot. 7 CEDU, per essere stato destinatario di una sanzione alla quale doveva riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei relativi protocolli. Egli, difatti, sarebbe stato già afflitto dalla sanzione tributaria, comportante la maggiorazione del 30% dell’importo del tributo non versato, regolarmente pagata a rate, con la conseguenza che la sanzione penale costituirebbe un’illecita duplicazione.
La Suprema corte, sviluppando le riflessioni operate a livello sovranazionale, ha accolto il principio della sufficiently close connectiontra procedimento penale e tributario, quale criterio per la valutazione di una eventuale violazione del principio del ne bis in idem, nel caso di specie denunciato in riferimento alla sanzione di segno patrimoniale già inflitta dall’amministrazione finanziaria all’imputato della quale il giudice di appello non avrebbe tenuto conto nella motivazione della sentenza di secondo grado, quanto meno per escluderne la natura ostativa.
In particolare, secondo la Corte di cassazione, è al giudice del merito che deve essere rimesso l’apprezzamento in ordine al nesso che lega i due procedimenti, onde valutare se sussista una connessione temporale e materiale tale da giustificare una deroga al ne bis in idemconvenzionale
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, rilevando la sussistenza del vizio di omessa motivazione sul punto, ha accolto il ricorso, cassando con rinvio alla Corte distrettuale di Brescia. la sentenza impugnata, per un nuovo giudizio sul punto.
Di seguito vengono riportati i passaggi – chiave della motivazione del provvedimento rimandando alla lettura della sentenza allegata per ulteriori approfondimenti:
“La Corte territoriale di Brescia ha applicato il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte con sentenza n. 37425/13 secondo cui è legittima la duplicazione di tutele previste nell’ordinamento italiano – penale e tributaria – perché si tratta di fattispecie dotate di presupposti fattuali e temporali differenti da porre in rapporto non di specialità ma di progressione, sicché non è ravvisabile alcuna violazione del principio sancito dall’art. 4 del Protocollo 7 della CEDU.
(…) Sebbene il principio di diritto delle citate Sezioni unite conservi tutta la sua attualità, è necessario tuttavia confrontarsi con la sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 43/18 che ha offerto nuovi spunti di riflessione sul tema e che costituisce un netto avanzamento anche rispetto all’interpretazione della giurisprudenza di Strasburgo proposta con sentenza di questa Sezione, n. 6993/18, Servello, Rv 272588.
(…) Nella sentenza in rassegna n. 43/18, La Corte costituzionale ha anche precisato che, sotto tale profilo, gli approdi della giurisprudenza di Strasburgo non coincidevano pienamente con quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza 26 febbraio 2013, in causa C- 617/10, Fransson. Secondo il diritto dell’Unione, a fronte di un obbligo a carico dello Stato membro di repressione di certe condotte, l’efficacia del divieto del bis in idem, basato sull’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, era subordinata ad una verifica sul carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo delle sanzioni applicate. Sebbene operante in malam partem, il limite all’efficacia del ne bis in idem nella visione della Corte di Lussemburgo comportava una valutazione sul peso combinato delle sanzioni applicabili in due separate sedi, valutazione questa che incrinava la portata meramente processuale della regola quale si era sempre riconosciuta nell’interpretazione giurisprudenziale nazionale. Ha poi evidenziato che con la sentenza 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia, la Grande camera della Corte di Strasburgo aveva impresso un nuovo sviluppo alla materia. La rigidità del divieto convenzionale del bis in idem, nella parte in cui trovava applicazione anche per le sanzioni che gli ordinamenti nazionali qualificavano come amministrative, aveva ingenerato gravi difficoltà presso gli Stati che avevano ratificato il Protocollo n. 7 alla CEDU, perché la discrezionalità del legislatore nazionale nel punire lo stesso fatto sulla base di un duplice titolo, pur non negata dalla Corte di Strasburgo, finiva per essere frustrata di fatto dal divieto del bis in idem. Per alleviare tale inconveniente la Corte EDU aveva enunciato il principio di diritto secondo cui il ne bis in idem non operava quando i procedimenti erano avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto (sufficiently closely connected in substance and in time), attribuendo a questo requisito tratti del tutto nuovi rispetto a quelli che emergevano dalla precedente giurisprudenza, precisando, in particolare, al par. 132 della sentenza, che legame temporale e materiale erano requisiti congiunti; che il legame temporale non esigeva la pendenza contemporanea dei procedimenti, ma ne consentiva la consecutività, a condizione che essa fosse tanto più stringente, quanto più si protraesse la durata dell’accertamento; che il legame materiale dipendeva dal perseguimento di finalità complementari connesse ad aspetti differenti della condotta, dalla prevedibilità della duplicazione dei procedimenti, dal grado di coordinamento probatorio tra di essi, e soprattutto dalla circostanza che nel commisurare la seconda sanzione si potesse tenere conto della prima, al fine di evitare l’imposizione di un eccessivo fardello per lo stesso fatto illecito. Al contempo, si doveva valutare anche se le sanzioni, pur convenzionalmente penali, appartenessero o meno al nocciolo duro del diritto penale, perché, in caso affermativo, si sarebbe dovuto essere più severi nello scrutinare la sussistenza del legame e più riluttanti a riconoscerlo in concreto.
La Corte costituzionale ha infine precisato che con la sentenza A e B contro Norvegia, il ne bis in idem convenzionale aveva cessato di agire quale regola inderogabile conseguente alla sola presa d’atto circa la definitività del primo procedimento, ma era stato subordinato ad un apprezzamento proprio della discrezionalità giudiziaria in ordine al nesso che legava i procedimenti, perché in presenza di una close connection era permesso proseguire nel nuovo giudizio ad onta della definizione dell’altro. Neppure si poteva continuare a sostenere che il divieto del bis in idem convenzionale avesse carattere esclusivamente processuale, giacché criterio eminente per affermare o negare il legame materiale era proprio quello relativo all’entità della sanzione complessivamente irrogata. Ha ritenuto quindi che la svolta giurisprudenziale impressa dalla Corte di Strasburgo era potenzialmente produttiva di effetti con riguardo al rapporto tra procedimento tributario e procedimento penale. In passato, l’autonomia dell’uno rispetto all’altro escludeva in radice che essi potessero sottrarsi al divieto del bis in idem. Oggi, ha affermato la Corte costituzionale, pur dovendosi prendere in considerazione il loro grado di coordinamento probatorio, al fine di ravvisare il legame materiale, vi era la possibilità che in concreto gli stessi fossero ritenuti sufficientemente connessi, in modo da far escludere l’applicazione del divieto del bis in idem, come testimoniava la stessa sentenza A e B contro Norvegia, che proprio a tali procedimenti si riferiva. La decisione non poteva che passare da un giudizio casistico, affidato all’autorità precedente. Infatti, sebbene potesse affermarsi in termini astratti che la configurazione normativa dei procedimenti era in grado, per alcuni aspetti, di integrare una close connection, vi erano altri aspetti che restavano necessariamente consegnati alla peculiare dinamica con cui le vicende procedimentali si erano atteggiate nel caso concreto.
Va osservato che, nonostante la Corte costituzionale abbia rivolto un insistente invito al legislatore ad intervenire nella suddetta materia, ha comunque concluso che il giudice di merito dovesse verificare se il giudizio penale fosse legato temporalmente e materialmente al procedimento tributario al punto da non costituire un bis in idem convenzionale”.
*****
Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di ne bis in idemnel processo penale e tributario:
Corte Costituzionale, 02/03/2018, n.43
Restituzione al giudice rimettente degli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., censurato, per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dei relativi Protocolli. Con la sentenza 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia, la grande camera della Corte di Strasburgo, che esprime il diritto vivente europeo, ha dettato una regola che innova in ambito convenzionale il divieto di bis in idem, rispetto al quadro esistente al tempo dell’ordinanza di rimessione. Si è passati dal divieto imposto agli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l’uno dall’altro, alla facoltà di coordinare nel tempo e nell’oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un’unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all’entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata. Pertanto, il mutamento del significato della normativa interposta, sopravvenuto all’ordinanza di rimessione, comporta la restituzione degli atti al giudice a quo, ai fini di una nuova valutazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale. Se, infatti, il giudice a quo ritenesse che il giudizio penale è legato temporalmente e materialmente al procedimento tributario al punto da non costituire un bis in idem convenzionale, non vi sarebbe necessità ai fini del giudizio principale di introdurre nell’ordinamento, incidendo sull’art. 649 c.p.p., alcuna regola che imponga di non procedere nuovamente per il medesimo fatto. Comunque, non essendo affatto da escludere l’applicazione del divieto convenzionale di bis in idem alle ipotesi di duplicazione dei procedimenti sanzionatori per il medesimo fatto, sia nell’ambito degli illeciti tributari, sia in altri settori dell’ordinamento, ogni qual volta sia venuto a mancare l’adeguato legame temporale e materiale, a causa di un ostacolo normativo o del modo in cui si sono svolte le vicende procedimentali, resta attuale l’invito al legislatore a stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che il sistema del cosiddetto doppio binario genera tra l’ordinamento nazionale e la CEDU (sentt. nn. 348, 349 del 2007, 49 del 2015, 102, 200 del 2016; ord. n. 150 del 2012) .
Cassazione penale sez. III, 22/09/2017, n.6993
In tema di illecito tributario non viola il principio del “ne bis in idem” di cui all’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU, grande camera ,del 15 novembre 2016, sui ricorsi n. 24130/11 e 29758/11, caso A e B c. Norvegia, e di cui all’art. 50 del TFUE, la condanna penale per reati tributari (nella specie, previsti e puniti dagli artt. 2 e 8 del d.Lg. n. 74/2000) che segua l’irrogazione di una sanzione amministrativa per violazioni di analoga natura con provvedimento definitivo, se in concreto si è verificato uno sviluppo parallelo e la connessione temporale tra il procedimento penale e quello amministrativo, non trovando applicazione in tali casi la disciplina prevista dall’art. 649 c.p.p.
Cassazione penale sez. II, 15/12/2016, n.9184
Non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penale di cui all’art. 649 c.p.p., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione amministrativa ma formalmente “penale”, ai sensi dell’art. 7 CEDU – come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa A e B c/ Norvegia del 15 novembre 2016 – allorquando le due procedure risultino complementari, in quanto dirette al soddisfacimento di finalità sociali differenti, e determinino l’inflizione di una sanzione penale“integrata”, che sia prevedibile e, in concreto, complessivamente proporzionata al disvalore del fatto. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza che aveva dichiarato non doversi procedere per il reato di danneggiamento aggravato commesso da un detenuto su una finestra della casa circondariale in cui era ristretto, sulla base della considerazione che l’imputato aveva già subito la sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune per cinque giorni).
Comm. trib. reg. Firenze, (Toscana) sez. V, 28/09/2016, n.1643
In materia di processo tributario, nell’ipotesi in cui il giudice penale assolva il contribuente poiché ritiene veritiere le fatture presentate, vigono le norme europee dei diritti dell’uomo e le sentenze della CEDU espresse al riguardo; infatti, sulla base del principio del “ne bis in idem”, il cittadino europeo non può essere sottoposto ad un doppio processo qualora sia stato assolto per lo stesso fatto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA