Per potersi configurare la diffamazione a mezzo Facebook il contenuto del post deve consentire la inequivoca individuazione dell’offeso.
Si segnala ai lettori del blog la sentenza di legittimità n. 4025/2019 – depositata il 28.01.2019 che ha sottoposto allo scrutinio di diritto una sentenza resa dalla Corte distrettuale di Ancona di conferma della condanna dell’imputata per i reati di minacce e diffamazione consumati a mezzo di post pubblicati sul social Facebook in danno di alcuni agenti del corpo dei Vigili Urbani, con riferimento ad una contravvenzione elevata dai pubblici ufficiali nei confronti della giudicabile.
Co l’interposto ricorso per cassazione sono stati denunciati vizi di motivazione circa l’individuabilità del soggetto passivo del reato quanto all’imputazione di diffamazione e difetto di motivazione per la minaccia.
La Suprema corte ha dichiarato parzialmente fondato il ricorso dell’imputata limitatamente al reato al reato di diffamazione statuendo quanto segue:
“Come questa Corte ha avuto modo di precisare, per l’individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di indicazione specifica, è sufficiente il riferimento inequivoco a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto (Sez. 5, n. 28661 del 09/06/2004, Sinn, Rv. 229313): l’individuazione del soggetto passivo del reato di diffamazione a mezzo stampa, in mancanza di indicazione specifica, ovvero di riferimenti inequivoci a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto, deve dunque essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell’offesa, quale si desume anche dal contesto in cui è inserita(Sez. 5, n. 2135 del 07/12/1999 – dep. 2000, Pivato, Rv. 215476); in altri termini, essa deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell’offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così che possa desumersi, con ragionevole certezza, l’inequivoca individuazione dell’offeso, sia in via processuale che come fatto preprocessuale, cioè come piena e immediata consapevolezza dell’identità del destinatario che abbia avuto chiunque abbia letto l’articolo diffamatorio(Sez. 5, n. 33442 del 08/07/2008, De Bortoli, Rv. 241548; conf. Sez. 5, n. 15643 del 11/03/2005, Scalfari, Rv. 232135), o, nel caso di specie, il testo pubblicato su Facebook.
La Corte di appello non ha fatto buon governo dei princìpi di diritto richiamati. Escluso, alla luce delle sentenze di merito, che la vicenda relativa alla multa irrogata all’imputata abbia assunto caratteri di notorietà, l’identificabilità del destinatario delle espressioni offensive in termini di affidabile o ragionevole certezza da parte di chiunque abbia letto il testo pubblicato su Facebook è escluso dalla stessa sentenza impugnata che ha evidenziato come detto destinatario fosse conoscibile (non già a qualsiasi lettore, bensì) ai soli soggetti in grado di risalire dagli elementi della vicenda riportati nel testo all’identità della persona offesa: il che esclude l’inequivoca individuazione dell’offeso.
Viceversa, sull’impugnato capo di sentenza di condanna per la minaccia, a sostegno del rigetto del relativo motivo ha così statuito:
(…) ai fini della configurabilità del delitto di minaccia non occorre che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa, potendo quest’ultima venirne a conoscenza anche attraverso altre persone, purché ciò si verifichi in un contesto dal quale possa desumersi che il soggetto attivo abbia avuto la volontà di produrre l’effetto intimidatorio(Sez. 6, n. 8898 del 03/12/2010 – dep. 2011, Licursi, Rv. 249634; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 38387 del 01/03/2017, Dardo, Rv. 271202): contesto, questo, del quale la Corte di appello ha dato atto, evidenziando come il giorno dopo la pubblicazione del fatto due colleghi della persona offesa ne erano venuti a conoscenza e ne informarono (omissis).
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di diffamazione, perché il fatto non sussiste, mentre il ricorso deve essere rigettato con riferimento all’imputazione di minaccia”.
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Riferimenti normativi
Art. 595 c.p. Diffamazione
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente , comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
Art. 612 c.p. Minaccia
Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro.
Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno.
Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339.
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Quadro giurisprudenziale di riferimento in tema di diffamazione a mezzo social network:
Cassazione penale, sez. V, 04/12/2017, n. 5175.
La legge n. 48 del 2008 (Ratifica della convenzione di Budapest sulla criminalità informatica) non introduce alcun requisito di prova legale, limitandosi a richiedere l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, senza tuttavia imporre procedure tipizzate. Ne consegue che il giudice potrà valutarle secondo il proprio libero convincimento (fattispecie relativa alla pubblicazione di un post ingiurioso su Facebook).
Cassazione penale, sez. V, 19/10/2017, n. 101.
Si configura il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici se i commenti diffamatori, pubblicati tramite post sul social network Facebook, possono, pur in assenza dell’indicazione di nomi, riferirsi oggettivamente ad una specifica persona, anche se tali commenti siano di fatto indirizzati verso i suoi familiari.
Cassazione penale, sez. V, 29/05/2017, n. 39763.
In tema di diffamazione, l’individuazione del destinatario dell’offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione dell’offesa, sulla base di un criterio oggettivo, non essendo consentito il ricorso ad intuizioni o soggettive congetture di soggetti che ritengano di potere essere destinatari dell’offesa (esclusa, nella specie, la configurabilità del reato per la condotta dell’imputato, che, in un post su Facebook, aveva espresso il suo sdegno per le modalità con cui erano state celebrate le esequie di un suo caro parente).
Cassazione penale, sez. V, 23/01/2017, n. 8482.
La pubblicazione di un messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook con l’attribuzione di un fatto determinato configura il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3,c.p. ed è inclusa nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità e non nella diversa ipotesi del mezzo della stampa giustapposta dal Legislatore nel medesimo comma. Deve, infatti, tenersi distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, diffusa per il tramite di una testata giornalistica online, dall’ambito – più vasto ed eterogeneo – della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. In caso di diffamazione mediante l’utilizzo di un social network, non è dunque applicabile la disciplina prevista dalla l. n. 47 del 1948, ed in particolare, l’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 13.
Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50.
È del tribunale penale la competenza a giudicare la condotta consistente nella diffusione di messaggi minatori e offensivi attraverso il social network Facebook, configurando i reati di minacce e diffamazione aggravata ex art. 595, comma 3 c.p.
Cassazione penale, sez. I, 02/12/2016, n. 50.
La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone; l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante.
Cassazione penale, sez. V, 14/11/2016, n. 4873.
Ove taluno abbia pubblicato sul proprio profilo Facebook un testo con cui offendeva la reputazione di una persona, attribuendole un fatto determinato, sono applicabili le circostanze aggravanti dell’attribuzione di un fatto determinato e dell’offesa recata con un qualsiasi mezzo di pubblicità, ma non quella operante nell’ipotesi di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato.
Cassazione penale, sez. V, 07/10/2016, n. 2723.
La divulgazione di un messaggio di contenuto offensivo tramite social network ha indubbiamente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, proprio per la natura intrinseca dello strumento utilizzato, ed è dunque idonea ad integrare il reato della diffamazione aggravata (fattispecie relativa all’inserimento di un messaggio offensivo sul profilo Facebook della persona offesa).
Cassazione penale, sez. V, 13/07/2015, n. 8328.
La condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, sicché, se tale commento ha carattere offensivo, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall’art. 595 c.p.
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