Bancarotta fraudolenta documentale: la mancata messa a disposizione della documentazione contabile integra il dolo richiesta dalla norma incriminatrice.

Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n.4780/2019 – depositata il 30.01.2019, pronunciata in tema di reati fallimentari, segnatamente riferita alla bancarotta fraudolenta documentale.

Tra  i profili di diritto affrontati dalla Suprema corte, quelli di maggiore interesse per gli operatori di diritto, attengono al rapporto tra bancarotta documentale semplice e fraudolenta con riferimento all’elemento psicologico del reato e quello inerente ai criteri di commisurazione della pena accessoria di cui all’art. 219 l.fall. a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 222/2018.

La vicenda processuale in sintesi: con la sentenza impugnata, la Corte d’appello de l’Aquila confermava la decisione del Tribunale di Pescara con la quale veniva affermata la responsabilità penale del prevenuto in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta documentale, rideterminando la pena.

I motivi di ricorso ipingenti i temi di diritto sostanziale censuravano la violazione di legge e correlato vizio della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico del delitto, che, se correttamente apprezzato, avrebbe dovuto orientare il giudice del merito verso la qualificazione del fatto come bancarotta semplice, e la omessa ritenuta sussistenza ex officio dell’attenuante di cui all’art. 62 n.4 cod. pen..

La Corte di cassazione pur ritendendo inammissibili i motivi di ricorso, ha disposto ex officiol’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte distrettuale per nuovo esame affinchè venga rideterminata la pena accessoria in base ai principi enunciati nella pronuncia in commento

Di seguito si riportano i passaggi motivazionali di maggiore rilievo.

(i)sulla vexata quaestiodell’elemento psicologico del reato tra bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta:

Il ricorrente si limita a rivendicare – pedissequamente al relativo motivo di gravame – la qualificazione alternativa di bancarotta documentale semplice, omettendo di confrontarsi con le conformi sentenze di merito che, attraverso l’integrazione delle duplici motivazioni, hanno dato atto della consegna all’imputato, in data (omissis) ed all’esito della nomina ad amministratore della fallita, delle scritture contabili già detenute da uno studio commerciale; dell’accertata attività sociale almeno fino all’anno 2005; della mancata consegna al curatore fallimentare della documentazione contabile, tanto da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita. Di talché l’indisponibilità delle scritture, se non aveva consentito l’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta patrimoniale, doveva ritenersi sorretta dalla specifica intenzionalità di cagionare pregiudizio ai creditori, dissimulando le utilità sociali ed i beni destinati alla garanzia delle obbligazioni sociali.

In siffatto contesto, la mancata messa a disposizione degli organi della curatela della documentazione contabile appare del tutto sorretta da un qualificato profilo di volontarietà della sottrazione, sotto forma del dolo intenzionale richiesto dalla norma incriminatrice, in linea con l’orientamento di legittimità secondo cui «in tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico (Sez. 5, Sentenza n.43966 de128/06/2017, Rossi, Rv. 271611).

Né risulta che l’imputato abbia assolto l’onere di positiva dimostrazione di elementi apprezzabili ai fini della diversa qualificazione del fatto nell’alveo dell’art. 217, comma II, l.f., invocata in sede di legittimità. Invero, in tema di irregolare tenuta dei libri contabili nei reati fallimentari, a differenza del reato di bancarotta semplice in cui l’illiceità della condotta è circoscritta alle scritture obbligatorie ed ai libri prescritti dalla legge, l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori; in quest’ultima ipotesi, si richiede, inoltre, il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito, elemento, invece, estraneo al fatto tipico descritto nell’art. 217, comma secondo, I. fall.. Diverso è, infine, l’elemento soggettivo, costituito nell’ipotesi di bancarotta semplice indifferentemente dal dolo o dalla colpa, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, prima parte, I. fall. dal dolo specifico (Sez. 5, n.55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867).In riferimento ad alcuno dei postulati richiamati il ricorrente ha introdotto specifici elementi apprezzabili nella prospettiva della diversa qualificazione.

Nello statuto dei reati fallimentari, l’apporto conoscitivo proveniente dall’imputato si declina peculiarmente, ponendo a carico dello stesso uno specifico onere di collaborazione con gli organi della curatela e di giustificazione riguardo l’adempimento degli obblighi che gravano sull’imprenditore. La responsabilità dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verità, penalmente sanzionato, gravante ex art. 87 I.fall. sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell’impresa, la consegna della documentazione contabile ed ogni altra utile informazione giustificano, dunque, una inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della società fallita solo apparente, che ripete il suo fondamento dal complesso degli obblighi di fonte normativa che gravano sull’imprenditore, e che non consentono, in caso di mancata consegna della documentazione contabile, soprattutto ove tale omissione non abbia consentito la ricostruzione di alcuna attività patrimoniale, di ritenere tout court l’ipotesi di bancarotta documentale semplice”.

