Frodi carosello e associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari: la determinazione della competenza territoriale e l’analisi degli elementi costitutivi dei delitti fiscali secondo una recente sentenza di legittimità.

Si segnala ai lettori del blog la recente sentenza di n. 53981/2018 – depositata il 03.12.2018, resa dalla Corte di Cassazione in materia di reati fine di natura tributaria commessi con frode dagli associati a delinquere.

La sentenza è di estremo interesse per gli operatori di diritto che si occupano della materia per i diversi profili affrontati dal Collegio del diritto sia di natura processuale, segnatamente per la determinazione della competenza territoriale nel reato associativo, sia di diritto sostanziale per i reati fiscali oggetto di scrutinio.

 

La vicenda processuale in sintesi

La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza di condanna emessa dal G.U.P. del Tribunale di Como all’esito di giudizio abbreviato nei confronti degli imputati tratti a giudizio per i reati di cui all’art. 416, primo e secondo comma, cod. pen. e artt. 2, 8 e 10 d.lgs. 74/2000, per avere promosso e costituito un’associazione per delinquere volta a commettere più delitti di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, occultamento e/o distruzione delle scritture contabili, omessa dichiarazione, falso, contrabbando, attraverso una sistematica rete di “frodi carosello”. Avverso tale provvedimento ricorrevano gli imputati deducendo diversi motivi in diritto ed in rito.

La Suprema Corte ha accolto un unico motivo contenuto nel ricorso interposto da uno dei giudicabili, segnatamente quello relativo alla insussistenza dell’aggravante contestata ex art. 61 n.7 e, conseguentemente, rideterminato la pena determinazione dell’entità della pena inflitta nel doppio grado di merito.

Per il resto ha dichiarato inammissibili i ricorsi.

 

I principi di diritto.

Di seguito si riportano i più significativi passaggi della motivazione schematizzandone il riferimento alla doglianza sollevata:

(i): eccepita incompetenza del Giudice dell’Udienza Preliminare comasco a conoscere del processo in relazione alla fattispecie delittuosa di associazione a delinquere.

“… risulta pienamente logica la valutazione svolta dalla Corte d’appello, secondo cui il meccanismo fraudolento posto in essere da (omissis) esigeva che si potesse vendere sistematicamente in Italia attraverso una società estera in grado di poter acquistare merce senza applicare l’IVA; sicché fino a quando ciò non fosse stato materialmente possibile per l’assenza di una società siffatta, l’associazione a delinquere non poteva concretamente operare in alcun modo. Pertanto, solo con la fissazione della sede legale della società svizzera (omissis) presso l’abitazione dell’attuale ricorrente – a Como – la rete criminale ha potuto programmare, dirigere e organizzare le attività fraudolente di cui in imputazione. 

(…) In ogni caso, seppure si volesse ammettere (e così non è) che il pactum sceleris sia sorto nel territorio napoletano o che, nel predetto territorio il (omissis) avesse sostanzialmente deciso o pensato di creare la rete criminale di cui in imputazione, ciò non avrebbe alcuna rilevanza in punto di individuazione della competenza territoriale, giacché solo con la creazione di una struttura permanente, esteriormente percepibile e rivolta alla commissione di una serie indeterminata di reati si realizza la situazione di pericolo per l’interesse tutelato dalla norma che giustifica l’incriminazione.Infatti – come visto – si deve avere riguardo esclusivamente al primo momento di espressa e manifesta esplicazione dell’attività criminale dell’associazione nuovamente costituita, nonché al luogo in cui la stessa abbia continuativamente e pacificamente operato: in entrambi i casi, per quanto detto, il territorio comasco”.

 

(ii)mancata applicazione della scriminante di cui all’art. 9 d.lgs. 74/2000.

