Bancarotta semplice: sussiste responsabilità penale solo se c’è colpa grave nella condotta di aggravamento del dissesto.
Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza n. 53182/2018 – dep.27.11.2018, resa dalla Suprema corte in materia di bancarotta semplice.
Il thema decidendumdella pronuncia de quariguarda, in particolare, la natura dell’elemento soggettivo che connota il delitto di cui all’art. 217 l.fall..
Ne giudizio di merito la Corte di appello di Trento aveva confermato la sentenza di condanna emessa dal G.U.P. del Tribunale di Rovereto all’esito del giudizio abbreviato nei confronti degli imputati tratti a giudizio: due nella qualità di componenti del consiglio di amministrazione e altri nella veste di membri del collegio sindacale.
I giudicabili nei rispettivi ruoli di componenti dell’organo gestorio e di controllo, erano stati ritenuti penalmente responsabili del solo addebito di bancarotta semplice, per avere aggravato il dissesto di una s.p.a., dichiarata fallita nel novembre del 2010, omettendo di adempiere agli obblighi di legge pur in presenza di perdite di bilancio manifestatesi già nel giugno 2005.
In particolare, secondo l’ipotesi accusatoria, nel bilancio relativo all’esercizio 2005 le perdite erano state indicate in € 184.417,00, mentre un maggiore importo era stato coperto mediante la contestuale iscrizione di elevate somme tra le poste attive di bilancio, alla voce “Immobilizzazioni immateriali”, (relativa a costi inerenti attività di ricerca e di sviluppo) e, alla voce “imposte anticipate”, senza che ne sussistessero i presupposti contabili, in tal modo cagionando sia l’aumento della situazione debitoria, sia la completa dispersione del patrimonio aziendale rappresentato dalle attività di ricerca e sviluppo prodotte in azienda.
Tra i diversi motivi di ricorso articolati dalle difese degli imputati il Collegio del diritto ha ritenuto fondati quelli afferenti il tema della colpevolezza (necessità della colpa grave) e del rispetto dei principi contabili da utilizzare per la redazione del bilancio.
La Suprema corte ha, quindi, accolto i ricorsi interposti contro la sentenza di secondo grado ravvisando, in parte, le carenze motivazionali denunciate con i motivi di appello, disponendo, per l’effetto, l’annullamento della sentenza gravata con rinvio alla Corte territoriale per un nuovo giudizio.
Di seguito si riporta il passaggio della motivazione sulla violazione dei principi contabili nell’appostamento delle voci del bilancio e sull’incidenza rispetto alla regiudicanda:
“… nel capo di imputazione si legge che le appostazioni concernenti le “immobilizzazioni immateriali” e le “imposte anticipate” risultano censurabili perché non ne esistevano i presupposti contabili. La Corte trentina, come già il giudice di primo grado, reputa che il principio violato sia il n. 24 (OIC, ndr), diffusamente richiamato a pag. 26 della motivazione della sentenza impugnata e certamente ispirato dalla necessità di adottare criteri di prudenza nella redazione di un bilancio di esercizio: in vero, è innegabile che, a fronte della ritenuta fattibilità tecnica di un prodotto o di un progetto, sia doveroso che l’impresa possieda risorse adeguate, sul piano finanziario, tecnologico e umano, o dimostri la possibilità di procurarsene. Identico criterio di prudenza appare sotteso al principio n. 23, in tema di imposte, laddove si richiede una ragionevole certezza sul futuro recupero degli importi indicati, nella prospettiva di risultati di esercizio altrettanto certi. (…)
Ma, ferma restando la necessità di analizzare gli aspetti ora evidenziati al diverso e successivo fine di giungere alla prova della gravità della colpa, come appresso si tornerà a precisare, ritiene il collegio che, a monte, non è su principi come quelli nn. 23 o 24 che possa ancorarsi un addebito qualificato ai sensi dell’art. 224 n. 2 legge fall. Venir meno ad un criterio di prudenza, da considerare tanto essenziale da potersi ritenere primario ed elementare nella redazione di un bilancio, comporta il delinearsi di una condotta che, se produttiva di appostazioni non conformi al vero, l’ordinamento già sanziona penalmente in forza dell’art. 2621 cod. civ.; e che – ricorrendone gli ulteriori presupposti, ove ne derivi il dissesto di una società poi dichiarata fallita – può semmai concretizzare il diverso delitto previsto dall’art. 223, comma secondo, n. 1 della stessa legge fallimentare (delitto che, peraltro, la giurisprudenza ritiene pacificamente configurabile non solo laddove il falso in bilancio abbia cagionato o concorso a cagionare un dissesto ancora inesistente, ma anche in caso di aggravamento: v., da ultimo, Cass., Sez. V, n. 29885 del 09/05/2017, Merlo). (…) L’omessa indicazione di principi, o presupposti contabili in genere, diversi dall’unico criterio di prudenza sostanzialmente segnalato, determina quindi una lacuna motivazionale che il giudice del rinvio è chiamato a sanare.
