Inefficaci le attività svolte in giudizio dal legale dell’Ente nominato in condizioni di incompatibilità in violazione dell’art. 39 D.lgs. n. 231/2001.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n.52470/2018, depositata il 21.11.2018, resa dalla II Sezione penale della Corte di Cassazione in materia di responsabilità amministrativa, segnatamente al profilo della difesa dell’ente in giudizio e condizioni di incompatibilità.

Nella sentenza impugnata la Corte di appello di Salerno confermava la sentenza emessa dal locale Tribunale che aveva dichiarato una s.r.l. responsabile di illecito amministrativo, in relazione al reato presupposto di truffa aggravata contestato al rappresentante legale ma dichiarato prescritto, condannandola al pagamento della sanzione pecuniaria di 250 quote azionarie ovvero alla sanzione di € 60.000.

Con la medesima pronunzia veniva confermata la confisca delle quote sociali e di un capannone della società. La difesa della società proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra i vari motivi, la violazione del diritto di difesa dell’ente e vizio di motivazione in ordine alla quantificazione del profitto confiscabile.

In particolare i difensori dell’ente rappresentavano che nelle more del procedimento di primo grado la difesa dell’ente è stata affidata a difensore nominato in condizioni di incompatibilità dal rappresentante legale indagato per il reato presupposto, con conseguente inefficacia delle attività defensionali svolte nel processo e nullità della sentenza di primo grado.

La Suprema Corte ha accolto l’impugnazione annullando la sentenza resa dalla Corte distrettuale e quella di primo grado, rinviando per nuovo esame al Tribunale di Salerno.

Di seguito si riporta il passaggio della motivazione di interesse per il presente commento:

La partecipazione attiva dell’ente al procedimento che lo riguarda è infatti subordinata alla sua previa costituzione, quale formalità individuata dalla succitata disposizione di cui all’art. 39 come mezzo di esternazione della volontà diverso e più articolato di quelli dell’imputato persona fisica, in quanto corrispondente alla struttura complessa di tale figura soggettiva ed idoneo a rendere quanto prima ostensibile l’eventuale conflitto di interessi derivante dall’essere il legale rappresentante indagato o imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo. (…) In particolare, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dal su citato art. 39(Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, cit., Rv. 264310). Il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 è, dunque, assoluto e, come già osservato da questa Corte (v. Sez. 6, n. 41398 del 19/06/2009, Caporello, in motivazione), non ammette deroghe in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo, diritto che risulterebbe del tutto compromesso se l’ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale. Per questa ragione l’esistenza del “conflitto” è presunta iuris et de iure e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l’ulteriore conseguenza che il divieto scatta in presenza della situazione contemplata dalla norma, cioè quando il rappresentante legale risulta essere imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, sicché il giudice deve solo accertare che ricorra tale presupposto. Di tali principii la Corte di merito non ha fatto buon governo, emergendo dagli atti processuali, ed in particolare dai verbali di udienza che alla data del 21 dicembre 2009 il tribunale, prendendo atto che la società era assistita dai difensori nominati dal Martinelli, ha invitato la società a indicare un difensore di fiducia e ha nominato un difensore di ufficio. Alla successiva udienza si costituiva per la società Martinelli s.r.l. l’avvocato Farano, che risulta tuttavia nominato dal Martinelli, legale rappresentante incompatibile in quanto coimputato e in conflitto d’interessi, e questo difensore è stato presente a tutte le successive udienze e ha concluso per la società, nell’assenza del difensore di ufficio già nominato dal Tribunale.

(…) Anche recentemente questa Corte ha ribadito che In tema di responsabilità da reato degli enti, la nomina del difensore di fiducia dell’ente da parte del rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto, in violazione del divieto previsto dall’art. 39, d.lgs. n. 231 del 2001, comporta l’inefficacia di tutte le attività svolte dal rappresentante legale incompatibile all’interno del procedimento che riguarda l’ente. (Sez. 6, n. 35219 del 28/04/2017 – dep. 18/07/2017, Re e altri, Rv. 27085701)

Interessante è poi il passaggio motivazionale, di seguito riportato, inerente al rapporto tra il procedimento per l’illecito amministrativo e la declaratoria di prescrizione del reato presupposto.

