Commette furto con destrezza il medico che sottrae costose fiale di medicinale ai propri pazienti per somministrare agli stessi altre sostanze.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 2457/2019 – depositata 24.01.2019 relativa ad una originaria imputazione di peculato elevata nei confronti di un sanitario, poi riqualificata in secondo grado in furto con destrezza, per la surrettizia sottrazione di farmaci ai propri pazienti.
La vicenda processuale in sintesi attiene all’impossessamento da parte dell’imputato, medico specialista ortopedico, in servizio presso Asl territoriale, di fiale di medicinale, di costo apprezzabile, consegnategli da suoi pazienti che dovevano essere sottoposti a terapia attraverso infiltrazioni, con somministrazione al posto delle fiale sottratte, debitamente occultate, di altra sostanza o di alcuna sostanza (tale circostanza di fatto non sembra essere stata esattamente accertata nel corso del dibattimento).
La sentenza impugnata innanzi alla Corte legittimità, emessa dalla Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, aveva riformato la sentenza del Tribunale di Taranto, con la quale l’imputato era stato condannato per il reato di cui all’art. 314 cod. pen., riqualificando il fatto di peculato nel meno grave reato previsto e punito dagli artt. 624 e 625, comma 1, n. 4 e 61, comma 1, n. 9 cod. pen. (furto commesso con destrezza ed in violazione dei doveri inerenti lo svolgimento della professione medica).
La difesa del giudicabile ha interposto ricorso per cassazione deducendo vizio di motivazione in ordine alle finalità teleologica dell’azione ed alla stessa rilevanza penale della condotta; ha censurato, altresì,il travisamento della prova in ordine alla condotta di somministrazione e carenza di motivazione circa la sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
La Suprema corte ha dichiarato inammissibile il ricorso perché manifestamente infondato.
Di seguito si riportano i passaggi motivazionali di maggiore interesse per il presente commento:
“Il motivo di ricorso, con il quale si deduce la carenza di motivazione del provvedimento di appello, in sostanza finisce per prospettare una lettura alternativa del materiale probatorio, esaminato dalla Corte di appello, che invece, con ragionamento completo e non contraddittorio, ha ritenuto decisivo il momento dell’impossessamento dei farmaci che i singoli pazienti avevano portato presso lo studio del sanitario, per praticare le prescritte infiltrazioni.
(…) analizzando il complessivo ragionamento, non manifestamente illogico, svolto dai giudici di merito di secondo grado, i quali delineano il comportamento del sanitario diretto alla sostituzione dei farmaci, condotta rispetto alla quale l’avvenuta somministrazione di altro farmaco, come dedotto, si pone come post factum rispetto all’impossessamento della res già perfezionatosi. Peraltro non va trascurato che almeno in qualche caso, secondo la ricostruzione del giudice di secondo grado, non vi è prova della somministrazione di medicinali, avendo i pazienti riferito di non aver avuto, all’atto della somministrazione, alcuna delle normali reazioni provate al momento della somministrazione della terapia farmacologica.
Infine si osserva che la motivazione sull’elemento soggettivo del reato è desumibile agevolmente dall’esame completo della sentenza impugnata, che descrive l’azione del sanitario connotata da destrezza, con il volontario repentino occultamento del farmaco consegnato, nonché con sostituzione e successiva somministrazione di altre sostanze, prelevate da contenitori diversi da quello consegnato al sanitario, da ciascun paziente”.
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Riferimenti normativi
Art. 625 c.p. Furto
Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui , sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da centocinquantaquattro euro a cinquecentosedici euro.
Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7 e 625
Art. 625 c.p. Circostanze aggravanti
La pena per il fatto previsto dall’art. 624 è della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da 927 euro a 1.500 euro:
- [1) se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione];
- 2) se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;
- 3) se il colpevole porta indosso armi o narcotici, senza farne uso;
- 4) se il fatto è commesso con destrezza, [ovvero strappando la cosa di mano, o di dosso alla persona];
- 5) se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d’incaricato di un pubblico servizio;
- 6) se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande;
- 7) se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;
- 7-bis) se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica;
- 8) se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria;
- 8-bis) se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
- 8-ter) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro.
Se concorrono due o più delle circostanze prevedute dai numeri precedenti, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’articolo 61, la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da duecentosei euro a millecinquecentoquarantanove euro.
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Per l’attinenza al caso di specie originariamente qualificato come peculato si riporta il auadro giurisprudenziale di riferimento in materia di reati contro la pubblica amministrazione commessi da professionisti sanitari:
Cassazione penale, sez. VI, 19/06/2018, n. 40908
Il medico che opera in regime di ‘intra moenia’ assume la veste di agente contabile, con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia, che di custodirli e restituirli. Gli importi corrisposti al sanitario nell’esercizio di detta attività acquistano infatti natura pubblica, in virtù della convenzione tra la ASL e il medico dipendente. Integra pertanto il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, non dia giustificazione certa – secondo le norme generali della contabilità pubblica ovvero quelle derogative previste nella singola fattispecie – del loro impiego, in caso di incameramento delle somme.
