Omesso versamento dei contributi: la presunzione di verità del contenuto dei modelli DM10 fa scattare l’obbligo contributivo penalmente sanzionato.

Si segnala ai lettori del blog l’interessante pronuncia, resa dalla III Sezione penale con la sentenza n.2565/2019, depositata il 21.01.2019, in materia di omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro.

Nel caso di specie, la Cassazione Sezione Penale, in conformità con quanto statuito dalla giurisprudenza civile di legittimità, ha ribadito la valenza di confessione stragiudiziale dei modelli DM10 in ordine all’avvenuto pagamento delle retribuzioni ai lavoratori, e quindi dell’obbligo contributivo penalmente sanzionato, con onere in capo al datore di lavoro di dimostrare il contrario.

La vicenda processuale in sintesi:  l’imputato ricorre per cassazione onde ottenere l’annullamento della sentenza della Corte di appello di Catanzaro che, in riforma di quella emessa dal Tribunale di Cosenza, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei suoi confronti limitatamente alle condotte omissive poste in essere fino al mese di dicembre dell’anno 2009; assoluzione per i fatti commessi nel 2012 perché non più previsti dalla legge come reato; confermando nel resto la condanna inflitta con la sentenza di primo grado per il reato di cui all’art. 2, comma 1-bis, legge n. 638 del 1983, limitatamente agli omessi versamenti relativi agli anni 2010 e 2011, con conseguente riduzione della pena comminata dal primo Giudice..

Deduce il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, l’infondatezza della valenza probatoria fornita dai modelli DM10 sui quali è stata fondata la sentenza di condanna, stante la prova contraria della mancata corresponsione delle retribuzioni e, dunque, della loro non corrispondenza a vero (desumibile dalla produzione delle buste paga non quietanzate, dalle azioni giudiziali avanzate da alcuni lavoratori per il recupero delle retribuzioni, dal deposito dei bilanci in perdita), eccependo, pertanto, l’omessa valutazione di tale prova e l’omessa e/o contraddittoria motivazione sul punto.

Con il secondo motivo eccepisce l’insufficienza della motivazione relativamente alla eccepita mancanza dell’elemento soggettivo del reato richiesta dalla norma incriminatrice contestata.

La Suprema corte dichiara il ricorso inammissibile per le ragioni indicate nella parte motiva i cui passaggi di interesse  per il commento della sentenza vengono di seguito riportati:

La prova della materiale corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti può essere validamente tratta, in assenza di elementi contrari, anche dalla sola presentazione degli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10) i quali hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro, sicché la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi(Sez. 3, n. 37330 del 15/07/2014, Valenza, Rv. 259909; Sez. 3, n. 37145 del 10/04/2013, Deiana, Rv. 256957). I modelli DM10, infatti, costituiscono, anche secondo la costante giurisprudenza delle sezioni civili della Corte di cassazione, confessione stragiudiziale della pretesa (Sez. L., n. 6795 del 20/01/1998; Sez. L., n. 1466 del 22/11/2011 – dep. il 02/02/2012) sicché, in sede penale, è onere dell’imputato dimostrare eventuali difformità rispetto alla situazione in essi rappresentata (Sez. 3, n. 32848 del 08/07/2005, Smedile, Rv. 232393; Sez. 3, n. 7772 del 05/12/2013, Di Gianvito, Rv. 258851).

La Corte di appello ha escluso che la produzione dei prospetti paga non quietanzati dimostrasse la mancata corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori, e ciò in base a due argomenti: a) in primo luogo, e in termini generali, ha correttamente richiamato la giurisprudenza delle sezioni civili della Corte di cassazione che hanno costantemente affermato il principio secondo il quale la sottoscrizione “per ricevuta” apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma ivi indicata (Sez. 6-L. n. 10306 del 27/04/2018, Rv. 648205; cfr. anche Sez. L. n. 13150 del 24/06/2016, Rv. 640406, secondo cui le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula “per ricevuta”, costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell’effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, il quale può provare l’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte; si veda, altresì, la risalente Sez. L, n. 1150 del 04/02/1994, Rv. 485214, che ha ricordato che l’obbligo, previsto a carico del datore di lavoro dall’art. 1 della legge 5 gennaio 1953 n. 4, di consegnare ai lavoratori dipendenti all’atto della corresponsione della retribuzione un prospetto contenente l’indicazione di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione, non attiene alla prova dell’avvenuto pagamento); ne consegue, afferma altrettanto correttamente la Corte territoriale, che i prospetti paga non quietanzati non provano alcunché; b) la inidoneità di quelli prodotti dall’imputato a dimostrare la mancata corresponsione delle retribuzioni (e dunque a vincere la presunzione di corrispondenza a vero dei modelli DM10) è ulteriormente avvalorata dalle testimonianze rese da due lavoratori dipendenti, uno dei quali aveva dichiarato di vantare crediti retributivi maturati esclusivamente in conseguenza del mancato pagamento del TFR, mentre l’altro era stato generico, laddove la documentazione relativa alla controversia instaurata da un terzo lavoratore dipendente che aveva agito per il recupero delle differenze retributive non consentiva di individuare il periodo lavorativo di riferimento.

