Bancarotta fraudolenta per distrazione: per poter sequestrare la liquidità nella disponibilità del legale rappresentante della società occorre provare la natura di profitto del reato.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza n. 1971/2019 – depositata il 16.01.2019, resa dalla V Sezione penale della Corte di Cassazione in materia penale – fallimentare.

La questione al vaglio della Suprema Corte ha ad oggetto la legittimità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca disposto ed eseguito sul patrimonio dell’amministratore di una s.r.l., indagato per concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione (in relazione al fallimento di altra società).

Nella fase del merito cautelare il Tribunale del riesame di Bari rigettava la richiesta di riesame contro il decreto di sequestro preventivo del Giudice per le indagini preliminari della stessa città, diretto a sottrarre – in vista di una futura confisca – la somma pari ad euro 3.935.165 alla amministratrice di una s.r.l., quale profitto del reato di concorso nella bancarotta fraudolenta per distrazione concernente altra società ammessa a concordato preventivo.

In particolare, a carico della indagata — sottoposta altresì a misura cautelare personale — è stato ritenuto sussistente il fumusdel reato fallimentare per avere concorso, quale amministratrice della suddetta s.r.l. nella distrazione della predetta somma, sottratta alla società  fallita quale corrispettivo di un contratto con cui la s.r.l. – nella quale  l’indagata rivestiva il ruolo gestorio – si impegnava ad effettuare ricerche di mercato per conto dell’altra.

L’affidamento è stato ritenuto, oltre che illegittimamente effettuato senza procedure ad evidenza pubblica (in ragione della natura pubblica dell’ente sociale fallito), anche privo di caratteristiche di economicità ed efficienza e, quindi, sostanzialmente depauperativo per la società in decozione.

Contro l’ordinanza di rigetto del riesame proponeva ricorso per cassazione ex art. 325 c.p.p. la difesa dell’indagata: il primo per contestare la natura distrattiva del contratto (fumus commissi delicti) riportato nell’incolpazione provvisoria ed il secondo per censurare la sequestrabilità delle somme alla ricorrente.

La Corte ha accolto il ricorso limitatamente al motivo inerente alla legittimità del sequestro dando continuità ai  principi fissati dalle Sezioni Unite (sentenze Gubert e Lucci) ritenendo omessa dal Tribunale della Libertà la motivazione  sulla prova della pertinenzialità delle somme sequestrate rispetto al reato che sola avrebbe legittimato il sequestro diretto sul patrimonio dell’indagata.

Di seguito si riportano i passaggi della motivazione di interesse per il presente commento:

“ … l’attuale evoluzione giurisprudenziale in tema di sequestro di somme di denaro profitto del reato ha visto, in tempi relativamente recenti, uno snodo fondamentale nelle sentenze delle Sezioni Unite Lucci (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264437) e Gubert (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258648), che hanno affrontato il tema della natura della confisca che colpisca somme di denaro profitto del reato.

(…) il presupposto logico di entrambe le sentenze delle Sezioni Unite è che la confiscabilità del denaro senza prova della pertinenzialità rispetto al reato è consentita solo nei confronti del soggetto che abbia visto le proprie disponibilità monetarie implementarsi di quelle somme direttamente provenienti dal reato e non già di altri, che non abbiano beneficiato dell’arricchimento(per una recentissima applicazione di questo principio proprio in materia di sequestro prodromico alla confisca del profitto del reato di bancarotta fraudolenta, cfr. Sez. 5, n. 48625 del 24/09/2018, Ratio, non massimata).

Quanto alle implicazioni di questi principi in tema di reati commessi nell’interesse di un’impresa dal suo legale rappresentante, deve sostenersi che il sequestro e la confisca diretta possono colpire le somme nella disponibilità dell’ente beneficiario dell’arricchimento e non già quelle in possesso del legale rappresentante, ancorché sia stato quest’ultimo a rendersi autore del reato. Logico corollario di questa prima affermazione è che, laddove l’amministratore di una società abbia percepito legittimamente dei compensi a cagione della carica rivestita, tale somma non potrà essere ritenuta profitto del reato, salvo che non si provi che, a dispetto della situazione che formalmente si appalesa, vi sia un’osmosi economica tra persona giuridica e persona fisica che la rappresenta, come quando la società sia un mero schermo formale privo di una propria consistenza, grazie alla quale la persona fisica agisca come effettivo titolare dei beni della medesima ed abbia incamerato direttamente le somme percepite dall’impresa. Tale situazione “patologica” strutturale dei rapporti tra impresa e chi la rappresenta naturalmente deve essere oggetto di specifica dimostrazione da parte di chi invoca il sequestro e la confisca e di una correlata giustificazione nel provvedimento impositivo del vincolo, al pari di ogni altra situazione, eventualmente meno eclatante, più circoscritta e occasionale, in cui sia avvenuto una tantum il transito ingiustificato delle somme-profitto dalla persona giuridica beneficiata alla persona fisica il cui patrimonio si intenda aggredire.