(…)
E sulla componente psicologica quale elemento costitutivo della bancarotta semplice:
“Sul piano dell’elemento soggettivo, è innegabile che, per potersi ravvisare gli estremi della colpa, sia necessaria la prevedibilità dell’evento adottando criteri di valutazione ex ante, come correttamente segnalato da tutte le difese. Ineccepibile, a riguardo, è l’osservazione spiegata nell’interesse del (omissis) (in termini, comunque, validi anche per i coimputati) secondo cui «la ricostruzione della legittimità dell’impiego di un principio contabile (che è una guida convenzionale alla valutazione di un dato materiale) si deve fondare sull’accertamento che, dal punto di vista fattuale (e non valutativo) i dati materiali posti alla base della valutazione siano quelli realmente sussistenti, e che la conclusione del redattore, quanto al valore da attribuirsi a quei dati materiali, sia ragionevole, cioè non illogica e coerente, intrinsecamente ed estrinsecamente (in relazione agli altri elementi). Il percorso di accertamento dei giudici di merito, nel caso di specie, è continuamente “contagiato” da valutazioni ex post». Il rilievo, su cui deve convenirsi, si ricollega alla ritenuta decisività – come detto, già ai fini della prova del fatto contestato – di quel che accadde dopo l’approvazione del bilancio. Tuttavia, ed ancor prima, non appare esaminato neppure il tema, sollevato dalla difesa degli amministratori (omissis), della necessità di ravvisare gli estremi non di una colpa tout court, bensì connotata da requisiti di gravità.
Va precisato che per non tutte le ipotesi di bancarotta semplice, al di là delle condotte dolose, si richiede una colpa grave, contemplata solo dall’art. 217, comma primo, n. 4 legge fall.: norma, questa, che viene normalmente ricordata come volta a sanzionare l’imprenditore che si sia astenuto dal sollecitare la dichiarazione del proprio fallimento, ma che in realtà punisce chi abbia aggravato il proprio dissesto (con l’astensione dalla richiesta di fallimento a costituirne una delle esemplificazioni). Il dato normativo, al di là di alcune oscillazioni interpretative, è – per quanto di odierno interesse – di chiara lettura, recitando che per un imprenditore assume rilevanza penale l’avere “aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”: ergo, laddove si ascriva a taluno, ai fini di una imputazione di bancarotta ai sensi del citato art. 217, una condotta produttiva di aggravamento del dissesto, è necessario che il comportamento de quo sia stato gravemente colposo (…)
Ne deriva, riassumendo i termini del problema, che un problema di gravità della colpa si pone, nell’ambito della più ampia categoria dei comportamenti rilevanti ai fini di un addebito di bancarotta semplice, per le condotte produttive di un aggravamento del dissesto: e se, fra queste, deve ritenersi compresa l’omessa presentazione di una richiesta di fallimento in proprio, ex art. 217, comma primo, n. 4 legge fall., è parimenti innegabile che vi rientrino quelle che si assume abbiano aggravato (o addirittura) cagionato il dissesto per effetto di inosservanza degli obblighi che la legge impone ad amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società (art. 224 n. 2, che estende le previsioni sanzionatorie dello stesso art. 217).
Tanto precisato, il tema della sussistenza o meno di una colpa grave, vuoi a carico degli amministratori Dezza e Mameli, vuoi con riferimento agli ulteriori imputati, non risulta affrontato dalla Corte territoriale, ed anche su tale punto si impone l’annullamento della sentenza”.
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Riferimenti normativi
Art. 217 R.D. n. 267/1942 (l. fall.). Bancarotta semplice
- È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente:
1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;
2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;
3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;
4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;
5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.
- La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
- Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.
Art. 224 l. fall. Fatti di bancarotta semplice.
- Si applicano le pene stabilite nell’art. 217 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali:
1) hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo;
2) hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di bancarotta semplice:
Cassazione penale sez. V 28 maggio 2018 n. 39009
In tema di bancarotta semplice documentale, l’ art. 217 l. fall . si applica anche al liquidatore della società che abbia omesso la tenuta dei libri e delle scritture contabili obbligatorie, oppure abbia provveduto in maniera irregolare o incompleta alla tenuta delle predette.
Cassazione penale sez. V 12 marzo 2018 n. 18108
Nel reato di bancarotta semplice, la mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento da parte dell’amministratore (anche di fatto) della società è punibile se dovuta a colpa grave che può essere desunta, non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma. in concreto, da una provata e consapevole omissione.
Cassazione penale sez. V 03 maggio 2017 n. 33878
In tema di reati fallimentari, il regime tributario di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, previsto dall’art. 2214 cod. civ., con la conseguenza che il suo inadempimento può integrare la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta semplice.
Cassazione penale sez. V 03 maggio 2017 n. 33878
Non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, ex art. 521 cod. proc. pen., la condanna per bancarotta documentale semplice dell’imputato di bancarotta documentale fraudolenta, non sussistendo tra il fatto originariamente contestato e quello ritenuto in sentenza un rapporto di radicale eterogeneità o incompatibilità né un “vulnus” al diritto di difesa, trattandosi di reato di minore gravità.
Cassazione penale sez. V 26 aprile 2017 n. 37910
Sussiste il reato di bancarotta semplice documentale anche quando la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non si protragga per l’intero triennio precedente alla dichiarazione di fallimento. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto configurabile il reato a carico dell’amministratore della società fallita che non aveva ricoperto la carica per l’intero triennio antecedente alla sentenza di fallimento).
Cassazione penale sez. V 28 febbraio 2017 n. 14846
Il reato di inosservanza dell’obbligo di deposito delle scritture contabili, previsto dall’art. 220 l. fall., concorre con quelli di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’art. 216, comma 1, n. 2), l. fall. e di bancarotta semplice documentale, di cui all’art. 217, comma 2, l. fall., tutte le volte in cui la condotta di bancarotta non consista nella sottrazione, distruzione ovvero nella mancata tenuta delle scritture contabili, ma nella tenuta irregolare o incompleta delle stesse ovvero in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
Cassazione penale sez. V 25 novembre 2016 n. 5461
L’oggetto del reato di bancarotta semplice documentale è rappresentato da qualsiasi scrittura la cui tenuta è obbligatoria, dovendosi ricomprendere tra queste anche quelle richiamate dal comma secondo dell’art. 2214 c.c., e cioè tutte le scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sussistente il reato in relazione ai “mastrini” delle spese di cassa – che rappresentano l’andamento della cassa contanti e sono elementi necessari alla sua comprensione – irritualmente tenuti nel triennio antecedente alla dichiarazione di fallimento).
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