(…) La sottoscrizione del prospetto paga, di per sé, non ha valore di quietanza quando da tale espressa indicazione essa non sia accompagnata, ben potendo essa avere solo valore di ricevuta del prospetto paga(e ciò in funzione di prova non del pagamento, bensì dell’assolvimento dell’obbligo, amministrativamente sanzionato, del suo rilascio; cfr., sul punto, Cass. civ., Sez. 2, n. 2298 del 19/03/1996, Rv. 496437, nonché Cass. civ., Sez. 2, n. 22655 del 31/10/2011, Rv. 620136, …). Ne deriva che la mera sottoscrizione del prospetto, non assumendo valore di quietanza, non può assurgere a prova dell’estinzione del debito del datore di lavoro. Va altresì aggiunto che nemmeno l’apposizione della firma per quietanza espressa soddisfa, in modo automatico, l’onus probandi di chi adduce il fatto estintivo dell’obbligazione, posto che trattasi pur sempre di dichiarazione di scienza priva di effetto negoziale la cui portata va valutata caso per caso (Sez. L, n. 157 del 14/01/1986).

A maggior ragione, la produzione di prospetti paga nemmeno sottoscritti dal lavoratore dipendente non è idonea a vincere la presunzione di corrispondenza a vero del contenuto dei modelli DM10, trattandosi, oltretutto, di documento di formazione unilaterale.

Nel caso di specie, peraltro, la Corte territoriale ha escluso l’attitudine dei prospetti paga a dimostrare la mancata corresponsione delle retribuzione in base ad argomenti di prova nemmeno accennati nel ricorso la cui genericità, sul punto, è perciò palese”.

In relazione al secondo motivo di ricorso, ed alla componente psicologica del reato di cui all’art.2 D.L. n. 463 del 1983, il Collegio riconferma i principi consolidati in sede di legittimità in materia.

“(…) A non diversi rilievi, pertanto, si espone il secondo motivo che propone l’argomento dell’incidenza della crisi di impresa sull’elemento soggettivo del reato, questione che presuppone, sul piano fattuale, la destinazione delle somme trattenute a fini diversi dall’adempimento dell’obbligo contributivo e che, sul piano giuridico, è già stata risolta da questa Corte, con specifico riferimento all’omesso versamento delle ritenute effettuate a titolo contributivo e previdenziale, con le sentenze Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013, dep. 2014, Casella, Rv. 258056 e Sez. 3, n. 13100 del 19/01/2011, Biglia, Rv. 249917, che hanno affermato il principio di diritto, richiamato dai Giudici territoriali, secondo il quale il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (art. 2 D.L. n. 463 del 1983, conv. in I. n. 638 del 1983) è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, sicché non rileva, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti.

L’omesso versamento delle ritenute effettuate a fini contributivi sulle retribuzioni effettivamente corrisposte si traduce nella distrazione ad altri fini di somme di denaro astrattamente di pertinenza del lavoratore dipendente, il che, anticipando quanto più oltre si dirà, confligge in astratto con la tesi della crisi di liquidità, logicamente contraddetta dalla disponibilità del danaro sufficiente al pagamento delle retribuzioni, onerando chi l’invoca di ben più precisi e stringenti oneri probatori.

(…) secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità (Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191).

Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822)”.

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Riferimenti normativi

Art. 2 D.l. 12 settembre 1983 conv. in l. 683/1983, n. 463

Le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ivi comprese le trattenute effettuate ai sensi degli articoli 20,21e 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, debbono essere comunque versate e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali, e regolarmente denunciate alle gestioni stesse, tranne che a seguito di conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro.