(ii) sulla durata della pena accessoria.

Rilevato il contrasto giurisprudenziale conseguente alla recente pronuncia (Corte cost., 05.12.2018, n. 222) di illegittimità costituzionale dell’art. 216 u.c. R.D. 267/1942 nella parte in cui non veniva individuato un tetto massimo (fissato in dieci anni dalla stessa Consulta) per la suddetta pena accessoria, della cui risoluzione sono state investite le SS.UU. penali e rilevata la illegalità (sopravvenuta) della pena nel caso di specie, il Collegio ha statuito quanto segue:

Nel caso in esame, ritiene il Collegio di non poter differire la decisione all’esito della pronuncia della Corte di cassazione, nella più autorevole composizione nomofilattica, in considerazione della vetustà dei fatti.

Di guisa che, in condivisione dell’orientamento che assegna alla discrezionalità del giudice del merito la verifica dei parametri di commisurazione della pena accessoria, in quanto sanzione predeterminata, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione della durata delle sanzioni accessorie di cui all’art. 216 u.c. I.f., irrogate all’imputato nella misura di dieci anni, con rinvio al giudice di merito per nuovo esame sul punto.

Nell’applicazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. per la determinazione della sanzione, il giudice del rinvio dovrà tener conto degli specifici indicatori – diversi da quelli relativi alla determinazione nei limiti edittali delle pene principali – rilevanti per la commisurazione delle pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, in riferimento al carico di afflittività delle medesime rispetto ai diritti fondamentali della persona (art. 41 Cost. libertà di iniziativa economica; art. 4 Cost. diritto al lavoro; art. 117 cost. in rif. Art. 8 CEDU e 1 prot. addizionale CEDU) ed alla finalità (non [solo] rieducativa ma) di prevenzione speciale negativa e di emenda (v. Corte Cost. n.222 del 2018)”.

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Riferimenti normativi

Art. 216 R.D. n. 267/1942. Bancarotta fraudolenta.

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

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Quadro giurisprudenziale di riferimento delle più recenti pronunce di legittimità in materia di bancarotta fraudolenta:

Cassazione penale, sez. V, 26 settembre 2018 , n. 54490

In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Cassazione penale sez. V, 25 giugno 2018 n. 40100.  

Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare.

 Cassazione penale , sez. V , 19 giugno 2018 , n. 42568

In tema di reati fallimentari, le rettifiche contabili attuate ai sensi della legge 27 dicembre 2002, n. 289 in materia di condono, anche se effettuate per manipolare le scritture contabili, rendere più difficile l’attività ricostruttiva degli organi fallimentari e nascondere le attività distrattive poste in essere, non possono integrare di per sé una condotta di bancarotta per distrazione, se ad esse non segue un effettivo depauperamento delle garanzie patrimoniali per i creditori.

Cassazione penale sez. V, 05 giugno 2018 n. 30105.  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perchè, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell’”an”, non è determinato anche nel “quantum”. (In motivazione, la Corte ha chiarito che non è giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore).

Cassazione penale sez. III  20 aprile 2018 n. 33380  

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la restituzione da parte dell’amministratore della società emittente fatture per operazioni inesistenti del corrispettivo versato dal simulato acquirente, transitato nel patrimonio della società e restituito decurtato dal compenso pattuito per l’emittente anche il temporaneo ingresso nel patrimonio della fallita di beni che in forza di un patto illecito vengano restituiti al dante causa determina, invero, un incremento dello stesso che espande le garanzie dei creditori, con la conseguenza che la restituzione costituisce atto ingiustificato idoneo a integrare la condotta di distrazione.

 Cassazione penale sez. V, 27 marzo 2018 n. 27141  

Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di condanna di primo grado relativa al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, riqualifichi il fatto come bancarotta preferenziale, in quanto l’atto dispositivo tipico di tale fattispecie criminosa costituisce una “species” del più ampio “genus” di sottrazioni di risorse del patrimonio della società, che caratterizza la bancarotta per distrazione.

 Cassazione penale sez. I, 09 marzo 2018 n. 14783  

In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, è necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà – in guisa di dolo indiretto – di non attivarsi per scongiurare detto evento.

 Cassazione penale sez. V, 23 giugno 2017 n. 38396  

La fattispecie della bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto, sicché, per il suo perfezionamento, è esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta ed il successivo fallimento, laddove i fatti di bancarotta possono assumere rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando l’impresa ancora non versava in condizioni di insolvenza. In quanto reato di pericolo concreto è comunque necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un effettivo depauperamento dell’impresa e un effettivo pericolo per la integrità del patrimonio dell’impresa, da valutare nella prospettiva dell’esito concorsuale e dell’idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori.

Cassazione penale sez. un.  31 marzo 2016 n. 22474  

L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

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