A tale proposito, infatti, si ricorda che il principio – non ignorato dalla difesa – secondo cui la predetta scriminate non si applica al soggetto che sia contemporaneamente rappresentante legale della società emittente e di quella utilizzatrice delle fatture inesistenti(ex plurimis Sez. 3, n. 5434 del 25/10/2016; Sez. 3, n. 19025 del 20/12/2012; Sez. 3, n. 47862 del 06/10/2011) trova la sua ragione d’essere nella ratio della scriminante che, nel rispetto del divieto di bis in idem, intende evitare che l’emittente di una fatture per operazioni inesistenti possa essere punito a titolo di concorso nell’utilizzazione di detta fattura e, corrispondentemente, che l’utilizzare delle fatture possa essere punito a titolo di concorso nell’emissione delle stesse. La norma fa salva, però, l’ipotesi in cui uno stesso soggetto direttamente provveda ed emettere fatture false e, sempre direttamente, utilizzi tali fatture ai fini dell’indicazione nella dichiarazione annuale di elementi passivi. In questo caso, infatti, il soggetto in questione pone effettivamente in essere due condotte distinte, nelle quali è coinvolto attivamente e, conseguentemente, non subisce illegittimamente una doppia condanna per lo stesso fatto. Del resto, opinando diversamente, si genererebbe l’inconveniente di dover determinare quale dei due reati – la dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 o l’emissione di fatture false di cui all’art. 8 – debba essere punito e quale, invece, debba essere ritenuto non punibile. E non è un caso che nel sistema sanzionatorio del d.lgs. n. 74 del 2000 manchi una disposizione che indirizzi su come effettuare questa scelta (ex plurimis, Sez. 3, n. 5434 del 25/10/2016, dep. 06/02/2017, Rv. 269279; Sez. 3, n. 19025 del 20/12/2012, 02/05/2013, Rv. 255396). Dunque, l’esigenza di ragionevolezza e inderogabilità della repressione sanzionatoria, rende pienamente conforme a costituzione la predetta interpretazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000”.

(iii)sulla legittimità dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 7) c.p. ai reati tributari in contestazione.

A tale proposito, deve ribadirsi che la circostanza aggravante dell’aver cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità risulta incompatibile con il reato di associazione a delinquere ex art. 416 cod. pen., in quanto il requisito del danno patrimoniale è estraneo alla struttura del reato associativo, non derivando dalla mera costituzione di un sodalizio criminoso, ancorché ispirato a motivi di lucro, un danno patrimoniale (ex plurimis Sez. 3, n. 35454 del 26/05/2010). Infatti, solo con l’attuazione del programma criminoso si verifica la lesione di beni giuridici con conseguente prodursi di danni patrimoniali, i quali, pertanto, derivano dalla commissione dei reati fine, sicché soltanto in relazione ad essi può ritenersi configurabile l’aggravante in esame”.

(…) Al contrario, deve essere ritenuta corretta la statuizione dei giudici del gravame con riferimento all’applicabilità dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità al reato ex art. 8 del d.lgs n. 74 del 200 di cui capo 8) dell’imputazione. Infatti, la circostanza in questione si applica non soltanto ai reati contro il patrimonio, ma a tutte le fattispecie che, in ogni caso, offendano il patrimonio della persona offesa.Nel caso di specie non può negarsi che l’emissione di una moltitudine di fatture per operazioni inesistenti – per un totale di € 570.499,84 nell’anno 2011, 22.256.666,78 nell’anno 2012, 51.996.413,24 nell’anno 2013, 2.325.451,46 nell’anno 2014 – abbia prodotto un grave danno al patrimonio dell’amministrazione finanziaria, la quale, come più volte sottolineato da questa Corte (ex plurimis Sez. 3, n. 42632 del 16/04/2013) è, a tutti gli effetti, persona offesa dalla commissione dei reati fiscali e dunque soggetto sul cui patrimonio valutare la sussistenza dell’aggravante in questione”.

 

(iv) sul concetto di fattura soggettivamente inesistente.

A tale proposito, come già osservato dai giudici del gravame, si rileva la manifesta infondatezza dell’asserzione della difesa secondo cui la giurisprudenza di legittimità avrebbe affermato che l’utilizzazione di fatture soggettivamente inesistenti nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette non integra una violazione penale perché non determina alcuna evasione d’imposta. Infatti, mentre con riguardo alle imposte dirette, l’effettiva esistenza dell’operazione e del conseguente esborso economico, corrispondente a quanto dichiarato, esclude il carattere fittizio degli elementi passivi indicati nella dichiarazione, a nulla rilevando, in linea di massima, che il destinatario degli stessi sia un soggetto diverso da quello reale, con riguardo all’IVA la detrazione è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che ha effettuato la prestazione, giacché, tutto il sistema del pagamento e del recupero dell’imposta si basa sul presupposto che la stessa sia versata a chi ha effettuato le prestazioni imponibili, mentre il versamento dell’imposta ad un soggetto non operativo o diverso da quello effettivo, consentirebbe un recupero indebito dell’IVA stessa(ex plurimis Sez. 3, n. 26431 del 16/03/2016; Sez. 5, n. 3105 del 12/02/2014)”.

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Riferimenti normativi

Art. 416 c.p. Associazione a delinquere

Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.

Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.

capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.

Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni.

La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più.

Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600601601 bis e 602, nonché all’articolo 12, comma 3 bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché agli articoli 22, commi 3 e 4, e 22-bis, comma 1, della legge 1° aprile 1999, n. 91, si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da quattro a nove anni nei casi previsti dal secondo comma.

Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti previsti dagli articoli 600 bis600 ter600 quater600 quater 1600 quinquies609 bis, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, 609 quater609 quinquies609 octies, quando il fatto è commesso in danno di un minore di anni diciotto, e 609 undecies, si applica la reclusione da quattro a otto anni nei casi previsti dal primo comma e la reclusione da due a sei anni nei casi previsti dal secondo comma. 

Art. 2. D. lgs. n. 74/2000. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti 

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 
  2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Art. 8. D. lgs. n. 74/2000. Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
  2. Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti:

Cassazione penale, sez. fer., 31/08/2017,  n. 47603

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile anche nel caso in cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da terzi, poiché la “ratio” del reato di frode fiscale risiede nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti al fine di abbattere l’imponibile, e non presuppone il concorso del terzo.

Cassazione penale, sez. III, 09/06/2017,  n. 39541

Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche l’inesistenza soggettiva.

 

Cassazione penale, sez. III, 21/04/2017,  n. 34534

Ai fini della configurabilità del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti, quando risulti provata dalla pubblica accusa la fittizietà dell’intestazione delle fatture, è onere del soggetto emittente dimostrare la corrispondenza fra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale tali rapporti sono attestati. (Nella specie, la Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto sprovvista di prova la mera allegazione difensiva circa l’esistenza di una delegazione di pagamento intercorsa fra l’intestatario delle fatture di vendita di alcune autovetture ed i diversi soggetti che avevano versato il relativo prezzo).

Cassazione penale, sez. III, 19/01/2017,  n. 24307

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Cassazione penale, sez. III, 30/11/2016,  n. 14815

Risponde di concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. n. 74 del 2000) il soggetto che, d’intesa con gli autori delle dichiarazioni, fornisca ai medesimi, nell’ambito dell’attività di “esperto contabile” prestata in loro favore, le fatture per operazioni inesistenti all’uopo fatte predisporre da terzi.

Cassazione penale, sez. III, 19/05/2016,  n. 7941

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 d.Lg. n. 74/2000, è integrati dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall’inserimento nella dichiarazione di imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento delle recenti pronunce in materia di emissione di fatture per operazioni inesistenti:

Cassazione civile sez. VI  06 luglio 2018 n. 17774  

In tema di I.V.A., l’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972, ai sensi del quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare in esse indicato, va interpretato nel senso che, anche in considerazione della rilevanza penale di tale condotta, il corrispondente tributo viene considerato “fuori conto” e la relativa obbligazione “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, senza che possa operare il meccanismo di compensazione, tra I.V.A. “a valle” ed I.V.A. “a monte”, che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 del d.P.R. citato, il cui diritto è subordinato, quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, oltre che alla qualità d’imprenditore dell’acquirente, all’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale

Cassazione penale sez. II  07 giugno 2018 n. 30401  

In materia di reati tributari, ai fini del sequestro e successiva confisca, il prezzo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti è identificabile nel compenso pattuito o riscosso per eseguire il delitto.

Cassazione penale sez. VI  13 ottobre 2016 n. 52321  

Integra il reato di emissione di fatture inesistenti al fine di eludere le imposte dirette e l’IVA, previsto dall’art. 8, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l’emissione di fatture aventi ad oggetto la prestazione di servizi di consulenza, al fine di “coprire” l’erogazione di somme di denaro in esecuzione di un accordo corruttivo, essendo tali operazioni riconducibili alla categoria delle “operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte” prevista dall’art. 1, comma primo, lett. a), D.Lgs. n. 74 del 2000.

Cassazione penale sez. III  20 settembre 2016 n. 47972  

L’amministratore condannato per il reato di cui all’art. 8 d.lg. n. 74/2000, relativo all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, per invocare l’esimente dello stato di necessità, ex art. 54 c.p., ha l’onere di allegare di aver agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile (nel caso di specie, l’amministratore di diritto sosteneva di essere una mera “testa di legno” e di aver sottoscritto le fatture sotto la minaccia di licenziamento da parte dell’amministratore di fatto)

Cassazione penale sez. III  15 ottobre 2014 n. 50628  

In tema di reati tributari, non integra la fattispecie di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 d.lg. n. 74 del 2000) la consegna di fattura priva dei requisiti di forma e contenuto indicati dall’art. 21, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, che costituiscono gli elementi necessari affinché si possa presumere la veridicità di quanto rappresentato nel documento, così da renderlo idoneo a costituire titolo per il contribuente ai fini della deduzione del costo relativo. (Fattispecie di rilascio a terzi di bollettari, in bianco, completi di partita i.v.a. e del timbro con la ragione sociale dell’impresa).

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