1-bis. L’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, e’ punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non e’ superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro non è punibile, ne’ assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.

1-ter. La denuncia di reato è presentata o trasmessa senza ritardo dopo il versamento di cui al comma 1- bis ovvero decorso inutilmente il termine ivi previsto. Alla denuncia è allegata l’attestazione delle somme eventualmente versate.

1-quater. Durante il termine di cui al comma 1-bis il corso della prescrizione rimane sospeso.

Il datore di lavoro che non provveda al pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali entro il termine stabilito, o vi provveda in misura inferiore, è tenuto al versamento di una somma aggiuntiva, in sostituzione di quella prevista dalle disposizioni che disciplinano la materia, fino a due volte l’importo dovuto, ferme restando le ulteriori sanzioni amministrative e penali. Per la graduazione delle somme aggiuntive dovute sui premi resta in vigore la legge 21 aprile 1967, n. 272.

[3. Nel settore agricolo, per quanto attiene la contribuzione unificata dovuta per gli operai, le ipotesi previste dai precedenti commi si realizzano allorquando la mancata o minore imposizione dei contributi sia conseguente ad una omessa, incompleta, reticente o infedele presentazione delle denunce contributive previste dall’art. 2 della legge 18 dicembre 1964, n. 1412, e successive modificazioni ed integrazioni.]

Le sanzioni amministrative previste per violazione delle norme di cui al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, e successive modificazioni ed integrazioni, sono versate all’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo.

Entro il 30 novembre 1983 i datori di lavoro che abbiano effettuato il versamento dei contributi afferenti al periodo successivo al 1° febbraio 1983 sono ammessi a regolarizzare la loro posizione debitoria relativa ai periodi di paga precedenti. La regolarizzazione estingue il reato e le obbligazioni per sanzioni amministrative e per ogni altro onere accessorio connessi con la denuncia ed il versamento dei contributi stessi, ivi compresi quelli di cui all’art. 18 del decreto-legge 30 agosto 1968, n. 918, convertito, con modificazioni, nella legge 25 ottobre 1968, n. 1089, in materia di sgravi degli oneri sociali, con esclusione delle spese di giudizio e degli aggi connessi alla riscossione dei contributi a mezzo ruoli esattoriali. La regolarizzazione è effettuata con versamento in unica soluzione dei contributi dovuti.

Il versamento dei contributi può essere effettuato anche in rate mensili eguali e consecutive, in numero non superiore a nove, delle quali la prima entro il 30 novembre 1983, con applicazione sull’importo delle rate successive degli interessi di dilazione previsti dall’art. 13, primo comma, del decreto-legge 29 luglio 1981 n. 402, convertito, con modificazioni, nella legge 26 settembre 1981, n. 537. Il mancato versamento anche di una sola rata comporta la decadenza dai benefici economici di cui al comma che precede. La regolarizzazione delle posizioni debitorie relative ai contributi agricoli unificati è effettuata in unica soluzione entro il 30 giugno 1984 secondo le modalità stabilite dall’ente impositore.

6-bis. Le imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria in data successiva al 1° febbraio 1983 sono ammesse a regolarizzare la loro posizione debitoria relativa ai periodi di paga precedenti con gli effetti di cui al secondo periodo del comma quinto, a condizione che provvedano al versamento dei contributi afferenti al periodo successivo alla data suindicata entro il 30 novembre 1983.

6-ter. Le imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria possono usufruire dei benefici di cui al comma quinto anche se non sono in regola con i versamenti dei contributi previsti nello stesso comma, alla condizione che sia stata autorizzata dal CIPI la continuazione dell’esercizio dell’impresa e che esse, od il gruppo di cui fanno parte, abbiano usufruito delle garanzie del Tesoro di cui all’art. 2- bis del decreto-legge 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, nella legge 23 aprile 1979, n. 95, in misura non superiore al 20 per cento degli importi dei contratti di finanziamento autorizzati dal CIPI ed abbiano fatto ricorso alla Cassa integrazione guadagni per una percentuale non superiore al 30 per cento del personale in forza.

Per le imprese che alla data del 30 novembre 1983 si trovino in stato di amministrazione controllata o di amministrazione straordinaria, il termine per la regolarizzazione della posizione debitoria è differito all’ultimo giorno del mese successivo a quello di cessazione dell’amministrazione controllata o straordinaria.

