Sfruttamento del lavoro e caporalato: per la cassazione è inapplicabile la confisca prevista dall’art. 600-septies cod. pen.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza n. 54024/2018 – depositata il 03.12.2018, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione in materia di reati commessi nei luoghi di lavoro.

Il Collegio del diritto ha, infatti, ritenuto inapplicabile al reato di caporalato la confisca ex art.600-septiescod. pen. in base ad una lettura diacronica e sistematica delle norme sedimentate in materia.

Venendo alla vicenda giudiziaria oggetto dello scrutinio di legittimità, la difesa degli imputati proponeva ricorso innanzi alla Suprema corte contro l’ordinanza del Tribunale del riesame di Padova che ha rigettato il riesame e confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP in sede, finalizzato alla confisca (per equivalente) della somma di € 550.249,00 in relazione al reato di cui all’art. 603-bis cod. pen., corrispondente al vantaggio ottenuto per l’omesso versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti per i singoli lavoratori nel periodo contestato (2012-2016).

I ricorrenti lamentavano la violazione di legge in relazione all’art. 600-septies cod. pen., all’art. 2 cod. pen., all’art. 7 CEDU, all’art. 25 Cost., all’art. 12 delle cd. Preleggi, avendo il Tribunale ritenuto che la fattispecie di confisca prevista dall’art. 600-septies cod. pen. fosse applicabile al reato di cui all’art. 603-bis cod. pen., fattispecie introdotta successivamente sia all’art. 600-septies che agli stessi fatti oggetto di giudizio.

La Corte accoglie il ricorso degli imputati per i motivi di seguito riportati.

Occorre muovere da una lettura sistematica e diacronica delle norme che hanno introdotto e modificato nel tempo l’art. 600-septies cod. pen., lettura da cui pare lecito desumere che la confisca in esso prevista non abbia mai riguardato il reato di cui all’art. 603-bis cod. pen. 

(…) il mero dato formale costituito dal fatto che l’ultima versione dell’art. 600-septies cod. pen. sia entrato in vigore in epoca successiva alla introduzione della norma di cui all’art. 603-bis cod. pen. non comporti l’automatica applicabilità a tale specifico reato di quella ipotesi di confisca, sulla base del mero richiamo, ivi contenuto, ai «delitti previsti dalla presente sezione»

Anzitutto, dalla analisi della ratio introduttiva dell’art. 600-septies cod. pen. e dal tenore delle stesse modifiche legislative ad esso apportate nel corso degli anni, appare evidente che tale disposizione ha sempre avuto lo scopo di contrastare in maniera più efficace fenomeni di abuso nei confronti dei minori (legati alla prostituzione, alla pornografia o a condotte di violenza sessuale), mediante la previsione di sanzioni aggiuntive per i responsabili di tali specifici delitti, costituite da pene accessorie e dalla confisca di beni costituenti prodotto, prezzo o provento dei reati in questione. 5.2. In tutti gli interventi normativi che hanno apportato modifiche all’art. 600-septies cod. pen. non vi è mai stato alcun riferimento – neppure implicito – al reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

(…) Allo stesso modo, nessun riferimento alla confisca ex art. 600-septies cod. pen. è presente nel provvedimento legislativo che ha introdotto l’art. 603-bis cod. pen. In buona sostanza, dai suddetti interventi normativi non è dato ricavare alcun dato sistematico né alcuna esplicita intenzione del legislatore di prevedere la confisca ex art. 600-septies cod. pen. anche ai casi di condanna per il reato di cui all’art. 603-bis cod. pen.

