Responsabilità dell’Ente ed esportazioni di rifiuti: inescusabile l’errore che cade sulla norma extrapenale se evitabile con la dovuta diligenza.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 54703/2018 – depositata il 07.12.2018 resa dalla III Sezione penale della Corte di Cassazione in materia di reati ambientali e responsabilità amministrativa degli Enti, in relazione al reato presupposto di traffico illecito di rifiuti.
Il profilo di diritto controverso sottoposto allo scrutinio di legittimità, che qui interessa segnalare, afferisce alla configurabilità dell’errore che ricade sulla norma extrapenale che disciplina il settore commerciale in cui opera l’impresa.
L’imputazione ed il doppio grado di merito.
La Corte d’appello di Genova confermava la decisione resa dal Tribunale di Genova, appellata dall’imputato e dall’ente quale responsabile amministrativo, che aveva condannato l’imputato in relazione al reato di cui agli artt. 81 cod. pen., 260 d.lgs. n. 152 del 2006, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, quale legale rappresentante della società di capitali, al fine di conseguire un ingiusto profitto, costituito dai maggiori guadagni derivanti dalla cessione dei rifiuti fuori dal territorio nazionale rispetto alla cessione in Italia, senza essere titolare di licenza AQSIQ rilasciata dalle autorità cinesi, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, esportava abusivamente verso la Cina tramite container ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi di tipo plastico, utilizzando licenze AQSIQ intestate a terzi, nonché rifiuti pericolosi.
La corte distrettuale confermava, altresì, la responsabilità amministrativa della società in relazione all’illecito di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a), 25 undecies, comma 2, lett. f) d.lgs. n. 231 del 2001.
Il grado di legittimità.
Nel ricorso per cassazione i ricorrenti hanno censurato la sentenza di secondo grado assumendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, il quale, viceversa, sarebbe da escludere per l’errore in cui versava l’imputato che involge le norme extrapenali richiamate dalla fattispecie incriminatrice in esame.
La Suprema corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riporta il passaggio della motivazione di interesse per il presente commento:
“… ai fini della tracciabilità ciò che rileva è la gestione complessiva dei rifiuti dalla sua origine sino all’arrivo al reale destinatario: e in questo senso è agevole comprendere la ragione per la quale il soggetto originatore dei rifiuti – e non un eventuale intermediario – è colui che deve essere munito della apposita licenza ASQIQ, in quanto responsabile dell’intera operazione della spedizione che si completa soltanto con l’effettivo recupero del rifiuto. Nel caso di specie, invece, le dichiarazioni doganali con esportatore la (omissis) srl, aventi ad oggetto “cascami e avanzi di materie plastiche”, codice OCSE B3010 (rifiuti non pericolosi), indicavano licenza AQSIQ n. (omissis) intestata alla (omissis) LLC. Di conseguenza, l’imputato ha esportato, in più occasioni, ingenti quantitativi di rifiuti non pericolosi verso la Repubblica Popolare Cinese, sebbene la (omissis) srl., società di cui era il legale rappresentate, fosse priva della prescritta licenza AQISQ, indispensabile per la regolarità dell’esportazione.
(…) la Corte territoriale non solo ha escluso la sussistenza dell’errore rilevante ex art. 47, comma, 3 cod. pen. ma ha ravvisato il dolo in capo all’imputato, correttamente osservando che, essendo il (omissis) un soggetto esperto e navigato nello specifico settore del trattamento dei rifiuti, era consapevole dell’illiceità del proprio operare, in assenza dei necessari requisiti previsti dalla normativa di riferimento, alla luce degli accordi intercorrenti tra l’U.E e la Repubblica Popolare cinese.
(…) Trattandosi di norma integratrice del precetto, si è in presenza di un errore che cade sulla fattispecie incriminatrice, che, ai sensi dell’art. 5 cod. pen. come risultante dalla sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte costituzionale, scusa solo nel caso in cui l’ignoranza della legge penale sia inevitabile, situazione che certamente non ricorre nel caso di specie. Come chiarito da questa Corte nel suo più alto consesso a proposito dei limiti di tale inevitabilità, per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 – dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 197885). Di conseguenza, chi svolge una data attività commerciale è gravato dell’obbligo di acquisire informazioni circa la specifica normativa applicabile in quel settore, sicché, qualora deduca la propria buona fede, non può limitarsi ad affermare di ignorare le previsioni di detta normativa – errore che non scusa perché cade sul precetto – ma deve dimostrare di aver compiuto tutto quanto poteva per osservare la disposizione violata.Nel caso di specie, si è in presenza di un’ignoranza del precetto del tutto evitabile, considerando che l’imputato era un operatore commerciale esperto nel settore dei rifiuti e che, in ogni caso, prima di intraprendere l’attività di esportazione di rifiuti verso la Repubblica Popolare Cinese, avrebbe avuto il dovere di acquisire informazioni concernenti la normativa prevista per l’esercizio di detta attività conformemente alla legge”.
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Riferimenti normativi
Art. 260. D.lgs. n. 152/2006. Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti
1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni.
2. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
3. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter del Codice penale, con la limitazione di cui all’articolo 33 del medesimo Codice.
4. Il Giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del Codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di responsabilità amministrativa ex d.lgs. n. 231/2001:
Cassazione penale, sez. VI, 25/07/2017, n. 49056.
La natura unipersonale della Srl non salva dall’applicazione della norma sulla responsabilità da reato dell’ente. Lo afferma la Cassazione chiarendo che il Dlgs 231/2001 si applica anche in tal caso, in quanto la società, anche se unipersonale, è soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote. Per la Corte, una lettura corretta delle disposizioni in materia di responsabilità delle imprese, impone, infatti, di escludere che il legislatore abbia scelto un criterio di imputazione di “rimbalzo” dell’ente rispetto alla persona fisica.
Cassazione penale, sez. VI, 22/06/2017, n. 41768.
L’illecito amministrativo non si estingue quando il reato presupposto si è prescritto dopo la contestazione dell’addebito all’ente. L’estinzione del reato infatti non impedisce al Pm di proseguire l’azione se il procedimento nei riguardi dell’ente fosse già stato incardinato (articolo 16, del Cpp; articoli 11 e 36, del Dlgs 231/2001).
Cassazione penale, sez. VI, 12/02/2016, n. 11442.
In tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, il sistema normativo introdotto dal d.lg. n. 231 del 2001 – che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configurando un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza – grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Cassazione penale, sez. VI, 09/02/2016, n. 12653.
In tema di responsabilità amministrativa degli enti, l’art. 5 d.lg. 8 giugno 2001 n. 231 prevede che il fatto, in grado di consentire l’addebito a carico dell’ente, sia commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni apicali ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale. I due criteri di imputazione sono alternativi o concomitanti: quello costituito dall’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (sezioni Unite, 24 aprile 2014, Espenhahn).
Cassazione penale, sez. VI, 10/11/2015, n. 28299.
In tema di responsabilità da reato degli enti, nella ipotesi di mancata identificazione dell’autore del reato presupposto, può essere affermata la responsabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n.231 del 2001, solo quando sia, comunque, individuabile a quale categoria, tra quelle indicate, agli artt. 6 e 7 del medesimo decreto, appartenga l’autore del fatto, e sia, altresì, possibile escludere che questi abbia agito nel suo esclusivo interesse.
Cassazione penale, sez. VI, 23/07/2012, n. 30085.
La normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi.
Cassazione penale, sez. V, 26/09/2012, n. 44824.
Il fallimento della società non è equiparabile alla morte del reo e quindi non determina l’estinzione della sanzione amministrativa prevista dal d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.
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