7-bis. Per gli istituti di patronato e di assistenza sociale, istituiti ai sensi del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, e successive integrazioni, in attesa della emanazione del decreto del Presidente della Repubblica previsto dall’art. 2 della legge 27 marzo 1980, n. 112, il termine per la regolarizzazione dell’intera partita debitoria è differito al 31 ottobre 1984. Nel frattempo il 10 per cento delle somme che sono erogate a qualsiasi titolo dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale agli istituti di patronato e di assistenza sociale deve essere utilizzato a scomputo della posizione debitoria ed entro i limiti della relativa esposizione.

Per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è differito al 30 novembre 1983 il termine utile per la presentazione della richiesta di cui al primo comma dell’art. 14 della legge 10 maggio 1982, n. 251.

La regolarizzazione estingue le obbligazioni per le sanzioni civili di cui agli articoli 50 e 51 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, le sanzioni amministrative di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 ed all’art. 2del decreto-legge 6 luglio 1978, n. 352, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1978, n. 467, nonché i provvedimenti adottati a norma del sesto comma dell’art. 28 del predetto testo unico, afferenti a periodi assicurativi fino al 31 dicembre 1982, compresa la regolazione dei premi relativa all’anno 1982, e per i quali non sia stato già effettuato il pagamento, con la esclusione delle spese di giudizio e degli aggi esattoriali. La regolarizzazione estingue, altresì, le obbligazioni per le sanzioni amministrative di cui all’ultimo comma dell’art. 16 della legge 10 maggio 1982, n. 251, relative ad inadempienze commesse entro il 30 aprile 1983.

Per il pagamento rateale dei premi, per lo stato di regolarità fino al 31 dicembre 1983 e per le imprese che alla data del 30 novembre 1983 si trovino in stato di amministrazione controllata o di amministrazione straordinaria valgono le disposizioni di cui al presente articolo.

Le disposizioni di cui ai commi precedenti trovano applicazione anche in fase di contenzioso previdenziale e, nel caso in cui il debito sia in corso di soluzione a mezzo di pagamento rateale, relativamente alle sole rate non ancora versate.

Decade dal beneficio della regolarizzazione di cui al presente articolo il datore di lavoro che ometta di effettuare, alle scadenze di legge, il versamento dei contributi di previdenza ed assistenza dovuti per il periodo compreso tra la data di effettuazione del versamento di cui al presente articolo ed il 31 luglio 1984.

Gli enti previdenziali e assistenziali impositori determinano le modalità per i versamenti.

Le disposizioni di cui ai commi da 5 a 13 si applicano anche ai coltivatori diretti, ai mezzadri e coloni e rispettivi concedenti, agli artigiani, agli esercenti attività commerciali ed ai liberi professionisti iscritti negli appositi alibi o elenchi professionali, per la regolarizzazione delle posizioni debitorie relative a periodi di contribuzione anteriori al 1° gennaio 1983. I relativi contributi sono versati entro il 30 giugno 1984. Per coloro che non abbiano ottemperato all’obbligo di iscrizione presso le rispettive commissioni, le disposizioni si applicano purchè la denuncia entro il 30 novembre 1983 e la relativa regolarizzazione avvenga comunque entro sessanta giorni dall’iscrizione stessa.

Il datore di lavoro, tenuto alla denuncia ed al versamento dei contributi con le modalità previste nel decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 5 febbraio 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 13 marzo 1969, il quale non abbia presentato all’Istituto nazionale della previdenza sociale le denunce individuali dei lavoratori occupati nei periodi anteriori all’entrata in vigore del decreto-legge 6 luglio 1978, n. 352, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1978, n. 467, deve presentare, per tali periodi, una denuncia dei lavoratori interessati, delle retribuzioni individuali, nonchè di tutti i dati necessari all’applicazione delle norme in materia di previdenza e assistenza sociale. La denuncia, redatta su modulo predisposto dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, deve essere presentata entro il 30 giugno 1984.

Al datore di lavoro che non provveda, entro il termine stabilito, a quanto previsto nel comma precedente ovvero vi provveda fornendo dati infedeli o incompleti, si applicano le disposizioni previste dall’art. 4, secondo comma, del decreto-legge 6 luglio 1978, n. 352, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1978, n. 467, e successive modificazioni ed integrazioni.

