Il dirigente sanitario di una struttura penitenziaria non risponde delle omissioni dei medici incaricati della struttura se non ha intrattenuto una diretta relazione terapeutica con il detenuto.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 58363/2018 – depositata il 28.12.2018, resa dalla IV Sezione penale della Corte di Cassazione in materia di responsabilità dei professionisti sanitari.
Il caso de quovedeva coinvolti due operatori all’interno di una struttura carceraria, medico preposto e dirigente sanitario, a cui veniva ascritta la responsabilità penale della morte di un detenuto per aver omesso il trasferimento del medesimo presso una adeguata struttura sanitaria e mancata comunicazione all’Autorità giudiziaria competente degli elementi utili a valutare la compatibilità della misura detentiva in relazione alle condizioni psico-fisiche del detenuto.
L’impugnata sentenza della Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale capitolino con cui due imputati, nella qualità l’uno di dirigente sanitario presso una Casa circondariale locale e altro quale medico incaricato, presso la medesima struttura, venivano giudicati responsabili del reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. per avere cagionato la morte di un detenuto, trasferito da altro carcere, con diagnosi di anoressia, vomito ed ipokaliemia.
In particolare, veniva contestato agli imputati, una volta verificata l’inefficacia del trattamento sanitario adottato in carcere, di avere omesso di assumere le iniziative mediche preordinate al trasferimento del detenuto in una struttura sanitaria idonea a meglio fronteggiare la patologia; ed inoltre, di avere omesso di evidenziare i profili psichiatrici della patologia nella relazione sanitaria sottoscritta da entrambi, richiesta dal Tribunale di Sorveglianza, finalizzata alla valutazione della compatibilità delle condizioni sanitarie con lo stato di detenzione, nonché omettendo, in una relazione successiva, riguardante identica richiesta, ogni informazione in ordine al notevole ed allarmante calo ponderale subito dal detenuto dalla data di ingresso nella struttura ed all’inefficacia delle terapie psichiatriche e psicologiche, trascurando così di fornire all’autorità giudiziaria elementi indispensabili per valutare la idoneità della struttura sanitaria carceraria a trattare in modo efficace il progressivo decorso della patologia, che produceva il decesso del paziente-detenuto.
Ricorrevano per cassazione avverso il provvedimento della Corte territoriale i difensori dei due imputati e la Azienda Sanitaria Locale, in qualità di responsabile civile.
La Suprema Corte dichiarava l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ed agli effetti civili accoglieva solo il ricorso interposto della difesa del dirigente sanitario annullando escludendone la responsabilità (civile) per non aver commesso il fatto.
Di seguito si riportano i passaggi della motivazione di maggiore interesse:
(i) i principi normativi in materia di tutela sanitaria del detenuto:
“Il sistema dell’assistenza sanitaria penitenziaria, disciplinato dall’art. 11 della legge n. 354/1975, prevede che in ogni istituto penitenziario vi siano un servizio medico ed un servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati e che si disponga, inoltre, dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria; cure ed accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari dell’istituto vengono eseguiti previo trasferimento del detenuto in ospedali o luoghi di cura esterni. Con specifico riguardo alle visite mediche, è prevista una visita medica generale all’atto dell’ingresso nell’istituto allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche; i sanitari hanno l’obbligo di visitare quotidianamente gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta e di segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche.
(…) L’art. 11 dell’Ordinamento penitenziario, nella seconda parte del comma 5, dispone che l’assistenza sanitaria sia prestata, nel corso della permanenza nell’istituto «con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati», con ciò ponendo un obbligo di controllo delle condizioni sanitarie generali dei detenuti, che deve essere periodico e frequente, specie in presenza di situazioni soggettive meritevoli di particolare attenzione, in considerazione di peculiari condizioni psico-fisiche derivanti anche da una pregressa storia clinica che caratterizzi il detenuto come soggetto potenzialmente “a rischio” sanitario.Da questo punto di vista il (omissis) rientrava appieno nella categoria, avendo subito un celere trasferimento dal carcere di (omissis) al Centro Diagnostico di (omissis) per stato anoressico, calo ponderale e squilibrio elettrolitico, con segnalazione di inidoneità al regime penitenziario ordinario”.
