Solo l’adozione e l’effettiva attuazione delle procedure previste dal modello organizzativo escludono la responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231/2001.
Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza di legittimità n. 54640/2018, depositata il 06.12.2018, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione in materia di responsabilità amministrativa degli enti che affronta lo specifico profilo della mancata predisposizione dei modelli organizzativi previsti dal d.lgs. n. 231/2001.
Il giudizio di merito
Rimandando alla lettura della sentenza in commento sempre consigliata per ulteriori approfondimenti, in sintesi e per quanto di interesse per il presente commento, va premesso che la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del locale Tribunale con la quale il responsabile del centro operativo di Cologno Monzese della società (omissis) s.p.a., è stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all’art. 322, comma secondo, cod. pen. (istigazione alla corruzione), in relazione ad offerte economiche formulate ad un assistente della società pubblica (omissis) s.p.a.; la prima società a causa e per effetto della condotta posta in essere dal giudicabile (quale soggetto apicale), è stata riconosciuta responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25, comma 2, d.lgs. 231 del 2001, correlato alle contestazioni mosse al prevenuto con l’incolpazione penale.
Di seguito si riporta il passaggio motivazionale che riassume i principi di diritto che informano la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti e l’importanza che assume l’adozione di modelli preventivi – organizzativi per scongiurare la responsabilità societaria ex d.lgs. n. 231/2001:
“Deve al riguardo in via generale osservarsi che la responsabilità degli enti è configurata come derivante da fatto proprio degli stessi, dipendente da uno dei reati specificamente previsti nel catalogo normativo (Cass. Sez. U. n. 38343 del 24/4/2014, Espenhah, rv. 261112; Cass. Sez. 6, n. 27735 del 18/2/2010, Scarafia, rv. 247666).
In particolare danno luogo a responsabilità dell’ente ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 231 del 2001 i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, da chi riveste posizione apicale di rappresentanza, amministrazione o direzione, anche di unità organizzativa dotata di autonomia, o da persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti apicali. La responsabilità si fonda su una colpa di organizzazione, in senso normativo, correlata ai reati specificamente previsti (Cass. Sez. U. n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, rv. 261113): con riguardo a reati commessi da chi riveste posizione apicale la stessa trova espressione nell’art. 6, alla cui stregua l’ente, altrimenti responsabile, può opporre, secondo la scelta del legislatore delegato, la prova della preventiva adozione e attuazione di idonei modelli organizzativi, volti a prevenire reati della specie di quello verificatosi, dell’affidamento del compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli a organismo dell’ente dotato di autonomi poteri, della fraudolenta elusione dei modelli, della non ravvisabilità di un’omessa o insufficiente vigilanza; con riguardo invece a reati commessi da soggetti non apicali, la colpa, avente comunque il significato di rinviare ad un sistema complessivo di regole, è espressa dall’art. 7, in forza del quale l’ente è responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza, inosservanza che è comunque da escludere in caso di preventiva adozione e attuazione di idonei modelli organizzativi.
Il sistema nel suo complesso, come posto in luce anche dalla dottrina, si fonda dunque sulla concreta riconducibilità del fatto alla sfera di operatività e interesse dell’ente e ad un profilo di immedesimazione della responsabilità, la quale può essere esclusa solo nel caso di preventiva adozione di idonei modelli organizzativi, cui sia correlato un proficuo e mirato sistema di prevenzione. Nel caso di reato commesso da soggetto apicale la mancata adozione è di per sé bastevole al fine di suffragare la responsabilità dell’ente (sul punto Cass. Sez. 6, n. 36083 del 9/7/2009, Mussoni, 244256), in quanto viene a mancare in radice un sistema che sia in grado di costituire un oggettivo parametro di riferimento anche per chi è nella condizione di esprimere direttamente la volontà dell’ente.
Nel caso di soggetto non apicale, la circostanza che l’adozione del modello organizzativo valga ad escludere ai sensi dell’art. 7 la responsabilità dell’ente implica che in tale ipotesi il legislatore abbia ritenuto non addebitabile all’ente un profilo di colpa di organizzazione, tale da rendere ravvisabile un’effettiva immedesimazione della responsabilità, dovendosi quindi considerare il reato come estraneo alla sfera di operatività e concreta interferenza dell’ente.
In assenza di un modello organizzativo idoneo, la colpa di organizzazione risulta comunque sottesa ad un deficit di direzione o vigilanza -incentrata su un sistema di regole cautelari-, che abbia in concreto propiziato il reato.