I termini per la presentazione all’Istituto nazionale della previdenza sociale della denuncia nominativa di cui all’art. 4 del decreto-legge 6 luglio 1978, n. 352, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1978, n. 467, sono fissati al 30 giugno di ciascun anno e, per le amministrazioni dello Stato, al 31 dicembre di ciascun anno. Alle stesse date sono fissati i termini per la consegna ai lavoratori della copia della denuncia predetta. Per l’anno 1983 il termine del 30 giugno è differito al 30 novembre 1983.

Alle amministrazioni dello Stato, che abbiano presentato o presentino, entro il 30 novembre 1983, le denunce nominative degli anni 1978, 1979, 1980 e 1981, non si applicano le sanzioni previste dal citato art. 4. Alle predette amministrazioni non si applicano, altresì, le sanzioni previste dall’art. 30 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, qualora abbiano presentato o presentino entro il 31 ottobre 1983, le denunce contributive relative a periodi di paga scaduti anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

I termini di prescrizione relativi ai contributi dovuti o la cui riscossione è affidata a qualsiasi titolo all’Istituto nazionale della previdenza sociale ed all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro sono sospesi per un triennio dalla data di entrata in vigore del presente decreto ed è corrispondentemente prolungato il periodo durante il quale il datore di lavoro ha l’obbligo di conservare i libri paga e di matricola.

Dalla data di entrata in vigore della legge 21 dicembre 1978, n. 843, al 31 dicembre 1983, in deroga all’art. 23 della stessa legge, e successive modificazioni e integrazioni, i soprappremi di rateazione di cui al secondo comma dell’art. 28 del testo unico delle disposizioni sull’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, restano invariati nelle misure ivi previste .

Le variazioni di carattere generale del trattamento economico di attività di servizio a favore delle categorie di dipendenti iscritti alle casse pensioni facenti parte degli istituti di previdenza, derivanti da leggi, da norme regolamentari o da contratti collettivi di lavoro, che intervengano a partire dal 1° gennaio 1984, sono assoggettate a contributo, anche nel corso dell’anno, dalla data di effetto dei miglioramenti stessi, con le modalità di cui all’art. 27 dell’ordinamento delle stesse casse approvato con regio decreto-legge 3 marzo 1938, n. 680, convertito nella legge 9 gennaio 1939, n. 41, e successive modificazioni.

Per le cessazioni dal servizio a partire dal 1° gennaio 1983, nei riguardi degli iscritti negli elenchi dei contributi della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali, della Cassa per le pensioni ai sanitari e della Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate, l’eventuale recupero contributivo con le modalità previste dal comma primo dell’art. 30 della legge 22 novembre 1962, n. 1646, si effettua limitatamente al periodo non anteriore al 1° gennaio 1970.

Per le cessazioni dal servizio anteriori al 1° gennaio 1983, il recupero contributivo, qualora riguardi emolumenti ammessi a far parte della retribuzione annua contributiva, si effettua, relativamente alla quota a carico dell’ente datore di lavoro, in 24 semestralità, al saggio del sei per cento annuo.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di omesso versamento di ritenute previdenziali:

Cassazione penale sez. III, 27/11/2018, n.346

In tema di omesso versamento all’INPS delle ritenute previdenziali ed assistenziali, configurandosi il reato di cui all’art. 2, comma 1-bis del d.l. n. 463 del 1983con il superamento della soglia di euro 10.000 annui indipendentemente dal numero delle mensilità inevase – ben potendo l’illecito penalmente rilevante essere integrato dall’omesso versamento anche di una sola mensilità se di valore superiore a tale importo -, non vi è dubbio tuttavia che allorquando più mensilità concorrano a determinare lo sbarramento prefissato dal legislatore ci si trovi di fronte ad una pluralità di omissioni che possono integrare il “comportamento abituale” ostativo al riconoscimento del beneficio di cui all’art. 131 bis c.p.

Cassazione penale sez. III, 30/05/2018, n.39413

In tema di omissione di versamenti contributivi e applicabilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto deve essere censurata la decisione dei giudici del merito nella parte in cui ha ancorato il diniego della causa di non punibilità alla mera pluralità delle mensilità interessate senza nessuna verifica del momento in cui si è verificato il superamento della soglia di punibilità e neanche dell’effettiva entità dello stesso.