(ii) In relazione alle specifiche posizioni dei due sanitari:
“(…) meritano di essere segnalati quelli che costituiscono gli essenziali profili di colpa omissiva che sono stati ritenuti sussistenti dai giudici di merito nei confronti del (omissis) (e del (omissis), su cui però v. in fra), che non attengono tanto alla inadeguatezza in sé del trattamento terapeutico adottato nei confronti del paziente all’interno del centro diagnostico carcerario, quanto alla negligente ed imprudente sottovalutazione delle condizioni di salute del (omissis) in relazione al persistente giudizio di compatibilità delle stesse con il regime detentivo; e ciò a fronte di una situazione che, con il passare del tempo, rendeva evidente che il (omissis) non potesse più essere adeguatamente curato in ambito inframurario, tenuto conto del fatto che le reazioni psico-fisiche del detenuto erano ormai fuori controllo e non più gestibili dallo stesso interessato, per il quale si erano parimenti rivelate inefficaci le cure psichiatriche e farmacologiche cui era stato sottoposto nel corso dei mesi in cui era stato ricoverato presso il centro diagnostico di (omissis). In altri termini, il riscontrato mancato miglioramento delle condizioni psico-fisiche del detenuto nel corso di un lungo periodo di cura e osservazione clinica, foriero dei paventati gravi rischi per la sua stessa vita, avrebbe dovuto indirizzare i sanitari – in una logica di prevalenza della salute del paziente rispetto alle esigenze specialpreventive connesse al regime carcerario – verso un trattamento medico da svolgere in una struttura ospedaliera esterna e non in un contesto ristretto e disagevole come quello penitenziario.
(…) Al riguardo, si deve convenire con il ricorrente che la posizione di garanzia del (omissis), quale dirigente sanitario della struttura diagnostica carceraria dove era ricoverato il (omissis), non è stata adeguatamente valutata alla luce delle fonti normative e/o contrattuali rilevanti, su cui le sentenze di merito nulla dicono. In effetti, pur potendo in astratto individuarsi una posizione di garanzia del (omissis) quale dirigente sanitario, occorre che nel caso concreto sia provata una sua diretta ingerenza sia nel trattamento sanitario del paziente, sia nella valutazione della compatibilità delle condizioni di salute del detenuto rispetto al regime carcerario. Nulla di tutto questo risulta evidenziato nella sentenza impugnata, che si limita ad individuare in capo al ricorrente una mera responsabilità di posizione derivante dalla sua qualità di dirigente sanitario e dal fatto che, in tale qualità, lo stesso ebbe a controfirmare le relazioni sanitarie dei medici che avevano in cura il detenuto. In tal modo, tuttavia, la Corte di appello delinea una sorta di responsabile oggettiva del dirigente che, oltre ad essere contraria al principio di colpevolezza che caratterizza il sistema penale, si pone in evidente contraddizione con l’affermazione contenuta nella stessa sentenza secondo cui il (omissis) svolgeva principalmente un’attività di organizzazione della struttura sanitaria. L’attività prevalentemente amministrativa e gestionale svolta dal (omissis), posto a capo di una struttura complessa articolata in otto ambulatori, in diversi reparti di degenza ed in altre strutture in cui all’epoca lavoravano ben 176 operatori sanitari, è stata riconosciuta anche dal giudice di primo grado, il quale tuttavia ne trae conclusioni palesemente illogiche in punto di responsabilità (…).
(…) Si deve qui ribadire che in tema di colpa professionale medica, l’instaurazione del rapporto terapeutico tra medico e paziente è fonte della posizione di garanzia che il primo assume nei confronti del secondo, e da cui deriva l’obbligo di attivarsi a tutela della salute e della vita. (Sez. 4, n. 15178 del 12/01/2018, Tessitore, Rv. 27301201). Inoltre, va anche rammentato che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto della sussistenza della violazione di una regola cautelare (generica o specifica) volta a prevenire l’evento, nonché della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso(Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco e altro)”.
