Patteggiamento ed art. 2 D.L.vo 74/2000: la richiesta di pena concordata non può essere accolta in assenza di integrale pagamento del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento.

Si segnala li lettori del blog un’interessante sentenza resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione (n. 55498/2018 – depositata il 12.12.2018) in materia di reati tributari.

Il Collegio di legittimità è tornato a pronunciarsi sull’applicabilità dell’istituto del patteggiamento in relazione al reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000.

Nel corso del giudizio di merito, il GIP applicava al prevenuto, ex art. 444 c.p.p. e in relazione al reato di cui all’art. 2, d. lgs. n. 74 del 2000, la pena di 1 anno e 2 mesi di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, disponendo non farsi luogo alla condanna alle spese.

Contro la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, articolando un unico motivo inerente a violazione di legge in relazione all’art. 448, comma 2 bis, c.p.p., essendo stata applicata la pena con la riduzione entro il terzo in assenza dei presupposti di legge ex art. 13 bis, d. lgs. n. 74 del 2000.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso per cassazione e, per quanto di interesse, di seguito si riporta il passaggio motivazionale che descrive le ragioni ostative al “patteggiamento” in difetto di integrale pagamento del debito tributario:

“… al momento della consumazione degli illeciti per cui è processo (periodi di imposta 2012 e 2013) era in vigore il previgente comma 2-bis dell’art. 13 del D.lgs. n. 74 del 2000, che – con disposizione avente tenore sostanzialmente analogo a quella oggi prevista dall’art. 13 bis, d. lgs. n. 74 del 2000, inserito dall’ art. 12, comma 1, D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 – prevedeva per i delitti di cui al medesimo decreto legislativo, “l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2” dello stesso art. 13 D.lgs. n. 74 del 2000, e cioè solo nel caso di estinzione mediante pagamento dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti. Con la norma in questione, il legislatore ha introdotto una esclusione oggettiva dal “patteggiamento”, riferita alla generalità dei delitti in materia tributaria previsti dal D.lgs. n. 74 del 2000: esclusione che si affianca alle numerose esclusioni oggettive dal cosiddetto “patteggiamento allargato” – ossia dal patteggiamento per una pena detentiva compresa tra i due e i cinque anni – già previste dall’art. 444, comma 1-bis, cod. proc. pen. Attraverso detta disposizione processuale – che ha superato indenne il vaglio di costituzionalità (Corte cost., 28 maggio 2015, n. 95) – il legislatore ha inteso rimuovere la preclusione solo quando ricorra una circostanza attenuante speciale collegata alla riparazione dell’offesa causata dal reato, qual è quella delineata dall’attuale art. 13-bis, comma 2, (e, in precedenza, dai commi 1 e 2 dello stesso art. 13 del D.Igs. n. 74 del 2000, come modificato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lett. i) e m), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148): vale a dire, solo se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti considerati siano stati “estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”. Nel caso in esame, il GIP ha invece ammesso l’imputato al rito, in difetto della condizione prevista dall’art. 13-bis, comma 2, (e dall’art. 13, comma 2-bis, d. Igs. n. 74 del 2000, già vigente all’epoca dei fatti), che subordina l’applicazione della pena all’integrale pagamento del debito tributario”.

Per completezza di trattazione del tema applicazione della pena concordata e reati fiscali, si segnala che tutt’altra disciplina normativa ed interpretazione giurisprudenziale ricorre per le ipotesi di reato di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater D.lgs 74/2000 per i quali è possibile accedere al rito alternativo pur in assenza dell’integrale pagamento del debito tributario come recentemente statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.ro 38684/2018 – depositata il 21.08.2018:

L’art. 13 bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art.12 del d.lgs. n. 158 del 2015, prevede che, per i delitti dello stesso decreto,  l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. possa essere chiesta dalle parti “solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2”. A propria volta, il comma 1, richiamato espressamente dal suddetto comma 2, prevede che, sempre per i delitti dello stesso decreto, fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto siano diminuite fino alla metà e non si applichino le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”. Sicché, in altri termini, in forza del combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 13 bis cit., condizione per l’applicazione della pena apparentemente per tutti delitti tributari contemplati dal d. Igs. n. 74 del 2000 verrebbe ad essere rappresentata dall’intervenuto integrale pagamento del debito, delle sanzioni e degli interessi nonché dal ravvedimento operoso. Tale è infatti l’assunto del ricorrente che, includendo nella lettera apparentemente generalizzata della norma anche l’implicito riferimento al reato di cui all’art. 10 ter cit., invoca l’illegittimità del rito speciale praticato nel giudizio de quo, stante l’indimostrata presenza dei presupposti richiesti dalla disposizione. Una siffatta lettura (come del resto già segnalato nella relazione dell’Ufficio del Massimario all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015) appare tuttavia contraddetta dalla coesistenza, all’interno dello stesso decreto, dell’art. 13, comma 1 (non a caso espressamente richiamato dalla parte finale del comma 2 dell’art. 13 bis) che, all’evidente fine di restringere il proprio ambito di applicabilità, prevede che i reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, non siano punibili se “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso”. Proprio tale coesistenza significa infatti (pena, diversamente ragionando, una insanabile contraddizione interna del sistema) che, rappresentando il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento (ovvero entro lo stesso termine ultimo previsto per richiedere il rito speciale), in via radicale e pregiudiziale, causa di non punibilità dei reati ex artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo, per queste stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili. Sicché, in altri termini, o l’imputato provvede, entro l’apertura del dibattimento, al pagamento del debito, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l’applicazione della pena per i medesimi reati; e tale alternativa è, a ben vedere, implicitamente condensata nella clausola di salvezza contenuta, come appena detto sopra, nella parte finale dell’art. 13 bis laddove in particolare lo stesso richiama il contenuto dell’art. 13 comma 1 cit.. Ne consegue come nessuna illegalità della pena, presupposto per la stessa ammissibilità del ricorso, sia ravvisabile nella specie”.

