Bancarotta fraudolenta patrimoniale: per la cassazione la prova della distrazione o dell’occultamento delle somme non può essere desunta dalle mere annotazioni nelle scritture contabili.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.3518/2019 – depositata il 24.01.2019 che affronta il tema dell’onere di motivazione che incombe sul giudice di merito in ordine alla prova della distrazione di somme dal patrimonio sociale.

La vicenda processuale può essere così riassunta: la difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione contro la pronuncia della Corte distrettuale, recante la parziale riforma, in punto di rideterminazione in melius del trattamento sanzionatorio, della sentenza emessa nei confronti del giudicabile dal Tribunale di Cosenza.

L’affermazione di penale responsabilità dell’imputato riguardava addebiti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione correlati alla gestione di una società unipersonale dichiarata fallita nel giugno 2009; il prevenuto, nella qualità di amministratore, si sarebbe reso responsabile di varie distrazioni e segnatamente: della somma di € 45.660,00, prelevata dalla cassa contanti in vista di un pagamento IVA in realtà mai avvenuto e della somma complessiva di circa € 56.000,00, prelevata in più occasioni da un libretto di deposito intestato alla suddetta società.

La Suprema corte ha accolto parzialmente l’interposto ricorso per cassazione, annullando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro per nuovo esame.

In particolare, la Corte si legittimità, ha ritenuto sussistente il denunciato vizio di motivazione in ordine alla pretermessa analisi delle doglianze sollevate in appello circa l’interpretazione (diversa da quella offerta dal giudice dell’appello) delle scritture contabili che avrebbe evidenziato l’inesistenza delle somme distratte pari ad € 45.660,00 in contraddizione con gli esiti delle erifiche bancarie sulle quali aveva riferito il Curatore fallimentare.

Di seguito si riportano i passaggi motivazionali di maggior interesse:

(i) Sulla ripartizione dell’onere probatorio circa la destinazione impressa dall’imprenditore ai beni costituenti il patrimonio sociale a soddisfare obbligazioni verso i creditori in luogo della contestata distrazione, il Collegio di legittimità ha ritenuto infondate le deduzione difensive dando continuità ad un orientamento già consolidato:

“… per consolidata giurisprudenza di legittimità – «in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti» (Cass., Sez. V, n. 8260/2016 del 22/09/2015, Aucello, Rv 267710; v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. V, n. 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli). Nella motivazione della sentenza Aucello, sopra richiamata e già puntualmente invocata anche dalla Corte di merito a sostegno delle proprie determinazioni, si legge più in particolare che la responsabilità dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verità, penalmente sanzionato, gravante ex art. 87 legge fall. sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell’impresa, giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore di una società fallita in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato. Non può, in definitiva, intendersi sufficiente una vaga allegazione secondo cui alcune risorse sarebbero state assorbite da costi gestionali non documentati, ovvero – come dedotto nel caso di specie – impiegate genericamente per il soddisfacimento di creditori non determinati ed in misura parimenti non dettagliata. A quest’ultimo fine, non vale a fungere da presunto riscontro il contributo del curatore della (omissis), ove si consideri che – come segnalato dalla Corte territoriale – l’organo della procedura si limitò a dare atto che nel 2008 l’entità complessiva dei debiti della società era diminuita rispetto al dato dell’anno precedente, mentre nel 2009 vi erano stati “pochissimi” pagamenti in favore dei creditori”.

(ii) Sulla inattendibilità delle scritture contabili rispetto ai riscontri eseguiti sul conto corrente inidonee da sole a fornire la prova della contestata distrazione, si riporta integralmente il passaggio della motivazione che ha accolto il relativo motivo di ricorso conducendo all’annullamento della sentenza impugnata per vizio di motivazione:

La Corte calabrese, in prima battuta, smentisce l’assunto che le scritture della [omissis] sarebbero non attendibili, segnalando come la ricostruzione del patrimonio sociale e della situazione debitoria sarebbe stata comunque possibile proprio in base alla contabilità; inoltre, a fronte di un pagamento IVA annotato a libro giornale, per quanto non risultante dai mastrini, sarebbe sufficiente prendere atto che di versamenti di imposte, nel periodo considerato, non ve ne furono affatto.  

Le argomentazioni dei giudici di merito, tuttavia, non offrono risposta esauriente allo specifico motivo di appello con cui – come oggi ribadito – la difesa aveva piuttosto osservato come la sostanza delle cose fosse da leggere in termini ben diversi: a prescindere dall’annotazione che attestava il pagamento di un debito tributario (che, per inciso, avrebbe potuto giustificarsi ex se quale appostazione mendace, onde fornire a terzi una immagine di apparente regolarità di gestione), le risultanze processuali deponevano ancora a monte per l’inesistenza delle somme che avrebbero dovuto avere l’impiego ivi documentato. Nel dolersi della decisione di primo grado, più precisamente, il difensore del [omissis] aveva spiegato che «il conto cassa contanti della contabilità non trovava riscontro con i depositi bancari della società, essendo indiscutibile che le somme riscosse dalla società non potevano essere custodite in un cassetto, ma solo depositate in banca. Al riguardo, il curatore nell’istruttoria dibattimentale ha riferito che i depositi bancari della società, nel periodo in cui si assume che sarebbe stato effettuato il pagamento dell’IVA, registravano saldi negativi […]. E’ lo stesso curatore, poi, ad evidenziare che tutti i pagamenti venivano effettuati tramite banca […]. Lo spaccato che emerge è relativo ad un presunto pagamento dell’IVA che non avrebbe potuto avere luogo perché in banca la società fallita non aveva alcuna disponibilità».

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Riferimenti normativi

Art. 216 R.D. n. 267/1942. Bancarotta fraudolenta.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di bancarotta fraudolenta:

Cassazione penale, sez. V, 26 settembre 2018 , n. 54490

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Cassazione penale sez. V, 25 giugno 2018 n. 40100.  

Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare.

 

 

Cassazione penale , sez. V , 19 giugno 2018 , n. 42568

In tema di reati fallimentari, le rettifiche contabili attuate ai sensi della legge 27 dicembre 2002, n. 289 in materia di condono, anche se effettuate per manipolare le scritture contabili, rendere più difficile l’attività ricostruttiva degli organi fallimentari e nascondere le attività distrattive poste in essere, non possono integrare di per sé una condotta di bancarotta per distrazione, se ad esse non segue un effettivo depauperamento delle garanzie patrimoniali per i creditori.

Cassazione penale sez. V, 05 giugno 2018 n. 30105.  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perchè, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell’”an”, non è determinato anche nel “quantum”. (In motivazione, la Corte ha chiarito che non è giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore).

Cassazione penale sez. III  20 aprile 2018 n. 33380  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la restituzione da parte dell’amministratore della società emittente fatture per operazioni inesistenti del corrispettivo versato dal simulato acquirente, transitato nel patrimonio della società e restituito decurtato dal compenso pattuito per l’emittente anche il temporaneo ingresso nel patrimonio della fallita di beni che in forza di un patto illecito vengano restituiti al dante causa determina, invero, un incremento dello stesso che espande le garanzie dei creditori, con la conseguenza che la restituzione costituisce atto ingiustificato idoneo a integrare la condotta di distrazione.

 Cassazione penale sez. V, 27 marzo 2018 n. 27141  

Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di condanna di primo grado relativa al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, riqualifichi il fatto come bancarotta preferenziale, in quanto l’atto dispositivo tipico di tale fattispecie criminosa costituisce una “species” del più ampio “genus” di sottrazioni di risorse del patrimonio della società, che caratterizza la bancarotta per distrazione.

 Cassazione penale sez. I, 09 marzo 2018 n. 14783  

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà – in guisa di dolo indiretto – di non attivarsi per scongiurare detto evento.

 

 

Cassazione penale sez. V, 23 giugno 2017 n. 38396  

La fattispecie della bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto, sicché, per il suo perfezionamento, è esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta ed il successivo fallimento, laddove i fatti di bancarotta possono assumere rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando l’impresa ancora non versava in condizioni di insolvenza. In quanto reato di pericolo concreto è comunque necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un effettivo depauperamento dell’impresa e un effettivo pericolo per la integrità del patrimonio dell’impresa, da valutare nella prospettiva dell’esito concorsuale e dell’idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori.

Cassazione penale sez. un.  31 marzo 2016 n. 22474  

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

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