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Riferimenti normativi
Art.11. L. n. 354/1975 (legge sull’ordinamento penitenziario). Servizio sanitario
Ogni istituto penitenziario è dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati; dispone, inoltre, dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria.
Ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura. Per gli imputati, detti trasferimenti sono disposti, dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza; prima della pronunzia della sentenza di primo grado, dal giudice istruttore, durante l’istruttoria formale; dal pubblico ministero, durante l’istruzione sommaria e, in caso di giudizio direttissimo, fino alla presentazione dell’imputato in udienza; dal presidente, durante gli atti preliminari al giudizio e nel corso del giudizio gli atti preliminari al giudizio e nel corso del giudizio; dal pretore, nei procedimenti di sua competenza; dal presidente della corte di appello, nel corso degli atti preliminari al giudizio dinanzi la corte di assise, fino alla convocazione della corte stessa e dal presidente di essa successivamente alla convocazione.
L’autorità giudiziaria competente ai sensi del comma precedente può disporre, quando non vi sia pericolo di fuga, che i detenuti e gli internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura con proprio provvedimento, o con provvedimento del direttore dell’istituto nei casi di assoluta urgenza, non siano sottoposti a piantonamento durante la degenza, salvo che sia necessario per la tutela della loro incolumità personale.
Il detenuto o l’internato che, non essendo sottoposto a piantonamento, si allontana dal luogo di cura senza giustificato motivo è punibile a norma del primo comma dell’articolo 385 del codice penale.
All’atto dell’ingresso nell’istituto i soggetti sono sottoposti a visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L’assistenza sanitaria é prestata, nel corso della permanenza nell’istituto, con periodici e frequenti riscontri, indipendentemente dalle richieste degli interessati.
Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche; deve, inoltre, controllare periodicamente l’idoneità dei soggetti ai lavori cui sono addetti.
I detenuti e gli internati sospetti o riconosciuti affetti da malattie contagiose sono immediatamente isolati. Nel caso di sospetto di malattia psichica sono adottati senza indugio i provvedimenti del caso col rispetto delle norme concernenti l’assistenza psichiatrica e la sanità mentale.
In ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi speciali per l’assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere.
Alle madri é consentito di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni. Per la cura e l’assistenza dei bambini sono organizzati appositi asili nido.
L’amministrazione penitenziaria, per l’organizzazione e per il funzionamento dei servizi sanitari, può avvalersi della collaborazione dei servizi pubblici sanitari locali, ospedalieri ed extra ospedalieri, d’intesa con la regione e secondo gli indirizzi del ministero della sanità.
I detenuti e gli internati possono richiedere di essere visitati a proprie spese da un sanitario di loro fiducia. Per gli imputati è necessaria l’autorizzazione del magistrato che procede, sino alla pronuncia della sentenza di primo grado.
Il medico provinciale visita almeno due volte l’anno gli istituti di prevenzione e di pena allo scopo di accertare lo stato igienico- sanitario, l’adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti.
Il medico provinciale riferisce sulle visite compiute e sui provvedimenti da adottare al ministero della sanità e a quello di grazia e giustizia, informando altresì i competenti uffici regionali e il magistrato di sorveglianza.
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Quadro giurisprudenziale sui più recenti arresti giurisprudenziali in tema di responsabilità penale del medico-chirurgo:
Cassazione penale sez. IV 26 aprile 2018 n. 24384
Per stabilire se la condotta di un sanitario sia penalmente rilevante non può prescindersi dal verificare la conformità della stessa alle linee guida e alla buone pratiche dettate dalla medicina.
