Responsabilità ex D.L.vo 231/2001 e frode nell’esercizio del commercio: i costi sostenuti dall’ente per poter commercializzare il prodotto oggetto di contestazione penale non sono detraibili dal calcolo del profitto sequestrabile.
Si segnala ai lettori la sentenza di legittimità n. 4885/2019 – depositata il 31.01.2019 resa dalla Corte di Cassazione in tema di responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. n. 231/2001.
La vicenda processuale in sintesi: Il tribunale cautelare di Messina rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse dell’imputato, nella qualità di legale rappresentante di una società cooperativa a r.l., avente ad oggetto la modifica del decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP di Barcellona Pozzo di Gotto, relativamente al delitto di associazione per delinquere, frode nell’esercizio del commercio aggravata a norma dell’art. 517-bis c.p., e in relazione al reato presupposto di cui all’art. 25bis 1, comma 1, d. lgs. n. 231 del 2001.
Il sequestro era stato disposto nell’ambito di un’attività di indagine in cui era emersa la costituzione di un sodalizio finalizzato alla commercializzazione di prodotti agroalimentari di qualità diverse rispetto a quelle reali, ossia prodotti agricoli non realizzati con il metodo di produzione biologico (o comunque provenienti da terreni in conversione e venduti per biologici), attraverso la concordata e sistematica falsificazione dei registri delle colture, dei registri delle materie prime, dei registri delle vendite, dei documenti di trasporto e delle fatture di vendita, con cessioni a varie ditte ed a terzi, così consentendo alla società cooperativa in questione di conseguire un profitto di rilevante entità, sanzionato ex art. 25 bis 1, comma primo, d.lgs. n. 231 del 2001.
Contro l’ordinanza di rigetto del riesame proponeva ricorso per cassazione la difesa della società ricorrente, lamentando, tra i vari motivi, il difetto di motivazione in ordine alla censura sollevata innanzi al Collegio della cautela riguardo la quantificazione del profitto sequestrabile con la quale si lamentava il vizio del provvedimento ablatorio nella parte in cui non aveva scomputato dal calcolo del profitto sequestrabile i costi sostenuti dalla società per la commercializzazione del prodotto.
La Suprema corte ha rigettato il ricorso e, per quanto concerne il lamentato vizio di motivazione di cui sopra, ne ha stigmatizzato la infondatezza per le ragioni che seguono:
“Sul punto, la tesi sostenuta, oltre che essere articolata in fatto, al punto tale da richiedere a questa Corte di procedere ad una verifica della corrispondenza del calcolo compiuto dalla ricorrente con quanto emergente dagli atti processuali (operazione del tutto inibita al Giudice di legittimità), è altresì del tutto errata in diritto, atteso che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che non sono scomputabili dal profitto del reato, oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, le attività, pur intrinsecamente lecite, preordinate alla realizzazione della fattispecie criminosa, in quanto nella determinazione del profitto del reato – inteso come complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito ed a questo strettamente pertinenti – non sono utilizzabili parametri valutativi di tipo aziendalistico, quale il criterio del profitto netto che porrebbe a carico dello Stato il rischio di esito negativo del reato, sottraendo contestualmente il reo a qualunque rischio di perdita economica (v., tra le tante: Sez. 6, n. 24558 del 22/05/2013 – dep. 05/06/2013, Mezzini, Rv. 256812). Dunque la tesi difensiva secondo cui il profitto altro non sarebbe che il beneficio aggiunto di tipo patrimoniale ottenuto dall’ente che non potrebbe prescindere dal considerare anche i costi sostenuti per poter commercializzare la materia prima acquistata, non ha pregio in quanto contrasta con la soluzione cui è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte, atteso che proprio i costi sostenuti dall’ente per poter commercializzare la materia prima acquistata non sono detraibili proprio perché finalizzati a porre in commercio i prodotti agroalimentari di qualità diverse rispetto a quelle reali. Il silenzio motivazionale sul punto, dunque, non inficia la ordinanza impugnata, atteso che si tratta di censura che avrebbe dovuto essere dichiarata manifestamente infondata. Ne consegue che è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la ordinanza in materia di misure cautelari che non abbia preso in considerazione una censura difensiva sollevata in sede di riesame che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (v, ad esempio, con riferimento alla sentenza d’appello, con principio mutuabile anche per la materia cautelare: Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014 – dep. 11/03/2015, Bianchetti, Rv. 263157)”.