Posto che i reati cui è connessa la responsabilità sono specificamente previsti e che ogni ente deve essere in grado di prevenirne la commissione, anche in rapporto alle rispettive sfere di rischio, occorre che l’assetto organizzativo risulti comunque in grado di assicurare un’azione preventiva, con la conseguenza che solo il concreto ed effettivo esercizio di un mirato potere di direzione e controllo può valere a scongiurare la responsabilità, in questo senso dovendosi intendere il riferimento contenuto nell’art. 7 all’inosservanza dei doveri di direzione e vigilanza, connaturati all’esigenza preventiva di cui si è detto.
In tale prospettiva, nel caso di mancata adozione di modelli organizzativi, i presupposti della responsabilità dell’ente, a seconda che si tratti o meno di soggetto apicale, differiscono solo alla condizione che sia concretamente attestato un assetto, ispirato da regole cautelari, destinato comunque ad assicurare quell’azione preventiva, in tal caso essendo necessario provare che il fatto sia stato propiziato dall’inosservanza nel caso concreto della necessaria azione di direzione o vigilanza.
Qualora peraltro non risultino specificamente dedotti assetti incentrati sul concreto svolgimento di quell’azione, da qualificarsi nondimeno come necessaria, non può dirsi occorrente, al fine di attestare la responsabilità dell’ente, una prova specifica ulteriore, avente ad oggetto la dimostrazione di una regola cautelare rimasta inosservata.
Vuoi dirsi cioè che la mancata previsione di un assetto, connotato dall’attribuzione di mirati poteri e doveri e in grado di esercitare un’azione preventiva, non può tradursi in una condizione di privilegio sotto il profilo probatorio, ma implica che gli obblighi di direzione e vigilanza siano rimasti inosservati, essendo da ciò derivata la commissione del reato da parte del soggetto non apicale”.
*****
Riferimenti normativi
Art. 5. D.lgs. n. 231/2001. Responsabilità dell’ente
- L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
- a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
- b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
- L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
*****
Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di responsabilità amministrativa ex d.lgs. n. 231/2001:
Cassazione penale, sez. VI, 25/07/2017, n. 49056.
La natura unipersonale della Srl non salva dall’applicazione della norma sulla responsabilità da reato dell’ente. Lo afferma la Cassazione chiarendo che il Dlgs 231/2001 si applica anche in tal caso, in quanto la società, anche se unipersonale, è soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote. Per la Corte, una lettura corretta delle disposizioni in materia di responsabilità delle imprese, impone, infatti, di escludere che il legislatore abbia scelto un criterio di imputazione di “rimbalzo” dell’ente rispetto alla persona fisica.
Cassazione penale, sez. VI, 22/06/2017, n. 41768.
L’illecito amministrativo non si estingue quando il reato presupposto si è prescritto dopo la contestazione dell’addebito all’ente. L’estinzione del reato infatti non impedisce al Pm di proseguire l’azione se il procedimento nei riguardi dell’ente fosse già stato incardinato (articolo 16, del Cpp; articoli 11 e 36, del Dlgs 231/2001).
Cassazione penale, sez. VI, 12/02/2016, n. 11442.
In tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001 – che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configurando un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza – grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Cassazione penale, sez. VI, 09/02/2016, n. 12653.
In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 prevede che il fatto, in grado di consentire l’addebito a carico dell’ente, sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni apicali ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale. I due criteri di imputazione sono alternativi o concomitanti: quello costituito dall’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn).
Cassazione penale, sez. VI, 10/11/2015, n. 28299.
In tema di responsabilità da reato degli enti, nella ipotesi di mancata identificazione dell’autore del reato presupposto, può essere affermata la responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n.231 del 2001, solo quando sia, comunque, individuabile a quale categoria, tra quelle indicate, agli artt. 6 e 7 del medesimo decreto, appartenga l’autore del fatto, e sia, altresì, possibile escludere che questi abbia agito nel suo esclusivo interesse.
Cassazione penale, sez. VI, 23/07/2012, n. 30085.
La normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi.
Cassazione penale, sez. V, 26/09/2012, n. 44824.
Il fallimento della società non è equiparabile alla morte del reo e quindi non determina l’estinzione della sanzione amministrativa prevista dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.
©RIPRODUZIONE RISERVATA