Cassazione penale sez. IV 15 febbraio 2018 n. 24068
In tema di responsabilità professionale nell’ambito di una struttura sanitaria complessa, il medico, a cui il paziente sia inviato dal Pronto Soccorso a titolo di consulto, ove non riscontri sotto il profilo di sua stretta competenza alcuna patologia di rilevante gravità e si limiti a richiedere un’altra consulenza, la quale indichi gli esami idonei a diagnosticare la patologia in atto, non assume – per il solo fatto di avere richiesto l’ulteriore consulenza – la posizione di garanzia, che resta a carico dei medici del pronto soccorso.
Cassazione penale sez. un. 21 dicembre 2017 n. 8770
Il medico risponde per morte o lesioni personali colpose nel caso in cui l’evento si sia verificato, anche per colpa lieve, a causa di negligenza e imprudenza; risponde altresì per colpa lieve dovuta ad imperizia nei casi in cui non vi siano linee -guida o buone pratiche clinico -assistenziali finalizzate a regolare il caso concreto, ovvero nel caso in cui queste ultime siano state erroneamente individuate o non siano adeguate al caso di specie. Il sanitario risponde, infine, per colpa grave dovuta ad imperizia nell’esecuzione delle raccomandazioni contenute nelle linee guida o nelle buone pratiche clinico -assistenziali pertinenti rispetto al caso concreto, avuto riguardo alle speciali difficoltà dell’atto medico.
Cassazione penale sez. IV 21 dicembre 2017 n. 2354
In applicazione del principio di affidamento, per individuare la responsabilità penale del singolo sanitario che presta il proprio intervento in equipe medica, è necessario verificare l’incidenza avuta dalla sua condotta nella causazione dell’evento lesivo.
Cassazione penale sez. IV 13 dicembre 2017 n. 7667
In tema di colpa medica, deve escludersi che possa invocare esonero da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del medico – ginecologo per il decesso di una paziente a seguito di emorragia conseguente a intervento di parto cesareo, per aver omesso di valutare e contrastare, nonostante la assoluta gravità delle condizioni in cui versava la persona offesa, la decisione del collega più anziano di non procedere ad intervento di isterectomia).
Cassazione penale sez. IV 19 ottobre 2017 n. 50078
Tenuto conto che il Legislatore con la l. 24/17 , innovando rispetto alla legge Balduzzi , ha abrogato l’intero comma 1 dell’art. 3 della previgente normativa ( legge Balduzzi ) relativa alla depenalizzazione della colpa lieve, viene meno il rilevo precedentemente attribuito al grado della colpa, di tal che, nella prospettiva del novum normativo, alla colpa grave non potrebbe più attribuirsi un differente rilievo rispetto alla colpa lieve, in quanto entrambe ricomprese nell’ambito d’operatività della causa di non punibilità.
Cassazione penale sez. IV 06 giugno 2017 n. 33770
L’insorgenza di un’infezione nosocomiale su pazienti a lungo ricoverati in reparti di terapia intensiva, non potendosi qualificare come rischio nuovo o imprevedibile, non integra una concausa o una causa sopravvenuta di per sé sufficiente ad interrompere il nesso eziologico tra la precedente condotta colposa del sanitario e l’evento morte. L’inosservanza delle linee guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali da parte del medico è elemento sufficiente ad escludere la non punibilità della condotta imperita del medico.
Cassazione penale sez. IV 09 maggio 2017 n. 42282
In tema di responsabilità, la causa omissiva è sostenuta non solo in presenza di leggi scientifiche universali o di leggi statistiche che prevedono un coefficiente prossimo alla certezza, ma può esserlo anche quando ricorrano criteri corroborati da riscontri probatori circa la sicurezza non incidenza di altri fattori interagenti in via alternativa (nella fattispecie, la Suprema Corte ha confermato la condanna per omicidio colposo di un medico che ha avuto l’effetto di tempestività su un paziente ricoverato e affetto da embolia polmonare e partenza deceduto una causa di un trombo, (7%) i casi di morte in entrata di trombosi venosa profonda che sia stata rilevata diagnosi e trattata).
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