*****
Riferimenti normativi
Art. 25-Bis D.Lgs. n. 231/2001. Delitti contro l’industria e il commercio.
- In relazione alla commissione dei delitti contro l’industria e il commercio previsti dal codice penale, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
- a) per i delitti di cui agli articoli 513, 515, 516, 517, 517-ter e 517-quater la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
- b) per i delitti di cui agli articoli 513-bis e 514 la sanzione pecuniaria fino a ottocento quote.
- Nel caso di condanna per i delitti di cui alla lettera b) del comma 1 si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2.
*****
Quadro giurisprudenziale di riferimento in materia di sequestro disposto nei confronti degli enti:
Cassazione penale sez. II 10 luglio 2018 n. 34293
In tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, è ammissibile il sequestro impeditivo di cui al comma primo dell’art. 321 c.p.p., non essendovi totale sovrapposizione e, quindi, alcuna incompatibilità di natura logica-giuridica fra il suddetto sequestro e le misure interdittive. In tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca, eventualmente anche per equivalente, e quindi, secondo il disposto dell’art. 19 d.lgs . 231/2001 , dei beni che costituiscono prezzo e profitto del reato, non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, né il periculum richiesto per il sequestro preventivo di cui all’ art. 321, comma 1 , c.p.p. , essendo sufficiente accertarne la confiscabilità una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato.
Cassazione penale sez. II 28 marzo 2018 n. 23896
In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, laddove il reato presupposto sia integrato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, l’eventuale utilità conseguita dal danneggiato a fronte dell’esecuzione – da parte dell’ente – di prestazioni contrattuali dovute non può essere considerata ‘profitto confiscabile’ e, conseguentemente, non concorre alla quantificazione del valore oggetto di ablazione.
Cassazione penale sez. IV 24 gennaio 2018 n. 10418
In caso di reati tributari commessi dall’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
Cassazione penale sez. III 12 luglio 2017 n. 45552
In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una società, può essere disposto il sequestro preventivo per equivalente sui beni della persona fisica laddove il profitto non risulti nella disponibilità dell’ente (nella specie, la situazione di oggettiva illiquidità della società risultava da una comunicazione dell’Agenzia delle Entrate relativa alla decadenza della persona giuridica dalla rateizzazione del debito tributario a causa del pagamento di una sola rata).
Cassazione penale sez. un. 26 giugno 2015 n. 31617
Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito.
Cassazione penale sez. II 29 maggio 2013 n. 35813
In tema di responsabilità da reato degli enti, il decreto di sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato presupposto non deve contenere l’indicazione specifica dei beni che devono essere sottoposti a vincolo, potendo procedere alla loro individuazione anche la polizia giudiziaria in sede di esecuzione del provvedimento, ma deve indicare la somma sino a concorrenza della quale il sequestro deve essere eseguito.
Cassazione penale sez. VI 17 giugno 2010 n. 35748
In tema di responsabilità delle persone giuridiche, per profitto derivante da reato, suscettibile di sequestro preventivo ai sensi degli art. 19 e 53 d.lg. n. 231 del 2001 funzionale alla confisca, si intende il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato, concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente. Il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche crediti vantati dalla persona giuridica nei confronti dell’ente, purché questi siano certi, liquidi ed esigibili e costituiscano effettivamente il profitto del reato presupposto. Il perimetro della cautela reale è segnato, infatti, dagli stessi limiti riconosciuti dalla legge per il provvedimento definitivo di ablazione.
Cassazione penale sez. un. 27 marzo 2008 n. 26654
Nel procedimento per l’accertamento dell’illecito amministrativo ai sensi del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, è ammissibile sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, dei beni riferibili a un indagato per l’intero importo relativo al profitto del reato anche in presenza di una pluralità di concorrenti, siano essi persone fisiche o enti, qualora la misura della quota di profitto attribuibile a ciascuno non sia individuata o chiaramente individuabile, purché non si realizzino duplicazioni e nel rispetto dei canoni di solidarietà interna tra i concorrenti (nella specie, la Corte ha confermato il provvedimento cautelare nella parte in cui aveva disposto il sequestro per l’intero del profitto dell’illecito amministrativo nei confronti di tutti gli indagati, appartenenti a un’associazione temporanea di imprese).
©RIPRODUZIONE RISERVATA