A sostegno della correttezza del ragionamento suesposto milita anche la considerazione che l’ordinamento consente di colpire direttamente il legale rappresentante di una società che abbia tratto beneficio economico dal reato commesso nel suo interesse dalla persona fisica, ma lo fa attraverso il diverso strumento della confisca (e del sequestro) per equivalente — sempre che risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato — misura ablatoria questa a vocazione sanzionatoria che esige una specifica copertura normativa; al contrario, quello di cui si discute è semplicemente un sequestro in vista della confisca classica della somma profitto del reato.

Vi è, poi, un profilo di radicale irragionevolezza della motivazione offerta dal Tribunale barese.

Il riferimento è al punto in cui i giudici del riesame connettono il sequestro a carico della ricorrente dell’intero compenso percepito dalla (omissis) all’esistenza di «utili di tipo familiare» per essere la medesima moglie di (omissis), legale rappresentante della (omissis) che deteneva la totalità delle quote sociali della (omissis)(da cui conseguirebbero «ipotizzabili e conseguenti vantaggi economici») e soggetto implicato in altre condotte depauperative ai danni della (omissisis) il che metterebbe in dubbio che la (omissis) avesse percepito dalla (omissis) i soli compensi per la carica rivestita. Si tratta di un costrutto argomentativo che non si sottrae alle censure di parte, dal momento che, (…) allude a circostanze di fatto dichiaratamente ipotetiche e fondate, per quanto è possibile evincere dal testo del provvedimento impugnato, non già su aspetti investigativamente accertati, ma su mere illazioni (…), come tali inidonee a dotare il provvedimento impugnato di un livello minimo di ragionevolezza, sì da minarne gravemente l’idoneità giustificativa sull’aspetto censurato. Tale radicale difetto motivazionale concerne sia l’an della sequestrabilità di somme-profitto alla (omissis), sia la quantificazione di esse, rispetto all’intero ammontare del compenso percepito dalla (omissis) in virtù del contratto che si assume depauperativo per la (omissis)”.

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Riferimenti normativi

Art. 216 R.D. n. 267/1942. Bancarotta fraudolenta.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di bancarotta fraudolenta:

Cassazione penale , sez. V , 26 settembre 2018 , n. 54490

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Cassazione penale sez. V, 25 giugno 2018 n. 40100.  

Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare.

Cassazione penale , sez. V , 19 giugno 2018 , n. 42568

In tema di reati fallimentari, le rettifiche contabili attuate ai sensi della legge 27 dicembre 2002, n. 289 in materia di condono, anche se effettuate per manipolare le scritture contabili, rendere più difficile l’attività ricostruttiva degli organi fallimentari e nascondere le attività distrattive poste in essere, non possono integrare di per sé una condotta di bancarotta per distrazione, se ad esse non segue un effettivo depauperamento delle garanzie patrimoniali per i creditori.

Cassazione penale sez. V, 05 giugno 2018 n. 30105.  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perchè, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell’”an”, non è determinato anche nel “quantum”. (In motivazione, la Corte ha chiarito che non è giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore).

Cassazione penale sez. III  20 aprile 2018 n. 33380  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la restituzione da parte dell’amministratore della società emittente fatture per operazioni inesistenti del corrispettivo versato dal simulato acquirente, transitato nel patrimonio della società e restituito decurtato dal compenso pattuito per l’emittente anche il temporaneo ingresso nel patrimonio della fallita di beni che in forza di un patto illecito vengano restituiti al dante causa determina, invero, un incremento dello stesso che espande le garanzie dei creditori, con la conseguenza che la restituzione costituisce atto ingiustificato idoneo a integrare la condotta di distrazione.

