Reato di omessa dichiarazione: la delega al commercialista agli adempimenti tributari non esonera il titolare dell’obbligo giuridico di presentare la dichiarazione fiscale.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 53980/2018 – depositata il 03.12.2018, resa dalla III Sezione Penale della Cassazione in materia di reati tributari.

La Corte di legittimità, chiamata allo scrutinio di diritto in relazione all’art. 5 d.lgs. 74/2000 (omessa dichiarazione) ha fornito interessanti spunti di riflessione sul rapporto tra procedimento penale e tributario e sulla natura della delega agli adempimenti fiscali rilasciata a favore del commercialista, quale circostanza idonea ad escludere la punibilità del destinatario dell’obbligo tributario.

In relazione al giudizio di merito: la Corte d’appello di Milano riformava parzialmente la sentenza del locale tribunalde, che aveva condannato l’imputato, per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 perché, in qualità di legale rappresentante di una s.c.r.l., al fine di evadere l’IVA, aveva omesso di presentare, pur essendone obbligato, la dichiarazione annuale relativa a tale imposta per gli anni 2008 e 2009.

Il Tribunale aveva invece assolto l’imputato per l’omessa dichiarazione IRES, concernente le stesse annualità.

La Corte d’appello dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione con riferimento all’annualità IVA 2008 confermando nel resto la sentenza impugnata, rideterminando la pena per il reato residuo non estinto

Contro la sentenza della Corte territoriale ricorreva la difesa del giudicabile articolando una serie di motivi tra cui, per quanto in questa sede interessa, la denuncia di vizio di motivazione per mancato apprezzamento delle deduzioni difensive relative alla detraibilità di diversi costi sostenuti dalla società e violazione dei principi inerenti al c.d. “doppio binario” penale-tributario, nonché vizio di motivazione in merito alla mancata/carente motivazione sul mancato riconoscimento della esclusiva ed assorbente responsabilità del commercialista delegato al compimento degli adempimenti fiscali per conto della persona giuridica e per essa del legale rappresentante tratto a giudizio.

La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso per i motivi di seguito sommariamente riportati.

Sull’importanza della allegazione documentale dei costi sostenuti in materia di accertamento penale dell’IVA evasa:

Del tutto correttamente i giudici di primo e secondo grado affermano che la sussistenza di costi effettivi non documentati può esplicare effetti sulla determinazione della base imponibile e conseguentemente sulla determinazione dell’imposta, solo con riferimento ai reati concernenti le imposte dirette e non con riferimento all’IVA. Quest’ultima imposta, infatti, è collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale che può funzionare solo attraverso la specifica tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali, a nulla rilevando l’eventuale ed ipotetica sussistenza di costi effettivi non registrati che, in quanto tali non possono esplicare alcun effetto sulla determinazione della base imponibile e, conseguentemente sulla quantificazione dell’imposta evasa; con la conseguenza che l’accertamento del reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 non può prescindere dall’allegazione documentale dei costi sostenuti.Infatti, la giurisprudenza richiamata dalla difesa – secondo cui il giudice penale deve compiere una valutazione che prescinda dal mero dato formale emerso nel corso dell’accertamento tributario, valorizzando il dato fattuale formatosi nel corso del processo (ex plurimis Sez. 3, n. 53907 del 01/06/2016; Sez. 3, n. 38684 del 04/06/2014; Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013) – non intende scorporare l’accertamento dell’evasione IVA dal dato documentale delle fatture emesse, ma intende neutralizzare il rischio di un’eventuale ‘pregiudiziale di carattere fiscale’ e dunque escludere che il giudice penale sia vincolato alle risultanza emerse in sede tributaria, ben potendo, al contrario, svolgere egli stesso una nuova analisi, del tutto automa rispetto al dato formale cristallizzato in sede tributaria, attraverso la quale valorizzare eventuali documenti che l’imputato non aveva, per qualsiasi ragione, presentato durante l’accertamento fiscale, ma può presentare in sede penale. Per questa ragione è più che legittima la statuizione del giudice di merito che valorizzi eventuali costi non documentati con riferimento alle imposte dirette – non vincolate al rispetto di stringenti oneri documentali, la cui mancanza ne impedirebbe il funzionamento intrinseco – e, contemporaneamente, escluda la rilevanza di tali costi, non certificati dalle fatture emesse, per i reati in materia IVA. Bene hanno fatto, pertanto, il Tribunale e la Corte d’appello di Milano ad escludere la sussistenza del reato con riferimento al reato concernente l’IRES, a fronte della prova dichiarativa e della consulenza tecnica circa la sussistenza di eventuali costi sostenuti dall’impresa, e a confermare, invece, la sussistenza del reato IVA, vista l’assenza di qualsivoglia prova documentale circa l’effettività dei costi asseriti”.