Cassazione penale sez. III, 16/05/2018, n.44529

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, qualora non risulti ritualmente effettuata la comunicazione dell’avviso di accertamento della violazione ed il decreto di citazione non ne contenga l’indicazione dl tutti gli elementi, trattandosi di fattispecie a formazione progressiva che ben può completarsi nel corso del giudizio, il dies a quo del termine di tre mesi previsto al fine di poter effettuare il pagamento delle ritenute omesse al fine di fruire della causa di non punibilità di cui all’art. 2 comma 1 bis, d.l. n. 463 del 1983, convertito in legge n. 638 del 1983, decorre dal momento in cui si sia verificata la conoscenza da parte dell’imputato di tutti gli elementi essenziali del suddetto avviso di accertamento.

Cassazione penale sez. III, 11/05/2018, n.30179

Riguardo al reato di omesso versamento dei contributi previdenziali la sussistenza della particolare tenuità dell’offesa deve essere verificata attraverso una valutazione globale che tenga conto dell’importo complessivo dei contributi non versati e della consistenza del superamento della soglia di punibilità.

Cassazione penale sez. III  06 marzo 2018 n. 19671  

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare.

Cassazione penale sez. III  23 novembre 2017 n. 6934  

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, ai fini dell’integrazione del reato previsto dall’ art. 2, comma 1-bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638 , è necessaria la prova del materiale esborso della retribuzione, anche sotto forma di compensi in nero. (Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da vizi la decisione della corte territoriale che aveva desunto, in assenza di elementi di segno contrario, la prova della effettiva corresponsione della retribuzione ai lavoratori dalla presentazione dei modelli DM-10 da parte del datore di lavoro).

Cassazione penale sez. fer.  29 agosto 2017 n. 39882  

 In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali ex art. 2, comma 1 bis, d.l. n. 463/1983, convertito con modificazioni in l. n. 638/1983, ai fini della verifica circa il superamento o meno della soglia di rilevanza penale, fissata in Euro 10.000 per ciascun anno, deve tenersi conto, nel computo di tale importo, anche della eventuale omissione relativa al mese di dicembre, a nulla rilevando che, con riguardo a tale mese, il termine per la effettuazione del versamento scada nel corso del mese di gennaio dell’anno successivo. La verifica in parola va infatti effettuata secondo il criterio della competenza contributiva, cioè facendo riferimento al periodo intercorrente dalla scadenza del primo versamento dell’anno contributivo dovuto relativo al mese di gennaio (16 febbraio) sino alla scadenza dell’ultimo, relativo al mese di dicembre (16 gennaio dell’anno successivo).

 Cassazione penale sez. fer.  10 agosto 2017 n. 39332  

Nel caso in cui il datore di lavoro ometta di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali dei suoi lavoratori ha la facoltà, prima della comunicazione della notizia di reato, entro 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, di definire il contenzioso in sede amministrativa. Per poter esercitare tale facoltà, l’avviso di accertamento inviato dall’INPS al datore di lavoro deve contenere l’indicazione del periodo cui si riferisce l’omesso versamento delle ritenute, il relativo importo, l’indicazione dell’ente presso il quale deve essere effettuato il versamento entro i 3 mesi e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità sopra descritta.

Cassazione penale sez. III  18 luglio 2017 n. 39072  

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, tenuto ad adempiere alla diffida inviata ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, è colui che era obbligato al versamento al momento dell’insorgenza del debito contributivo, anche se “medio tempore” abbia perduto la rappresentanza o la titolarità dell’impresa, in quanto il predetto adempimento costituisce una causa personale di esclusione della punibilità, sicché vi è tenuto soltanto l’autore del reato. (In motivazione la Corte ha precisato che, in caso di liquidazione o di fallimento, l’obbligato è tenuto a sollecitare il liquidatore o il curatore perché adempia al pagamento nel termine trimestrale decorrente dalla contestazione o della notifica dell’avvenuto accertamento della violazione).

 Cassazione penale sez. III  07 luglio 2017 n. 39464  

Con l’articolo 3, comma 6, del Dlgs 15 gennaio 2016 n. 8, il legislatore, stabilendo che l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali di cui all’ articolo 2, comma 1bis, del Dl 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, integra reato ove l’importo sia superiore a quello di 10.000 euro annui, ha configurato tale superamento, strettamente collegato al periodo temporale dell’anno, quale vero e proprio elemento caratterizzante il disvalore di offensività penale, che viene a segnare, tra l’altro, il momento consumativo del reato: conseguentemente, l’illecito penale deve ritenersi perfezionato nel momento e nel mese in cui l’importo non versato, calcolato a decorrere dalla mensilità di gennaio dell’anno considerato, superi l’importo di 10.000 euro. Con la conseguenza che le ulteriori successive omissioni, che seguano nei mesi successivi dello stesso anno, non danno luogo, in caso di secondo superamento della soglia, a un ulteriore reato, ma contribuiscono ad accentuare la lesione inferta al bene giuridico per effetto del già verificatosi superamento dell’importo di legge (nella specie, la Corte, accogliendo il ricorso del procuratore generale, ha annullato la decisione del giudice che aveva assolto l’imputato dal reato contestatogli sulla base dell’erroneo assunto che dovesse considerarsi depenalizzato il reato per il solo fatto che le omissioni mensili fossero sotto soglia pur quando nell’arco dell’anno questa fosse stata superata).

 Cassazione penale sez. III  10 aprile 2017 n. 43811  

Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali è a dolo generico, ed è integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, ravvisabile anche qualora il datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti ed alla manutenzione dei mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, e di pretermettere il versamento delle ritenute all’erario, essendo suo onere quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da adempiere al proprio obbligo contributivo, anche se ciò comporta l’impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare.

 Cassazione penale sez. III  17 gennaio 2017 n. 20855  

In materia di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, nel caso di versamento soltanto parziale della somma complessivamente dovuta nel termine perentorio di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, non opera la causa di non punibilità del soggetto agente prevista dall’art. 2, comma 1-bis, legge n. 638 del 1983 così come modificato dal D.Lgs. n. 211 del 1994.

Cassazione penale sez. III  11 gennaio 2017 n. 22140  

In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, al fine di accertare il superamento della soglia di punibilità di euro 10.000 annui (introdotta dall’art. 3, comma sesto, del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8), l’ammontare delle ritenute omesse deve essere determinato in riferimento al momento in cui le obbligazioni rimaste inadempiute sono sorte, a prescindere dal termine di scadenza previsto per il versamento, che rileva esclusivamente ai fini della individuazione del momento consumativo del reato. (Fattispecie in cui la S.C., in applicazione del principio, ha ritenuto che l’omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte nel mese di dicembre 2008 dovesse essere considerato nell’annualità 2008 e non in quella 2009).

Cassazione penale sez. III  11 maggio 2016 n. 37232  

Alla stregua della nuova formulazione dell’art. 2, comma 1 bis, del d.l. n. 463 del 1983, conv. con modificazioni, in l. n. 638 del 1983, introdotta dall’art. 3, comma 6, d.lg. 15 gennaio 2016 n. 8, il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali deve ritenersi perfezionato (salva la causa di non punibilità costituita dall’eventuale versamento delle somme dovute entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione), all’atto del raggiungimento, nel corso di ciascun anno, della soglia minima fissata in euro 10.000 (tenendosi conto anche delle singole omissioni per cui sia intervenuta prescrizione) senza che l’eventuale, nuovo raggiungimento di tale soglia in conseguenza di ulteriori omissioni che si verifichino nel corso del medesimo anno possa dar luogo ad ulteriori reati, dovendosi in tal caso ravvisare una fattispecie a progressione criminosa in cui le dette ulteriori omissioni si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione viene a coincidere con la scadenza prevista dalla legge per il versamento dell’ultima mensilità, ovvero, come noto, con il termine del 16 del mese di gennaio dell’anno successivo.

 Cassazione penale sez. III  11 maggio 2016 n. 35589  

In tema di contributi previdenziali ed assistenziali, il reato previsto dall’art. 2, comma primo bis,D.L. 12 settembre 1983 n. 463, conv. in l. 11 novembre 1983, n. 638, di omesso versamento delle ritenute di importo superiore ai 10.000 euro, operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ha una struttura unitaria e la condotta può configurarsi anche attraverso una pluralità di omissioni, compiute nel periodo annuale di riferimento, che possono di per sè anche non costituire reato; ne consegue che la consumazione del delitto può essere istantanea o di durata e, in quest’ultimo caso, ad effetto prolungato sino al termine dell’anno in contestazione. (Fattispecie nella quale la S.C. ha escluso la sussistenza del reato in relazione ad omessi versamenti, per un valore complessivo di 21.000 euro, che, però, in ciascuna delle annualità di riferimento, si attestavano ad una soglia inferiore ai 10.000 euro).

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