 Cassazione penale sez. V, 27 marzo 2018 n. 27141  

Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di condanna di primo grado relativa al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, riqualifichi il fatto come bancarotta preferenziale, in quanto l’atto dispositivo tipico di tale fattispecie criminosa costituisce una “species” del più ampio “genus” di sottrazioni di risorse del patrimonio della società, che caratterizza la bancarotta per distrazione.

 

Cassazione penale sez. I, 09 marzo 2018 n. 14783  

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà – in guisa di dolo indiretto – di non attivarsi per scongiurare detto evento.

Cassazione penale sez. V, 23 giugno 2017 n. 38396  

La fattispecie della bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto, sicché, per il suo perfezionamento, è esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta ed il successivo fallimento, laddove i fatti di bancarotta possono assumere rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando l’impresa ancora non versava in condizioni di insolvenza. In quanto reato di pericolo concreto è comunque necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un effettivo depauperamento dell’impresa e un effettivo pericolo per la integrità del patrimonio dell’impresa, da valutare nella prospettiva dell’esito concorsuale e dell’idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori.

Cassazione penale sez. un.  31 marzo 2016 n. 22474  

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

 

Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di sequestro e reato di bancarotta fraudolenta:

Cassazione penale , sez. V , 07/12/2017 , n. 11981

La confisca del profitto del reato, quale prevista dall’ art. 240, comma 1, c.p. , avendo natura esclusivamente recuperatoria o risarcitoria e non anche sanzionatoria, come deve invece ritenersi nel caso della confisca per equivalente, non può avere per oggetto beni di chi, pur essendo stato concorrente nel medesimo reato, non abbia però tratto da esso alcun personale profitto. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha rigettato il ricorso del pubblico ministero che lamentava il mancato accoglimento della richiesta di imposizione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca su beni appartenenti a soggetto sottoposto a indagine, unitamente ad altri, per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, senza che però fosse risultato che da tale reato fosse a lui personalmente derivato alcun profitto).

 

 

Cassazione penale , sez. V , 14/03/2017 , n. 16622

In tema di sequestro probatorio e ai fini della legittimità del decreto di sequestro, quando si procede per il reato di bancarotta fraudolenta che impone la ricostruzione del volume di affari della società fallita, può sequestrarsi l’intera contabilità relativa all’impresa, riservando ad un momento successivo l’individuazione dei documenti effettivamente necessari all’accertamento del fatto. (Fattispecie di sequestro di un personal computer avvenuto in locali prettamente adibiti ad ufficio e riconducibili all’indagato).

Cassazione penale , sez. V , 22/06/2016 , n. 32824

L’espressione cose pertinenti al reato, cui fa riferimento l’art. 321 c.p.p., è più ampia di quella di corpo di reato, definita dall’art. 253 c.p.p., e comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa, come il risultato della trasformazione del prodotto o del profitto del reato (Fattispecie in tema di sequestro di un immobile ristrutturato con i proventi di una condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che la Cassazione ha qualificato come cosa pertinente al reato).

Cassazione penale , sez. V , 30/03/2016 , n. 16750

È legittimo il sequestro conservativo disposto a tutela di un credito il cui importo sia determinabile con un apprezzamento che, pur approssimativo, è, tuttavia, ancorato a dati oggettivi e ad argomenti sviluppati in termini idonei a rendere comprensibile il ragionamento del giudice (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi l’ordinanza del tribunale del riesame che, in relazione ad un processo per bancarotta fraudolenta, aveva determinato l’entità della somma sottoposta a sequestro facendo riferimento al numero delle parti civili, alla causale delle pretese risarcitorie ed all’ammontare delle somme richieste).

Cassazione penale , sez. V , 20/04/2015 , n. 20118

L’indagato non titolare del bene oggetto di sequestropreventivo è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare purché vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che, dovendo corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale, va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la legittimazione attiva a proporre istanza di riesame da parte di soggetto indagato del reato di bancarotta fraudolenta avverso il decreto di sequestro preventivo di beni di alcune società, di cui l’istante affermava l’altruità).

Cassazione penale , sez. II , 25/03/2015 , n. 15804

È legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni conferiti in “trust” dall’indagato, ove sussistano elementi presuntivi tali da far ritenere che il trust sia stato costituito a fini meramente simulatori. (Fattispecie in materia di reati tributari, bancarotta fraudolenta e riciclaggio).

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