Cassazione penale, sez. II, 24/04/2018, n. 25976
Commette il reato di peculato il medico ospedaliero che percepisce compensi dai pazienti per visite “intramoenia, senza formale autorizzazione e senza versare alla struttura la quota prevista per legge, a nulla rilevando circa la configurabilità del delitto il fatto che l’azienda fosse a conoscenza di quanto accaduto”. Lo ha ribadito la Cassazione confermando la condanna inflitta ad un medico. Nel caso di specie, si trattava di un cardiologo, assunto a tempo pieno e con impegno esclusivo presso l’ospedale, che per due anni aveva svolto attività intramuraria senza aver richiesto la specifica autorizzazione e senza lasciare nelle casse del nosocomio la quota del 52% di quanto percepito dai pazienti.
Cassazione penale, sez. VI, 27/09/2017 , n. 48603
Integra la fattispecie di peculato d’uso la condotta del medico addetto al servizio del 118 che si appropria dell’autoambulanza di cui ha la disponibilità in ragione del servizio svolto, facendone un uso personale e momentaneo (nella specie, si è ritenuto sussistente per la pubblica amministrazione il danno patrimoniale relativo al consumo di carburante e all’usura del mezzo e il disservizio legato al reiterato utilizzo di un mezzo funzionale alla tempestiva assistenza ai pazienti in condizioni di emergenza).
Cassazione penale, sez. VI, 15/09/2017 , n. 46492
Configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione, di cui all’ art. 318 c.p. ) lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti che, pur formalmente legittimi in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la qualificazione ai sensi degli artt. 319 e 321 c.p. della condotta di un rappresentate farmaceutico che aveva corrisposto denaro ad un primario ospedaliero in cambio dell’impegno di quest’ultimo a prescrivere a tutti i pazienti un determinato farmaco antitumorale, rilevando che la relativa prescrizione doveva essere il frutto di un meditato apprezzamento del quadro clinico del paziente nonché di una valutazione comparativa tra i benefici perseguiti ed i rischi connessi alla terapia farmacologica).
Cassazione penale, sez. VI , 05/04/2016, n. 19002
Integra l’ipotesi di corruzione e non di truffa la condotta del medico che, in violazione dei suoi doveri di ufficio, accetta, quale medico ginecologo in servizio presso una clinica convenzionata, denaro per concorrere ad affidare un nascituro in via definitiva a terzi, atteso che, nella specie, si trattava di un atto che rientrava tra quelli che l’imputato aveva la concreta possibilità di compiere e che il denaro fu corrisposto consapevolmente non per effetto di un errore indotto da raggiro.
Cassazione penale, sez. II , 27/10/2015, n. 46096
In tema di abuso di ufficio, il requisito della violazione di legge può consistere anche nella inosservanza dell’art. 97 Cost., nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni. (Nella specie, la S.C. ha reputato immune da censure la decisione impugnata che aveva ravvisato, nel comportamento tenuto dai due direttori di unità operativa ospedaliera succedutisi nel tempo, una condotta penalmente rilevante, consistita nel progressivo svuotamento del carico assistenziale del medico referente dell’esecuzione di prestazioni specialistiche).
Cassazione penale, sez. IV , 27/04/2015, n. 22042
Anche il medico di famiglia è responsabile del rilascio del porto d’armi al paziente affetto da turbe psichiche, se omette di annotare il disturbo mentale del paziente nel certificato anamnestico preliminare agli accertamenti di idoneità effettuati da parte dei competenti medici della Asl.
Cassazione penale, sez.VI, 20/01/2015, n. 10130
Non risponde del delitto di omissione di atti d’ufficio il medico che, durante il turno di guardia medica, anziché recarsi di persona a visitare il paziente che denuncia problemi respiratori, si limiti a prescrivere, telefonicamente, la terapia del caso, essendo egli arbitro della scelta di effettuare o meno la visita domiciliare.
Cassazione penale, sez. VI, 22/09/2011, n. 36253
In tema di reati contro la pubblica amministrazione, non può essere affermata la carenza dell’elemento soggettivo allorquando una prassi diffusa sia inserita in un contesto giuridico amministrativo, sicuramente incerto in ordine alla possibilità di realizzare l’attività contestata, dovendo l’agente astenersi dal porre in essere comportamenti di incerta rilevanza ed acquisire dai competenti organi amministrativi le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimità dell’attività svolta, in modo da adempiere a quell’onere informativo che potrebbe rendere scusabile l’errore sulla legge penale (nella specie, si è negato che il reato di interruzione di un pubblico servizio, addebitato a un medico ospedaliero, possa essere escluso da presunte prassi in relazione ad altri generici impegni di reparto del medico stesso).
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