Giova ricordare in questa sede che In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato.(Sez. 4, n. 22468 del 18/04/2018 – dep. 21/05/2018, Eurocos S.n.c., Rv. 27339901) Nel caso in esame sembrano, in effetti, mancare due elementi per la corretta determinazione della confisca per equivalente: la determinazione dell’illecito vantaggio dell’ente – che potrebbe non coincidere con il profitto ricavato dal (omissis) persona fisica – e il valore dell’immobile sottoposto a confisca -il capannone costruito con i contributi erogati, che non viene mai indicato nelle sentenze di merito”.

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Riferimenti normativi.

Art. 39 D.lgs. n. 231/2001. Rappresentanza dell’ente.

  1. L’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo.
  2. L’ente che intende partecipare al procedimento si costituisce depositando nella cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente una dichiarazione contenente a pena di inammissibilità:
  3. a) la denominazione dell’ente e le generalità del suo legale rappresentante;
  4. b) il nome ed il cognome del difensore e l’indicazione della procura;
  5. c) la sottoscrizione del difensore;
  6. d) la dichiarazione o l’elezione di domicilio.
  7. La procura, conferita nelle forme previste dall’articolo 100, comma 1, del codice di procedura penale, è depositata nella segreteria del pubblico ministero o nella cancelleria del giudice ovvero è presentata in udienza unitamente alla dichiarazione di cui al comma 2.
  8. Quando non compare il legale rappresentante, l’ente costituito é rappresentato dal difensore.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di responsabilità amministrativa ex d.lgs. n. 231/2001:

Cassazione penale, sez. VI, 25/07/2017, n. 49056.

La natura unipersonale della Srl non salva dall’applicazione della norma sulla responsabilità da reato dell’ente. Lo afferma la Cassazione chiarendo che il Dlgs 231/2001 si applica anche in tal caso, in quanto la società, anche se unipersonale, è soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote. Per la Corte, una lettura corretta delle disposizioni in materia di responsabilità delle imprese, impone, infatti, di escludere che il legislatore abbia scelto un criterio di imputazione di “rimbalzo” dell’ente rispetto alla persona fisica.

 Cassazione penale, sez. VI, 22/06/2017, n. 41768.

L’illecito amministrativo non si estingue quando il reato presupposto si è prescritto dopo la contestazione dell’addebito all’ente. L’estinzione del reato infatti non impedisce al Pm di proseguire l’azione se il procedimento nei riguardi dell’ente fosse già stato incardinato (articolo 16, del Cpp; articoli 11 e 36, del Dlgs 231/2001).

Cassazione penale, sez. VI, 12/02/2016, n. 11442.

In tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001 – che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configurando un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza – grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

 Cassazione penale, sez. VI, 09/02/2016, n. 12653.

In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 prevede che il fatto, in grado di consentire l’addebito a carico dell’ente, sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni apicali ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale. I due criteri di imputazione sono alternativi o concomitanti: quello costituito dall’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn).

 Cassazione penale, sez. VI, 10/11/2015, n. 28299.

In tema di responsabilità da reato degli enti, nella ipotesi di mancata identificazione dell’autore del reato presupposto, può essere affermata la responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n.231 del 2001, solo quando sia, comunque, individuabile a quale categoria, tra quelle indicate, agli artt. 6 e 7 del medesimo decreto, appartenga l’autore del fatto, e sia, altresì, possibile escludere che questi abbia agito nel suo esclusivo interesse.

Cassazione penale, sez. VI, 23/07/2012, n. 30085.

La normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi.

 Cassazione penale, sez. V, 26/09/2012, n. 44824.

Il fallimento della società non è equiparabile alla morte del reo e quindi non determina l’estinzione della sanzione amministrativa prevista dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.

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