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Riferimenti normativi

Art. 13. D.lg.s n. 74/2000. Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario

  1. I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.
  2. I reati di cui agli articoli 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
  3. Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione.

Art. 13-bis.  D.lgs. n. 74/2000. Circostanze del reato 

  1. Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.
  2. Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2.
  3. Le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema  di patteggiamento nell’ambito dei reati tributari:

Cassazione penale, sez. III, 18/05/2017, n. 38210

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2 bis, d.lg. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lg. 24 settembre 2015 n. 158, nella parte in cui subordina la presentazione della richiesta di patteggiamento alla integrale estinzione del debito tributario in relazione agli artt. 3, 10, 24 e 113 cost., in quanto non vulnera il nucleo del diritto di difesa, non potendo considerarsi la facoltà di accedere al rito alternativo una condizione indispensabile per la sua efficace tutela, non rappresenta una limitazione della tutela giurisdizionale avverso la pretesa erariale, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria e spettando esclusivamente al giudice penale il compito di accertare l’ammontare dell’imposta evasa, né viola il diritto ad un equo processo ed a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto sancito dall’art. 6 Cedu, essendo piuttosto pienamente in linea con gli obblighi internazionali dello Stato.

Cassazione penale, sez. III, 17/05/2017, n. 39081

La procedura di correzione degli errori materiali è applicabile nel caso in cui la sentenza abbia omesso statuizioni obbligatorie per legge e di natura accessoria. (Fattispecie in tema di sentenza di patteggiamento per reati tributari in cui il giudice aveva omesso di disporre la confisca obbligatoria per equivalente ai sensi dell’art. 322-ter c.p.).

Corte Costituzionale, 10/05/2017, n. 102

Restituzione al giudice rimettente degli atti relativi alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, aggiunto dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lett. m), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv., con modif., in l. 14 settembre 2011, n. 148, censurato per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., in quanto, per i delitti in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, stabilisce che l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. può essere chiesta dalle parti solo nel caso di estinzione, mediante pagamento, dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti — comprensivi delle sanzioni amministrative — prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuto il d.lg. 24 settembre 2015, n. 158, che ha apportato un ampio complesso di modifiche al sistema sanzionatorio tributario, tanto penale quanto amministrativo, riscrivendo integralmente l’articolo impugnato, il quale risulta attualmente dedicato alla disciplina dei casi nei quali il pagamento del debito tributario, già configurato come circostanza attenuante speciale, assurge a causa di non punibilità. La disposizione limitativa dell’accesso al “patteggiamento” è stata, quindi, modificata e trasferita nel nuovo art. 13-bis, così come è stata modificata la disciplina relativa alla circostanza attenuante speciale del risarcimento del danno. Le due discipline — vecchia e nuova — differiscono tra loro sotto plurimi profili: spetta, pertanto, al rimettente verificare se, e in quale misura, lo ius superveniens incida sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni formulate (ord. n. 225 del 2015) .

 

Corte Costituzionale, 28/05/2015, n. 95

È infondata la q.l.c., sollevata in riferimento agli art. 3 e 24 cost., dell’art. 13, comma 2 bis, d.lg. n. 10 marzo 2000 n. 74, laddove si stabilisce che, per i delitti di cui al medesimo decreto legislativo, l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. può essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui ai commi 1 e 2 dello stesso art. 13, ossia solo nel caso di estinzione, mediante pagamento, dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti. (La Corte ha altresì dichiarato inammissibile la q.l.c., sollevata in riferimento agli art. 3, 25, comma 2, e 27, commi 1 e 3, cost., dell’art. 12, comma 2 bis, d.lg. n. 74 del 2000, in forza del quale l’istituto della sospensione condizionale della pena non si applica ai delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del medesimo decreto legislativo, quando l’ammontare dell’imposta evasa superi – congiuntamente – il trenta per cento del volume d’affari e tre milioni di euro).

Cassazione penale, sez. III, 11/03/2014, n. 19461

La confisca “diretta” o “per equivalente” del profitto del reato, qualora questo sia individuato o altrimenti individuabile, va sempre obbligatoriamente disposta con la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., mentre, se dal capo di imputazione o dagli atti processuali non sia possibile determinare l’ammontare del profitto conseguito dall’imputato, il giudice deve fornire una specifica motivazione di tale impossibilità, restando comunque salva la possibilità di disporre tale misura ablatoria nella fase esecutiva. (Fattispecie in tema di reati tributari).

Cassazione penale, sez. III, 09/10/2013, n. 44445

La confisca per equivalente del profitto del reato va obbligatoriamente disposta, anche con la sentenza di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., pur laddove essa non abbia formato oggetto dell’accordo tra le parti. (Fattispecie in tema di reati tributari).

Cassazione penale, sez. III, 11/10/2001,  n. 40964

L’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso sentenza di patteggiamento per una contravvenzione di omessa dichiarazione emessa nella vigenza del d.lg. n.74/2000 comporta la riserva al giudice dell’esecuzione della sua eventuale revoca su richiesta dell’intervento per sopravvenuta abolizione del reato.

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