Sulla responsabilità del commercialista delegato agli adempimenti fiscali:

Il terzo motivo di ricorso – volto a sostenere l’esclusiva responsabilità del commercialista della società per il reato contestato – è inammissibile, perché consiste nella mera riproposizione di doglienze già esaminate e motivatamente disattese dai giudici di merito. E risulta, comunque, del tutto logica e coerente la valutazione della sentenza impugnata, secondo cui l’eventuale (e neppure accertata) delega attribuita al commercialista per l’adempimento degli oneri contabili e fiscali dell’azienda non esonera l’imprenditore dal predetto adempimento, perché quest’ultimo resta comunque il soggetto direttamente onerato dell’obbligo di provvedere al pagamento delle relative imposte. L’obbligo annuale di presentazione della dichiarazione fiscale non può, infatti, essere oggetto di delega di funzioni perché non integra un’attività duratura e continuativa attribuita alla gestione e al controllo di altro soggetto che agisce sotto la superiore vigilanza dell’imprenditore (circostanza che avviene, ad esempio, in materia di sicurezza sul lavoro), ma, al contrario, integra un adempimento unico e specifico che resta, pertanto, in capo al solo titolare dell’obbligo e dunque al rappresentante legale della società. Non per altro, la fattispecie di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000 integra un reato omissivo proprio di cui, appunto, risponde il solo soggetto titolare dell’obbligo di presentazione della dichiarazione (ex plurimis Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015; Sez. 3, n. 9163 del 29/10/2009). Quest’ultimo non sarà dunque scriminato nel caso – come quello di specie – in cui il professionista delegato alla gestione della contabilità aziendale non presenti la dichiarazione obbligatoria, dovendo egli stesso controllare l’operato del commercialista e, ove necessario, provvedere in tal senso”.

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Riferimenti normativi

Art. 5. D.lgs. n. 74/2000.  Omessa dichiarazione. 

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. 

1-bis.  E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila. 

  1. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di omessa dichiarazione:

Cassazione penale sez. III  18 dicembre 2017 n. 21639  

In tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto di omessa presentazione di dichiarazione Iva ( art. 5 d.lgs.30 ottobre 2000 n. 74 del 2000), qualora vengano accertati ulteriori ricavi rispetto a quelli dichiarati dal contribuente, nelle determinazione del debito imponibile il giudice penale deve accertare l’ammontare della imposta evasa tenendo conto di tutti gli elementi – costi, ricavi, proventi e oneri – che concorrono alla sua formazione.

Cassazione penale sez. III  23 novembre 2017 n. 7000  

Nel delitto di omessa dichiarazione, previsto dall’ art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa ha natura di elemento costitutivo del reato e, come tale, deve formare oggetto di rappresentazione e volizione, anche a titolo di dolo eventuale, da parte dell’agente.

Cassazione penale sez. III  07 novembre 2017 n. 20856  

In tema di reati tributari, il reato di cui all’ art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , come modificato dal d.lgs.24 settembre 2015, n. 158 , è configurabile con la sola omissione della presentazione della dichiarazione, non essendo necessaria la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria.

Cassazione penale sez. III  29 marzo 2017 n. 37849  

Deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali (fattispecie relativa alla contestazione nei confronti di un medico del reato di cui all’art. 5, d.lg. n. 74 del 2000, perché quale soggetto residente in Italia ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 917/86, al fine di evadere le imposte sui redditi delle persone fisiche, non presentava, essendovi obbligato, le dichiarazioni annuali relative a dette imposte dovute).

Cassazione penale sez. III  06 dicembre 2016 n. 4516  

In tema di reati tributari, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 5 d.lg. n. 74 del 2000, per “imposta evasa” deve intendersi l’intera imposta dovuta, da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario. In tale ottica, è il giudice penale che ha il compito di accertare l’ammontare dell’imposta evasa mediante una verifica che può sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, potendo comunque legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari.

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