La conferma di quanto precede è fornita dall’art. 600-septies2 cod. pen., anch’esso introdotto con la legge n. 172/2012, che, pur riportando la stessa espressione dell’art. 600-septies («delitti previsti dalla stessa sezione»), prevede per tali delitti pene accessorie (perdita della responsabilità genitoriale, interdizione perpetua da uffici attinenti alla tutela, curatela o amministrazione di sostegno, perdita del diritto agli alimenti e esclusione dalla successione della persona offesa) coerenti con i reati a tutela di vittime minorenni ma del tutto incongruenti rispetto alla tutela di lavoratori vittime di intermediazione illecita e di sfruttamento di cui all’art. 603-bis cod. pen. E’ infatti evidente che quelle pene accessorie non hanno alcuna attinenza con la condotta incriminatrice in disamina, riconducibile al fenomeno del cd. “caporalato” (forma illegale di organizzazione della manodopera attraverso intermediari che reclutano persone per destinarle al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento), rispetto al quale la modifica introdotta nel 2016 con la legge n. 199 ha aggiunto, quale condotta punibile, quella del datore di lavoro che utilizza, assume o impiega” direttamente lavoratori in condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno. Si tratta di una tipologia di reati posti a tutela dell’occupazione, diretti a punire condotte distorsive del mercato del lavoro (Sez. 5, n. 14591 del 04/02/2014, P.M. in proc. Stoican, Rv. 26254101), aventi scopi e finalità diverse rispetto a quelle riconducibili ai reati per la protezione dei minori di cui alla Convenzione di Lanzarote del 2007, cui si ricollega la confisca prevista dall’art. 600-septies cod. pen. nella sua vigente formulazione.

Ciò è tanto vero che, non a caso, per il reato di cui all’art. 603-bis cod. pen. sono state previste, dall’art. 603-ter cod. pen., specifiche pene accessorie, autonome e distinte rispetto a quelle di cui all’art. 600-septies2 cod. pen., a conferma della particolare specificità del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro rispetto agli altri delitti previsti nella stessa sezione a tutela dei minori, cui è ricollegata la confisca ex art. 600-septies cod. pen. Di contro, se si dovesse seguire il ragionamento dell’ordinanza impugnata, si dovrebbero applicare al reato in disamina anche le sanzioni accessorie di cui all’art. 600-septies2 cod. pen., come già detto del tutto incongruenti rispetto al delitto di sfruttamento del lavoro, e ciò soltanto perché anche in quella norma è inserita l’espressione (che a questo punto può definirsi equivoca) «per i delitti previsti dalla stessa sezione», che, come è ormai chiaro a questo punto della trattazione, è la risultante di un difetto di coordinamento intervenuto fra disposizioni legislative succedutesi nel tempo ed aventi ratio e finalità diverse, in nessun modo sovrapponibili.

Un ulteriore argomento a favore della tesi qui propugnata, giustamente enunciato dalla difesa dei ricorrenti, è che se la confisca di cui all’art. 600-septies cod. pen. fosse stata suscettibile di essere applicata anche al reato di sfruttamento della manodopera, non si comprenderebbe la ragione dell’introduzione, con la legge n. 199/2016, dell’art. 603-bis.2 cod. pen. (in vigore dal 4.11.2016), che prevede, appunto, una specifica ipotesi di confisca obbligatoria – diretta o per equivalente – per il reato di cui all’art. 603-bis cod. pen. Pare evidente che la volontà del Legislatore, in questo caso, sia stata proprio quella di introdurre ex novo una ipotesi di confisca obbligatoria specificamente delineata per la fattispecie criminosa previste dall’art. 603-bis cod. pen.

Tale interpretazione è anche imposta da ragioni di necessaria determinatezza della norma penale e di prevedibilità della relativa sanzione, in ossequio a quanto previsto dagli artt. 25 Cost., 7 CEDU e 2, comma 1, cod. pen., che impongono di non limitarsi al dato letterale e “topografico” per cogliere l’esatto significato di norme penali a carattere sanzionatorio, aventi significativa incidenza sulla libertà e/o sul patrimonio dei soggetti indagati. Sotto questo profilo, non può sfuggire l’indubbia genericità ed equivocità dell’espressione «delitti previsti dalla presente sezione», che di per sé non può ritenersi sufficiente, alla luce di quanto detto, per poter ricondurre al reato di cui all’art. 603-bis cod. pen. una previsione di confisca (art. 600-septies cod. pen.) che, peraltro, per quanto consta al Collegio, non ha mai trovato concreta applicazione in relazione al reato in questione, non essendosi riscontrato al riguardo alcun precedente giudiziario specifico.

Si deve, dunque, convenire con la difesa dei ricorrenti che l’espressione «delitti previsti dalla presente sezione» di cui all’art. 600-septies cod. pen. non può fare riferimento anche al reato di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera di cui all’art. 603-bis cod. pen. Ciò in quanto, sulla base di una interpretazione storica e sistematica della norma, della sua ratio e della chiara intenzione del Legislatore di circoscrivere la confisca di cui alla norma citata – al di là del dato letterale-topografico in essa riportato – ai delitti finalizzati alla tutela di minori vittime di abusi, non è possibile estendere al reato di cui all’art. 603-bis cod. pen. la portata applicativa della confisca prevista dall’art. art. 600-septies cod. pen. Ne discende che, nel caso in disamina, i beni non potranno essere confiscati sulla base della norma a carattere sanzionatorio di cui all’art. 600-septies cod. pen., come erroneamente statuito dal Tribunale, ma solo in ragione della specifica previsione di cui all’art. 603-bis.2 cod. pen., e con esclusivo riferimento ai fatti commessi a decorrere dal 4.11.2016, vale a dire dalla data di entrata in vigore di tale ipotesi di confisca, non potendo tale norma sanzionatoria essere applicata retroattivamente, in virtù del noto principio nulla poena sine lege di cui all’art. 25, comma 2, Cost. e di cui all’art. 7 CEDU”.

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Riferimenti normativi

Art. 603-bis c.p. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, e’ punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o piu’ delle seguenti condizioni:

1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali piu’ rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantita’ e qualita’ del lavoro prestato;

2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla meta’:

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o piu’ dei soggetti reclutati siano minori in eta’ non lavorativa;

3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro:

Cassazione penale , sez. V , 16/01/2018 , n. 7891

Il reato di caporalato è configurabile anche in assenza di un profitto, essendo sufficiente l’aver reclutato manodopera posta in condizioni di sfruttamento. Ad affermarlo è la Cassazione che fornisce una stretta interpretazione dell’articolo 603-bis del Cp, che ha introdotto la nuova fattispecie di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, confermando la misura cautelare personale della presentazione presso la polizia giudiziaria per un immigrato indiziato di tale reato. Per la Corte a seguito delle modifiche apportate dalla legge 199/2016 la norma deve essere intesa nel senso che va punito chiunque recluti manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, sul solo presupposto dello stato di bisogno dei lavoratori e senza che sia richiesta, per l’integrazione, una finalità di lucro.

Cassazione penale , sez. V , 12/01/2018 , n. 17939

Ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’ art. 603 – bis c.p. , è sufficiente la sussistenza di anche uno soltanto degli indici dello sfruttamento presenti nella disposizione e l’approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori può ricavarsi dalla condizione di clandestinità degli stessi, che li rende disposti a lavorare in condizioni disagevoli.

Cassazione penale , sez. V , 23/11/2016 , n. 6788

In tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il reato di cui all’art. 603 bis, cod. pen., nel testo precedente alla legge di modifica 29 ottobre 2016, n. 199, richiede “l’attività organizzata” di intermediazione come modalità della condotta, che non richiede necessariamente la forma associativa ma deve svolgersi in modo non occasionale, attraverso una strutturazione che comporti l’impiego di mezzi. (In motivazione, la Corte, applicando, perché più favorevole, la formulazione precedente alla novella del reato di cui all’art. 603 bis cod. pen., ha ritenuto sussistente il requisito dell’attività organizzata di intermediazione nei confronti dei due imputati, i quali curavano tutti gli aspetti organizzativi del lavoro in condizioni di sfruttamento di alcuni 

Cassazione penale , sez. III , 10/02/2016 , n. 10484

In tema di divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, a seguito dell’entrata in vigore del d.lg. n. 8 del 2016 non è più prevista come reato l’ipotesi di intermediazione di manodopera per violazione delle disposizioni in materia di appalto e distacco, di cui all’art. 18, comma 5-bis, d.lg. n. 276 del 2003, mentre continua avere rilevanza la stessa fattispecie ove commessa mediante sfruttamento di minori.

Cassazione penale , sez. V , 18/12/2015 , n. 16735

In tema di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis c.p.) deve ritenersi carente la motivazione sulla base della quale si affermi la configurabilità di detto reato avendo riguardo soltanto agli elementi indicativi dello sfruttamento(quali, nella specie -trattandosi di operai distaccati da altre imprese- un orario di lavoro largamente superiore alla regola delle otto ore giornaliere, la corresponsione di metà della retribuzione dovuta, essendo l’altra metà destinata ai titolari delle imprese distaccanti, il mancato riconoscimento del diritto alle ferie ed alle assenze per malattia), senza che risulti dimostrata la sussistenza anche dell’altro necessario elemento, costituito dall’impiego di violenza, minaccia o intimidazione.

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