Il credito d’imposta generato mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti è giuridicamente inesistente e non può costituire oggetto di sequestro diretto del profitto del reato tributario nei confronti della società.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante sentenza n. 1657/2019 – depositata il 15.01.2019 pronunciata dalla Corte di cassazione in materia penale – tributaria.

La questione sottoposta al vaglio di legittimità dalla difesa del ricorrente è relativa alla denuncia della mancata, preventiva, ablazione del credito IVA vantato dalla società nei confronti dell’Erario rispetto al sequestro per equivalente eseguito dalla procura di Livorno sui beni personali della persona sottoposta alle indagini.

Nella fase del merito cautelare il Tribunale della Libertà di Livorno, all’esito del giudizio di riesame, rigettava l’impugnazione del giudicabile contro il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. in sede per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000), contestato all’indagato quale legale rappresentante di una società, in riferimento alle dichiarazioni dei redditi e IVA per l’importo complessivo di euro 1.362.501.

Contro l’ordinanza il difensore dell’indagato proponeva ricorso per cassazione ex art. 325 c.p.p. deducendo, con unico motivo di doglianza, la violazione della normativa in tema di confisca applicabile nel caso di specie, in particolare, riproponendo, in punto di diritto, la doglianza rigettata con l’ordinanza del riesame, volta a censurare il vizio in procedendosinteticamente riferibile alla mancata escussione del credito fiscale esistente in capo alla persona giuridica, prima di dare luogo al sequestro per valore.

La Suprema corte ha rigettato il ricorso per i motivi di seguito riportati.

Il ricorrente non contesta il provvedimento sotto il profilo della sussistenza degli indizi di reato, limitandosi a lamentare la mancata considerazione della sequestrabilità di un credito nei confronti del fisco in capo alla società della quale l’indagato era il legale rappresentante; sequestrabilità dalla quale discenderebbe la diminuzione dell’entità del sequestro per equivalente operato nei confronti di questo.

Come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il sequestro preventivo per equivalente, disposto nei confronti di persona sottoposta ad indagini per il reato di frode fiscale, non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché il giudice è tenuto a valutare l’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto così come avviene in sede di confisca (ex plurimis, Sez. 3, Akx n. 1893 del 12/10/2011, dep. 18/01/2012, Rv. 251797 – 01), perché, nei reati tributari, il profitto oggetto del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale (ex plurimis, Sez. 3, n. 28047 del 20/01/2017, Rv. 270429 – 01; Sez. 3, n. 19994 del 21/09/2016, dep. 27/04/2017, Rv. 269763 – 01). Il profitto della frode fiscale corrisponde, in altri termini, all’imposta evasa, indipendentemente dalle concrete modalità della sua mancata corresponsione da parte del contribuente all’amministrazione finanziaria ed è, dunque, indifferente se tale imposta sia stata in concreto non pagata o portata a credito dal contribuente stesso. L’evasione dell’imposta costituisce, infatti, non uno degli elementi costitutivi, ma semplicemente l’oggetto del dolo specifico del reato, che si consuma, in un momento precedente all’evasione stessa, con l’indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi.

Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui il Tribunale ha evidenziato – con statuizione di merito insindacabile in questa sede – che il credito Iva di un milione di euro in capo alla società della quale indagato era legale rappresentante non è effettivamente sussistente, perché generato dalla utilizzazione, nel corso degli anni, di numerose fatture per operazioni inesistenti; con la conseguenza chetale credito non può essere oggetto di un fruttuoso sequestro, non essendo l’amministrazione finanziaria tenuta ad onorarlo. Del tutto correttamente, dunque, si è proceduto nel caso di specie al sequestro per equivalente nei confronti dell’amministratore della società fino alla concorrenza di euro 1.362.501,00, somma comprensiva del milione di euro non reperito presso la società”.

*****

Riferimenti normativi

Art. 2. D.lgs. n. 74/2000. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti 

  1. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 
  2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

*****

Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti:

Cassazione penale, sez. III, 19/06/2018 , n. 52411

In tema di reati tributari, il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’ art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 , rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione delle imposte dirette o dell’Iva.

Cassazione penale , sez. IV , 20/03/2018, n. 17401

I reati di dichiarazione fraudolenta ai fini Iva mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000 commessi in epoca precedente la pronuncia della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, Taricco, dell’8 settembre 2015, anche se non ancora prescritti a tale data, rimangono soggetti alla disciplina nazionale in materia di prescrizione, pur se questa risulti in contrasto con il diritto europeo, perché idonea a pregiudicare gli obblighi imposti a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea.

Cassazione penale, sez. fer., 31/08/2017, n. 47603

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile anche nel caso in cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da terzi, poiché la “ratio” del reato di frode fiscale risiede nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti al fine di abbattere l’imponibile, e non presuppone il concorso del terzo.

Cassazione penale, sez. III, 09/06/2017, n. 39541

Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche l’inesistenza soggettiva.

Cassazione penale, sez. III, 21/04/2017, n. 34534

Ai fini della configurabilità del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti, quando risulti provata dalla pubblica accusa la fittizietà dell’intestazione delle fatture, è onere del soggetto emittente dimostrare la corrispondenza fra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale tali rapporti sono attestati. (Nella specie, la Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto sprovvista di prova la mera allegazione difensiva circa l’esistenza di una delegazione di pagamento intercorsa fra l’intestatario delle fatture di vendita di alcune autovetture ed i diversi soggetti che avevano versato il relativo prezzo).

Cassazione penale, sez. III, 19/01/2017, n. 24307

In tema di reati finanziari e tributari, il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Cassazione penale, sez. III, 30/11/2016, n. 14815

Risponde di concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lg. n. 74 del 2000) il soggetto che, d’intesa con gli autori delle dichiarazioni, fornisca ai medesimi, nell’ambito dell’attività di “esperto contabile” prestata in loro favore, le fatture per operazioni inesistenti all’uopo fatte predisporre da terzi.

 

Cassazione penale, sez. III, 19/05/2016, n. 7941

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 d.Lg. n. 74/2000, è integrati dalla registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di prova, nonché dall’inserimento nella dichiarazione di imposta dei corrispondenti elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini della punibilità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA